IN NOME DEL POPOLO ITALIANO, un minidoc di Gabriele Del Grande e Stefano Liberti
Grazie a una rete di contatti telefonici con i reclusi, dal 2009 al 2011 Fortress Europe ha potuto raccontare dall'interno i centri di identificazione e espulsione (CIE, vedi scheda). Queste sono le storie che abbiamo raccolto. E da cui proponiamo di ripartire. Affinché i numeri del Viminale tornino a essere uomini e donne in carne e ossa. Con una storia che va oltre il Cie, che ha un prima e un dopo, un dentro e un fuori la gabbia. E con un dato universale, che sia la gioventù, il sogno, l'amore, la paternità o la solitudine, in cui tutti noi ci possiamo identificare per avere la certezza che nell'epoca del mondo interconnesso, viaggiare non è e non può essere un reato.
La vita che non CIE. Tre corti sui centri di identificazione e espulsione Un bambino di cinque anni che si ostina a chiedere alla mamma dov'è finito papà e perché non torna più a casa. Le mani di un ragazzo innamorato che tremano scosse dalla rabbia in una gabbia, un attimo prima della rivolta. E il limbo di un uomo che da ex prigioniero si prende cura degli amici ancora dietro le sbarre, contando i giorni che mancano alla loro uscita. Sono le storie di Kabbour, Nizar e Abderrahim. Tre nomi per raccontare le vite che stanno dietro alle statistiche della macchina delle espulsioni. GUARDA I TRAILER Primo episodio: "L'amore ai tempi della frontiera" Secondo episodio: "La fortuna mi salverà" Terzo episodio: "Papà non torna più" |
La primavera araba dei CIE: 580 evasioni nel 2011 Scioperi della fame, autolesionismo, incendi, evasioni e vere e proprie rivolte. Il 2011 sarà ricordato come l'anno più caldo nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) italiani. I giovani ribelli sono i ragazzi tunisini sbarcati a Lampedusa e finiti a migliaia nei Cie, dopo l'accordo tra Roma e Tunisi del 5 aprile 2011. All'impossibilità di vedere riconosciuto per le vie legali il proprio diritto a viaggiare, hanno deciso di riconquistarselo con l'unica cosa che gli è rimasta a disposizione: i propri corpi. Gli stessi corpi che hanno esposto alle pallottole della polizia del regime di Ben Ali durante la rivoluzione di gennaio in Tunisia. I corpi con cui hanno attraversato il mare, e con i quali adesso tentano di scavalcare le gabbie dove sono stati rinchiusi, al rischio di finire in ospedale con le ossa rotte dalle manganellate, oppure in prigione con l'accusa di aggressione a pubblico ufficiale. Finisce su facebook la protesta dei tunisini del Cie di Torino Espulsi 3.592 tunisini, nei Cie tornerà la calma? L'estate calda del 2009 nei Cie. Rivolte da nord e sud |
LasciateCIEntrare. La campagna dei giornalisti Fine della censura. Il governo ha riaperto alla stampa le porte dei centri di identificazione e espulsione (Cie) e il Tar Lazio ha condannato la censura, durata più di otto mesi, imposta dall'allora ministro dell'interno Maroni quando nell'aprile 2011 vietò alla stampa l'accesso nei Cie con la ormai famosa circolare 1305. Dopo un primo appello lanciato da Fortress Europe, molti giornalisti si sono uniti alla campagna, grazie convinto sostegno del sindacato e dell'ordine dei giornalisti, degli avvocati che hanno fatto un ricorso al Tar, e dei parlamentari che il 25 luglio 2011 hanno dato vita a una giornata di mobilitazione davanti ai Cie di tutta Italia. E adesso che è finita la censura, tutti nei CIE! Ecco come chiedere l'accredito alle Prefetture. La mappa dei Cie: 13 centri per 1.806 posti |
Finanzieri che picchiano le donne nei Cie Queste foto sono state scattate nel centro di identificazione e espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma. Si vede una giovane reclusa, tunisina. Mostra evidenti segni di percosse e manganellate sulla schiena e sul braccio. A picchiarla sono stati due uomini della Guardia di Finanza. Come racconta lei stessa: "Stavamo giocando a calcio, io ho colpito la palla e ho preso una ragazza nigeriana sul viso, abbiamo iniziato ad insultarci e alla fine ci siamo prese per i capelli. Nessuna mollava la presa e sentendo le grida sono entrati tre uomini, due della Guardia di Finanza e uno in borghese. Hanno iniziato a manganellarmi per separarci, davanti a tutte le ragazze che assistevano alla scena" Cie Bologna: protesta al femminile, 3 donne picchiate Cie Milano: assolto l'ispettore accusato di violenza sessuale Joy, la ragazza che ha denunciato un ispettore del Cie di Milano |
L'amore ai tempi della frontiera Il sole già alto del mattino, un volo Ryanair in discesa sull’aeroporto di Trapani e tutto intorno il silenzio dell’estate sulle campagne siciliane. Sakina si tiene stretta al palo d’alluminio che regge il gazebo nel piazzale di cemento. Ha un sorriso compiaciuto e si diverte a mandare baci nella direzione dei poliziotti davanti al cancello del Centro di identificazione ed espulsione di Chinisia. Alcuni si guardano con aria sospetta per capire a chi di loro siano dedicate quelle improvvise e inadeguate attenzioni. Ma non è agli uomini in divisa che guarda Sakina. I baci sono per l’uomo dietro le sbarre, il tunisino con la maglietta viola e le mani aggrappate ai ferri della gabbia, che le dice in labiale je t'aime. L'amore ai tempi della frontiera. Sakina e Khayri L'amore ai tempi della frontiera. Nathalie e Salah L'amore ai tempi della frontiera. Winny e Nizar |
I Cie galleggianti del porto di Palermo Dopo le tendopoli, le navi. La fantasia del ministero dell'interno in termini di repressione e detenzione illegale non conosce limiti. Da tre giorni, tre traghetti all'ancora nel porto di Palermo (VIDEO), anziché portare turisti e viaggiatori sulle isole sono diventati prigioni per altri viaggiatori. I circa mille tunisini che erano sbarcati a Lampedusa le settimane scorse e che ora saranno espulsi collettivamente. Sono l'ultima frontiera dei centri di identificazione e espulsione. Tre CIE galleggianti e illegali, visto che le centinaia di ragazzi detenuti a bordo non hanno mai incontrato un giudice pur essendo ormai detenuti da settimane. E infatti la procura di Palermo ha aperto un'inchiesta dopo un esposto. |
La guerra di Lampedusa Dopo settimane di detenzione illegale, il 20 settembre 2011 scoppia la rivolta al centro di accoglienza di Lampedusa. Centinaia di tunisini fuggono dopo avere appiccato il fuoco e si radunano per le vie del centro dando vita a un sit in pacifico dallo slogan "Scusa Lampedusa". Dopo una notte all'addiaccio però la polizia carica. Tra gli agenti a caccia dei tunisini c'è chi indossa una maglietta con su scritto “G8 2001, IO C'ERO". Insieme agli agenti si uniscono alcuni cittadini lampedusani e addirittura un operatore della "Lampedusa accoglienza", come mostrano le immagini di Alessio Genovese, uno dei pochi giornalisti presenti, a cui abbiamo chiesto una testimonianza. Che la situazione sull'isola stesse per scoppiare però lo si era capito da tempo, come ci spiega Marta Bellingreri che a Lampedusa aveva lavorato tutta l'estate. |
Ysmail libero. Il presidio dei peruviani al Cie di Torino "Lo hanno portato all'aeroporto di Milano come un pacco, ma il pacco ha alzato la voce ribelle e ora e' di nuovo recluso nelle celle del Cie di Torino". Ysmail ha perso l'aereo. E la comunità peruviana torinese continua a dargli man forte. Sulla pagina facebook che chiede la sua liberazione e sotto le mura del CIE con un presidio che neanche la pioggia torrenziale è riuscita a fermare. In mezzo c'è sua sorella Angy, gli amici del circolo culturale José Carlos Mariatégui e i compagni del suo partito, il Partito Nazionalista Peruviano dell'attuale presidente Ollanta Humala. Quella di oggi potrebbe essere la prima di una lunga serie di manifestazioni per chiedere la sua liberazione e in qualche modo a risvegliare la comunità peruviana - e non solo - dal lungo sonno sulla questione espulsioni. |
Samhini Yammi. Chissà se la madre di Amir capirà Mahmud va a Parma, Hasan a Parigi. Raggiungono i parenti. In tasca hanno un foglio di via. Li hanno appena rilasciati dal centro di identificazione e espulsione di Torino, insieme a un altro amico della comitiva di Sfax, Amir, che ha fatto la traversata sulla loro stessa fluca (barca) insieme a altri sei passeggeri. Per loro il viaggio ricomincia da qui. Dopo sei mesi di detenzione. Con la stessa determinazione di riuscire, ma con molta più amarezza nel cuore. Perché l’Europa che hanno sognato per anni, ha cessato di esistere nel loro immaginario. Autolesionismo al Cie di Torino. Ecco il video clandestino |
Ponte Galeria: il lavoro rende liberi Al centro agroalimentare di Roma lavorano migliaia di persone, compresi centinaia di facchini tenuti in nero dai loro datori di lavoro. Esattamente come i 16 egiziani che l'Italia ha appena espulso dal Cie di Roma. Ragazzi che da quando erano sbarcati in Sicilia, quattro, cinque anni fa, si erano messi a lavorare sodo, appoggiandosi dai cugini a Roma. Carico e scarico, turni di notte, straordinari. Mai un precedente penale, gente tutta casa e lavoro. Fino al giorno della retata della polizia ai mercati generali. |
È legge: 18 mesi nei Cie per chi è senza documenti Il Senato ha convertito in legge il decreto rimpatri. Il limite massimo della detenzione nei centri di identificazione e espulsione (Cie) passa da 6 a 18 mesi. Per la promulgazione della legge, tecnicamente manca soltanto la firma del presidente della repubblica Giorgio Napolitano e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Di fatto però la norma è già applicabile, in virtù del decreto legge approvato dal governo lo scorso 17 giugno. E intanto arrivano le prime proroghe oltre il sesto mese, per ora abbiamo notizia certa di sette casi nei Cie di Milano, Bologna e Torino. |
Rivolta in diretta al Cie di Ponte Galeria È da poco passata la mezzanotte al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Roma. Tre detenuti tentano la fuga. La polizia li trova. E li massacra di botte agli ordini di una ispettrice che ha deciso di fare la dura. Qualcuno però assiste alla scena. E indignato, sparge la voce tra i reclusi dell'area maschile. Scoppia la rivolta. I detenuti rifiutano di rientrare nelle camerate, la polizia in tenuta antisommossa fuori dalla gabbia minaccia di sfondare. Dentro si armano di pietre per difendersi e danno alle fiamme alcuni materassi. Intanto noi, da fuori, grazie a fonti fidate all'interno del Cie, seguiamo per tutta la notte gli sviluppi della rivolta. Leggete come è andata a finire. Cie Roma: 20 punti per non essere espulso Dalla guerra al Cie. Walid, un algerino a Ponte Galeria |
Ramzi che passò in un Cie 14 mesi degli ultimi 2 anni Com'è lontana l'estate del 1996. E quella vacanza in crociera sul Mediterraneo. Ramzi aveva vent'anni. Da Tunisi erano partiti in sette. Studenti universitari, classe media, nessuna voglia di bruciare la frontiera e passare guai con la dogana. Qualche avventura con le ragazze a bordo era un programma più che allettante. E invece quella sera a Barcellona, ormai ubriachi dopo l'ennesima birra, decisero che sulla nave non sarebbero tornati. L'Europa era lì, tutta per loro, pronta a farsi corteggiare e conquistare. E quando si risvegliarono con un cerchio alla testa per la sbornia del giorno prima, la nave era partita davvero. I ricordi di quella ragazzata che gli ha cambiato la vita, riaffiorano a 15 anni di distanza. Stavolta però per Ramzi non c'è nessuna birra fresca con cui brindare alle follie della gioventù. Perché al centro di identificazione e espulsione di Roma, l'alcol è proibito. |
Papà si è impiccato al Cie di Milano In un paesino della provincia di Brescia lungo le rive del lago di Garda c'è una bambina di cinque anni che ha perso la voglia di giocare. Nella sua testa ha una sola e insistente domanda: “Ma papà quando viene?”. Perché papà non c'è più. Certo ogni tanto si fa sentire. Quando chiama, la mamma glielo passa al telefono. Lui le chiede come sta, e le dice di stare tranquilla, che tanto lui è in Marocco e ritorna la settimana prossima. Ogni volta la stessa storia, a casa però non ci torna mai. Soltanto l'ultima volta aveva detto qualcosa di diverso. Era il 12 luglio. “Tesoro, domani prendo l'aereo e vengo a casa, sei contenta?”. Quella notte però lo trovarono appeso a una corda, nel bagno della sezione D del centro di identificazione e espulsione (Cie) di Milano. Rivotril, suicidi e rivolte. Che succede in via Corelli? Sangue in via Corelli, ricoverati 5 reclusi del Cie |
Scotch, iniezioni e lamette. Istruzioni per l'uso nel Cie di Roma Lo scotch serve a immobilizzare i reclusi. Basta girarlo più volte e ben stretto intorno ai polsi e alle gambe. E quando strillano pure sulla bocca. L'iniezione invece si fa alle ragazze. Perché anche loro a volte non fanno le brave, ma bisogna pure essere cavalieri e allora meglio un sedativo che le botte. Infine le lamette, da rasoio. Quelle le usano uomini e donne. Ma serve tanta disperazione quanto coraggio. O ti ci tagli le vene o le ingoi. E se ti va bene che resti in vita, finisci al pronto soccorso da dove anche se non riesci a scappare, puoi comunque considerarti fortunato che non ti hanno rimpatriato. Vale la pena arrivare a tanto pur di non rientrare nel proprio paese? Cronache di ordinaria disumanità dal Cie di Roma Lettera aperta di cinque detenuti del Cie di Roma |
Un giudice contro il governo: sequestri a Lampedusa La libertà personale è un diritto inviolabile. A volte qualcuno se lo ricorda. Di sicuro non se l'è mai scordato il giudice di pace di Palermo Giuseppe Alioto, che in una sentenza della scorso 4 luglio ha espressamente condannato come illegali e addirittura incostituzionali le pratiche di detenzione arbitraria dei tunisini nel centro di accoglienza di Lampedusa. Si tratta della prima sentenza del genere da quando il centro di accoglienza dell'isola è stato trasformato, nell'aprile scorso, in un carcere a tutti gli effetti Lampedusa: l'asilo ai tempi dello stato d'eccezione L'anonima sequestri di Lampedusa Lampedusa: lamette in gola contro i rimpatri. In 28 tentano il suicidio |
Frontex quanto mi costi? 10 milioni per 2.000 rimpatri Lo scotch serve a immobilizzare i reclusi. Basta girarlo più volte e ben stretto intorno ai polsi e alle gambe. E quando strillano pure sulla bocca. L'iniezione invece si fa alle ragazze. Perché anche loro a volte non fanno le brave, ma bisogna pure essere cavalieri e allora meglio un sedativo che le botte. Infine le lamette, da rasoio. Quelle le usano uomini e donne. Ma serve tanta disperazione quanto coraggio. O ti ci tagli le vene o le ingoi. E se ti va bene che resti in vita, finisci al pronto soccorso da dove anche se non riesci a scappare, puoi comunque considerarti fortunato che non ti hanno rimpatriato. Vale la pena arrivare a tanto pur di non rientrare nel proprio paese? |
Richiedenti asilo nei Cie. L'Acnur da che parte sta? In teoria hanno diritto a chiedere asilo e ad essere ospitati in un centro d'accoglienza dove poi una speciale commissione esaminerà la veridicità delle loro storie. In pratica però finiscono tutti nei centri di identificazione e espulsione per essere poi rimpatriati. Per aggirare la legge, basta che l'ufficio immigrazione della Questura di Agrigento, sotto cui ricade la competenza di Lampedusa, faccia sparire la lista dei nominativi di chi ha chiesto asilo. Una vera e propria truffa, di cui è perfettamente a conoscenza l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), che però sul tema ha deciso di non esporsi in alcun modo, come abbiamo avuto modo di verificare personalmente a Trapani. Richiedenti asilo nei Cie. L'Acnur prende posizione |
Guantanamo Trapani. Siamo entrati al cie di Chinisia Gialli, rossi, blu. Della Tarros, della Ttl. Chissà da quali navi mercantili sono stati sbarcati, e chissà quali rotte marine hanno percorso tutti quei container prima di incagliarsi nelle campagne di Trapani, montati uno sull'altro in quella che vista da lontano sembra un'installazione della Lego, ma che da vicino altro non è che l'improvvisato muro di cinta dell'ennesima gabbia, forse la peggiore nel panorama di inizio secolo di questa Italia inospitale e feroce con i più mal voluti dei viaggiatori: i harraga. Ci troviamo di fronte al nuovo centro di identificazione e espulsione di Chinisia. Nessun giornalista ha il diritto di entrare. La circolare 1305 del primo aprile lo vieta. Ma abbiamo deciso di provare lo stesso. |
Guantanamo Italia. Le immagini del Cie di Palazzo Un video girato dagli stessi detenuti con i telefonini e consegnato alla stampa. Contiene le prove dei pestaggi della polizia e dei tentativi di fuga nel nuovo centro di identificazione e espulsione aperto in Basilicata con l'emergenza. Nel Cie di Palazzo San Gervasio sono richiusi oltre 90 ragazzi tunisini da ormai due mesi, in quelle che Raffaella Cosentino, autrice del reportage, chiama gabbie da polli nel pezzo pubblicato sul nuovo sito delle inchieste di Repubblica.it. Palazzo: Cie svuotato dopo lo scandalo dei pestaggi |
Brucia il cie di S.M.C. Vetere. E scatta il sequestro Meno uno. Il centro di identificazione e espulsione di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, non esiste più. Fisicamente perché è stato devastato dalle fiamme dell'incendio divampato stanotte. E giuridicamente perché la Procura di Santa Maria Capua Vetere ne ha chiesto il sequestro probatorio, disponendo fra l'altro il trasferimento dei reclusi. Tutto è cominciato quando un ragazzo tunisino, saputo quest'oggi della morte del fratello, è andato dagli agenti delle forze dell'ordine chiedendo di essere rimpatriato quanto prima, per partecipare ai funerali. Gli hanno detto di aspettare. E poi di aspettare ancora. E poi è arrivata sera. E il ragazzo non ci ha più visto dall'umiliazione Papà quando torni? Un italiano al Cie di Santa Maria Caserta: i primi video del Cie di Santa Maria |
Le mani Visto da fuori, il centro di identificazione e espulsione di Trapani ha la forma di una mano. Ma non di una sola. Sono almeno una decina. Sono le mani dei suoi detenuti, una sessantina di tunisini recentemente sbarcati a Lampedusa e destinati al rimpatrio. Le loro mani spuntano tra i ferri della gabbia sul ballatoio del secondo piano. E interrogano la fantasia dei passanti, in pieno centro abitato. Alcune si aggrappano alle sbarre. Altre agitano in aria le due dita aperte a v in segno di vittoria. Mentre nel cortile rimbombano le grida della loro ennesima improvvisata protesta. “Libertà! Libertà!”. Il ferro, ovvero il Vulpitta nel racconto di V. Cie Trapani: l'incendio, il pestaggio e la conferma |
L'ordinanza retroattiva. Maroni trasforma 3 tendopoli in Cie Con il pretesto dello stato di emergenza, dichiarato dal Consiglio dei ministri lo scorso 12 febbraio, ormai tutta la questione sbarchi viene gestita in deroga all'ordinamento giuridico e al parlamento. L'ultima ordinanza, la numero 3935 del 21 aprile, ha trasformato tre tendopoli in centri di identificazione e espulsione. Si tratta dei campi di Chinisia (in provincia di Trapani), di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), e di Palazzo San Gervasio (Potenza). |
Il compleanno di Tareq Il 15 marzo Tareq compie cinque anni. E spera tanto che per il suo compleanno papà torni a casa. Ormai non lo vede più da due mesi. “Ma dov’è andato papà, Tareq?”, gli chiedo. “A Avezzano”, mi risponde timidamente, per poi correre a nascondersi dietro le scale, inseguito dalla cuginetta Sara che lo corregge con il tono di una che la sa lunga: “Non è vero! È andato in Marocco!”. Dopo le iniziali risate, nel salotto della famiglia Abaziad scende un attimo di imbarazzo. Nessuno ha ancora spiegato ai bambini che papà è finito al centro di identificazione e espulsione di Modena e che rischia di essere espulso nonostante abbia trascorso gli ultimi 18 anni della sua vita in Italia. Hanno espulso il papà di Tareq |
La zona grigia siamo noi |
Tunisini in rivolta, devastato il Cie di Gradisca Dopo due giorni di rivolte, giovedì e venerdì scorsi, il centro di identificazione e espulsione di Gradisca è letteralmente fuori uso. Resta una sola cella a disposizione per 100 reclusi, e molti sono costretti a mangiare e a dormire per terra e all’addiaccio, ammassati nei corridoi e nei locali della mensa, dove sono tenuti rinchiusi tutti il giorno, e con un unico bagno a disposizione. Oggi in esclusiva siamo in grado di mostrarvi le immagini di questo degrado, che ci hanno spedito gli stessi reclusi. |
L'Ue boccia il reato di inottemperanza. Il commento di Paleologo La Corte di giustizia Ue ha sancito con una sentenza del 28 aprile 2011 che l'Italia deve sospendere il ricorso alla detenzione in carcere come sanzione di chi si trova sul nostro territorio con i documenti di soggiorno scaduti e un pregresso ordine di espulsione non ottemperato. In parole povere, fino a oggi se ti scadeva il permesso di soggiorno, al primo controllo ti beccavi un foglio di via e al secondo finivi dritto in carcere per non avere rispettato l'ordine del questore a lasciare l'Italia. Le pene erano da sei mesi a quattro anni. Migliaia di persone sono finite in carcere per questo motivo negli ultimi dieci anni. Inottemperanti: altri 12 rimessi in libertà a Roma A Torino 30 scarcerati per effetto sentenza corte europea Roma, Firenze, Brescia. Si allunga l'elenco delle Procure contro le espulsioni |
Cie Lamezia: una canzone rap per liberare Talla Free Talla. Si chiama così l'ultimo pezzo dei Twin Vega. "Questo è per il nostro fratello Talla, rinchiuso a Lamezia Terme. Vogliono farti rimpatriare ma noi con i fiori o con le bombe lo impediremo". La canzone è dedicata proprio a uno dei rapper del gruppo: Talla Ndao, senegalese, a cui la polizia ha ritirato il permesso di soggiorno per un precedente penale del 2003, quando appena arrivato in Italia lavorava ancora come venditore ambulante di cd masterizzati. Quando i musicisti della sua band hanno saputo che Talla era stato portato al centro di identificazione e espulsione di Lamezia Terme hanno fatto il possibile per tirarlo fuori. |
Pestaggi, minori e famiglie spezzate. Reportage dal Cie di Torino Famiglie spezzate in due da provvedimenti di espulsione. Rimpatri forzati che colpiscono minori non accompagnati. E poi storie di evasioni, di pestaggi e di proteste estreme di chi vuole tornare in libertà. Continua il viaggio di Fortress Europe dentro i centri di identificazione e espulsione (Cie) italiani, teatro di crescenti tensioni dopo l'entrata in vigore del pacchetto sicurezza. Cie Torino:nel 2008 la Croce Rossa ha incassato 1.680.000 euro per la gestione Cie di Torino: un militare gli spezza un dente, lui lo denuncia A Torino ha una figlia di otto mesi e la moglie. Ma rischia il rimpatrio Due minorenni marocchini rinchiusi al Cie di Torino Cie Torino: parlano i reclusi che tentarono la fuga il 28 settembre Cie di Torino: algerino ingoia cinque pile per tornare in libertà Photogallery dal Cie di Torino |
Psicofarmaci al Cie di Ponte Galeria. La Croce Rossa ammette l'evidenza Valium, Minias, Tavor. “C’è una continua e incessante richiesta di benzodiazepine. E una grossa richiesta di sedativi e ipnotici.” Ad affermare il massiccio utilizzo di psicofarmaci nel centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria a Roma è la fonte più attendibile: il coordinatore medico dell'ente gestore, la Croce Rossa Italiana. L'ammissione, a margine di una visita di Fortress Europe al Cie di Roma, in cui siamo riusciti a raccogliere le storie dei reclusi e a fare alcune fotografie della struttura. Quelli che pagano il conto due volte. Dopo il carcere il Cie Curdo a Ponte Galeria. Chiede asilo, ma rischia rimpatrio Massaggiatrici da spiaggia e madri di famiglia nei Cie. L'Italia ora è più sicura? Ponte Galeria: sciopero della fame al centro identificazioni e espulsioni Il regolare. La storia di Mohamed, che entrò coi flussi e oggi è al Cie Photogallery. Centro di identificazione e espulsione di Roma Suicidio al Cie di Roma. Si toglie la vita una donna tunisina di 49 anni |
Modena, Cie a 5 stelle: 75 euro al giorno per ogni detenuto Chi ancora si ostina a chiamarli "lager" si sbaglia. Esiste una nuova generazione di centri di identificazione e espulsione (Cie). Progettati su misura, dotati di servizi e di qualità certificata. Cie a cinque stelle, che allo Stato costano molto caro, ma che da un punto di vista delle condizioni di detenzione sono inattaccabili. Il Cie di Modena è sicuramente uno di questi. Costruito appositamente nel 2002, a fianco del carcere, dall’esterno ha l’aspetto di un albergo. Niente filo spinato, niente mura di cinta. Il colore arancione delle pareti rassicura. All’interno i 6 “moduli abitativi”, come vengono definite le celle, si affacciano sui tre lati di un cortile, a mo’ di ferro di cavallo. Ma nonostante la mano nuova di vernice, restano gabbie per viaggiatori. Con tutto il carico di violenza istituzionale che questo comporta. Il giro di vite. Da Modena, raddoppiati i rimpatri in 2 anni Cie di Modena: rimpatriati i responsabili della rivolta del 17 agosto "Io, paragonato a un nazista". Parla un operatore del Cie di Modena Cie Modena 2012: "La cosa più bella al mondo è la libertà" |
Cie di Crotone: analisi di un fallimento L’hanno riaperto il 28 febbraio 2009 per l’emergenza Lampedusa. Il Cie di Crotone consiste in due vecchie palazzine verdi, dove alloggiavano in passato i militari della base dell’aeronautica di Sant'Anna. Tutto intorno si trova una doppia recinzione. La prima è una grata di metallo alta quattro metri. La seconda è un muro di cinta di quattro metri sormontato da una rete metallica piegata verso l’interno per evitare le fughe. La capienza è di 100 posti, ricavati al primo e secondo piano delle due palazzine. 25 persone per piano. Gli interni sono fatiscenti. Neon rotti, intonaci che cadono a pezzi sui letti e squarci nei muri testimoniano le rivolte del primo periodo di apertura del Cie, dal 2003 al 2007. Crotone: 500.000 euro per rimpatriare 32 persone in sei mesi Sanatoria 2009: su 96 detenuti al Cie di Crotone, solo 6 hanno potuto fare domanda Proteste al Cie di Crotone. Reclusi sui tetti Crotone: le foto del centro identificazioni e espulsioni di Sant'Anna |
Bari: due algerini pestati dai militari al Cie. Le foto su Youtube "L'hanno riportato sulla barella, aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se avesse visto la morte in faccia. Mi ha ricordato la Iugoslavia". Dopo Gradisca, Bari. Altro centro di identificazione e espulsione, altro pestaggio. Anche stavolta, ad avvalorare le testimonianze dei reclusi ci sono delle fotografie scattate con il cellulare e spedite oltre il muro di cinta che circonda il Cie di Bari Palese. I fatti risalgono all'alba di domenica 20 settembre 2009. Sono le quattro del mattino quando un detenuto in preda alla disperazione inizia a tagliarsi con una lametta. Il sangue zampilla. Gli altri detenuti chiamano aiuto. Cie Bari: un video dall'interno girato dai detenuti Algerino sì o no? Alì, rimbalzato tra Algeri e Milano e da 9 mesi nei Cie Class action contro il Cie di Bari |
Pestaggi al cie di Gradisca. Un video documenta le violenze Finalmente cattivi. Qualcuno deve aver preso sul serio le parole del ministro Maroni. E le ha applicate alla lettera. Almeno a giudicare dal numero di ematomi che si possono contare sui corpi dei detenuti del centro di identificazione e espulsione (Cie) di Gradisca d’Isonzo. Siamo in provincia di Gorizia, a due passi dalla frontiera slovena. I fatti risalgono al 21 settembre 2009. Ma le prove sono arrivate soltanto ieri. Si tratta di un video girato di nascosto all'interno del Cie e diffuso su Youtube. Delegazione di parlamentari Pd in visita al Cie di Gradisca Rivolta a Gradisca. Tensione e pestaggi dopo una tentata evasione |
ITALIANI NEI CIE Fuori hanno moglie e figli. L'Italia li rimpatria Le vittime del giro di vite sulla clandestinità sono soprattutto “italiani”. Italiani tra virgolette, perché non hanno la cittadinanza, ma in Italia vivono da 20 anni. Le loro famiglie abitano qui e adesso rischiano di essere spezzate in nome della sicurezza degli italiani senza virgolette. Le loro storie su Fortress Europe. A Torino ha una bambina di 8 mesi e la moglie. Sarà comunque rimpatriato Apolide croato cancellato dalle anagrafi, l'Italia si ostina a rimpatriarlo Rimpatriato in Italia. Edward e quella partita di ping pong tra Italia e Ghana In Italia da 29 anni, a Roma ha moglie e figlio. Ma ora rischia il rimpatrio Festa di compleanno al Cie di Roma. Ma la ragazza ha 16 anni! Floriana, in Italia da quando aveva 13 anni, oggi rischia l'espulsione Dalle ville dei ricchi al Cie di Roma. Era in Italia da 19 anni, oggi espulso Gennaio 2010 - La sentenza della Corte di Cassazione: chi ha i figli in Italia non può essere espulso Marzo 2010 - Marcia indietro della Cassazione: espulsi anche con i figli in Italia |
Quelli che pagano il conto due volte. Dopo il carcere il Cie Un terzo dei detenuti nelle carceri italiane è costituito da cittadini stranieri, molti dei quali in attesa di giudizio. I reati più frequenti sono quelli legati allo spaccio di droghe illegali, ai furti e all'inottemperanza del decreto di espulsione. La legge prevede il rimpatrio a fine pena. E una direttiva del 2007 del governo Prodi prevede che l'identificazione avvenga in carcere. Quella circolare però è rimasta lettera morta. E così, i detenuti stranieri, una volta pagato il conto con la giustizia per i reati commessi, devono scontare una pena aggiuntiva nei CIE. Murad, un assassino al CIE di Ponte Galeria |
Picchiati dalla polizia. Parlano i detenuti del Cie di Lampedusa Manganellati dalla polizia, “senza pietà”. Ferite alla testa, fratture alla mano e contusioni alle gambe. Per la prima volta, parlano i detenuti del Centro di identificazione e espulsione (Cie) di Lampedusa. Sono più di 600 tunisini e un centinaio di marocchini. Rinchiusi da oltre tre mesi in condizioni inumane. Siamo riusciti a aggirare il divieto di ingresso della stampa e a raccogliere le testimonianze di alcuni di loro sotto stretto anonimato. Ecco cosa è davvero successo il giorno della rivolta, lo scorso 18 febbraio 2009. |
Pestaggi al cie di Gradisca. Un video documenta le violenze Hanno chiesto asilo politico ma l'Italia ha detto di no. E adesso rischiano di essere rimpatriati e arrestati per reati politici. Sono una trentina di esuli tunisini originari della città di Redeyef, centro nevralgico del ricco bacino minerario di fosfati del sud ovest del paese, balzato alla cronaca per le dure proteste sindacali esplose nel corso del 2008 e duramente represse dal regime di Ben Ali, con tre morti in piazza, decine di feriti sotto gli spari della polizia e 33 sindacalisti condannati a pene dai due agli otto anni di carcere. Tunisia: la dittatura a sud di Lampedusa |
Viaggio nei Cie. Reportage dal Serraino Vulpitta di Trapani I detenuti stanno al secondo piano. Dalle sbarre del cancello si intravedono le porte delle celle aperte sul ballatoio. Le balaustre sono circondate da reti metalliche. Sotto, le palme del giardino del Vulpitta. Il ballatoio è chiuso sui due lati da cancelli grigi di ferro. I lucchetti si aprono quattro volte al giorno. Per i pasti, e per l'ora d'aria concessa nel pomeriggio, per giocare nel campetto di calcio nel parcheggio all'ingresso, sotto la vigilanza della polizia Vulpitta inefficiente e costoso: 1 milione per 80 rimpatri Al Vulpitta le prime vittime dei cpt, nell'incendio del 1999 |
Ricostruzione di un'espulsione svizzera Quella che vedete è la ricostruzione di un rimpatrio forzato in Svizzera. Si tratta di una docufiction realizzata sulla base di testimonianze di persone che sono state espulse e di funzionari che hanno partecipato alle operazioni di rimpatrio forzato. Ma anche sui materiali di addestramento della polizia di frontiera svizzera, che prevedono 4 livelli di intervento a seconda della resistenza opposta dalla persona da espellere. Il livello 4 è il più brutale. Talmente brutale che il 17 marzo del 2010 il nigeriano Joseph Ndukaku Chiakwa è morto d'infarto mentre lo stavano legando alla sedia per portarlo sull'aereo. La machine à expulser. Un webdoc sui Cie francesi Illegal. Al cinema un film di Masset-Depasse sui Cie in Belgio Vol Spécial: il nuovo documentario di Melgar sui Cie in Svizzera Regno Unito: un angolano muore durante le operazioni di rimpatrio Video: 14 passeggeri contro un'espulsione sul volo Parigi-Bamako Video: legati mani e piedi, un'espulsione all'aeroporto di Madrid Giappone: ghanese ucciso durante un'espulsione Francia: un poliziotto racconta l'ordinaria violenza dei rimpatri |