BARI - Secondo il censimento del 2001, la Croazia ha una popolazione pari a 4.437.460 abitanti, 9.811 dei quali sono apolidi. Già perché dopo la firma degli accordi di pace di Dayton nel 1995, che posero fine alla guerra scoppiata nel 1991, molti cittadini della dissolta Jugoslavia si ritrovarono cancellati dalle anagrafi dei nuovi Stati indipendenti. All’epoca Boris viveva in Italia da un pezzo. A Milano era arrivato nel 1989, prima della guerra, quando era ancora un ventenne cittadino jugoslavo. L’amara sorpresa arrivò nel 2002.
C’era la sanatoria Bossi-Fini e dopo dieci anni di sacrifici finalmente Boris aveva l’opportunità di regolarizzarsi. Ma quando si recò al Consolato croato a Milano, gli venne risposto che non aveva la cittadinanza. C’era soltanto un suo certificato di nascita, in un piccolo paesino vicino Spalato, ma non risultava essere cittadino croato. Da allora Boris è sospeso nel limbo. Non è croato, non è italiano. Non può essere regolarizzato perché non ha documenti di identità. Ma non può essere nemmeno espulso, perché non è cittadino di nessuno Stato.
Sul suo caso deciderà il tribunale di Bari. Il 26 ottobre c’è l’udienza. Il suo avvocato infatti ha presentato un’istanza al giudice ordinario citando in causa come controparte il ministero dell’Interno per vedere riconosciuta la sua apolidia. Il verdetto tuttavia è tutt’altro che scontato. A pesare come un macigno sulla sorte di Boris c’è infatti un precedente penale per spaccio, per cui ha già pagato, con sei anni di carcere, dal 2003 al luglio scorso, quando, a fine pena, è stato portato al centro identificazione e espulsione (Cie) di Milano. Da lì, dopo la rivolta del 14 agosto al Cie di via Corelli, venne trasferito con una quarantina di reclusi al Cie di Bari, dove è tuttora detenuto.
Per la legge il suo è un corpo da espellere. E se nessuno Stato riconosce come suo quel corpo, poco importa. Rimarrà fermo un turno. Come in un sadico gioco dell'oca. Sei mesi della propria vita buttati dietro alle sbarre. Senza aver commesso nessun reato. Vittima di una mappa.
C’era la sanatoria Bossi-Fini e dopo dieci anni di sacrifici finalmente Boris aveva l’opportunità di regolarizzarsi. Ma quando si recò al Consolato croato a Milano, gli venne risposto che non aveva la cittadinanza. C’era soltanto un suo certificato di nascita, in un piccolo paesino vicino Spalato, ma non risultava essere cittadino croato. Da allora Boris è sospeso nel limbo. Non è croato, non è italiano. Non può essere regolarizzato perché non ha documenti di identità. Ma non può essere nemmeno espulso, perché non è cittadino di nessuno Stato.
Sul suo caso deciderà il tribunale di Bari. Il 26 ottobre c’è l’udienza. Il suo avvocato infatti ha presentato un’istanza al giudice ordinario citando in causa come controparte il ministero dell’Interno per vedere riconosciuta la sua apolidia. Il verdetto tuttavia è tutt’altro che scontato. A pesare come un macigno sulla sorte di Boris c’è infatti un precedente penale per spaccio, per cui ha già pagato, con sei anni di carcere, dal 2003 al luglio scorso, quando, a fine pena, è stato portato al centro identificazione e espulsione (Cie) di Milano. Da lì, dopo la rivolta del 14 agosto al Cie di via Corelli, venne trasferito con una quarantina di reclusi al Cie di Bari, dove è tuttora detenuto.
Per la legge il suo è un corpo da espellere. E se nessuno Stato riconosce come suo quel corpo, poco importa. Rimarrà fermo un turno. Come in un sadico gioco dell'oca. Sei mesi della propria vita buttati dietro alle sbarre. Senza aver commesso nessun reato. Vittima di una mappa.
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