18 July 2011

Un giudice contro il governo: sequestri a Lampedusa


La libertà personale è un diritto inviolabile. A volte qualcuno se lo ricorda. Di sicuro non se l'è mai scordato il giudice di pace di Palermo Giuseppe Alioto, che in una sentenza della scorso 4 luglio ha espressamente condannato come illegali e addirittura incostituzionali le pratiche di detenzione arbitraria dei tunisini nel centro di accoglienza di Lampedusa. Si tratta della prima sentenza del genere da quando il centro di accoglienza dell'isola è stato trasformato, nell'aprile scorso, in un carcere a tutti gli effetti. Ed è un bel colpo per il governo, che sullo stato di eccezione ha costruito tutta la politica sui rimpatri in Tunisia. Ma stavolta le violazioni erano troppo grosse per far finta di niente. Hicham Boughanmi, il ricorrente, difeso dall'avvocato Barbara Cattelan del foro di Torino, era stato recluso 10 giorni, dal 6 maggio al 16 maggio, nel centro d'accoglienza dell'isola, per poi essere trasferito al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Torino con un provvedimento di "respingimento differito". Il ricorso nasce da lì. Da quei 10 giorni di reclusione sull'isola, che nessun giudice ha mai convalidato. Secondo la difesa quella fu ingiusta detenzione, e fu una palese violazione dell'articolo 13 della costituzione italiana e dell'articolo 5 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.

Il giudice Alioto ha condiviso le tesi della difesa sostenendo che “nel caso in esame si è assistito ad un trattenimento di fatto dello straniero, in condizioni di restrizione e/o limitazione della sua libertà personale non sorretto da alcun provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, in palese violazione dell'articolo 13 della Costituzione per un tempo indefinito e indeterminato demandato alla più ampia discrezionalità della pubblica amministrazione”.

Hicham Boughanmi nel frattempo è stato espulso. L'hanno caricato di forza su un aereo per Tunisi lo scorso 4 luglio. Lo stesso giorno in cui a Palermo il giudice Alioto scriveva la sentenza che annullava il suo decreto di espulsione. Ma perlomeno ha avuto giustizia. Il giudice di pace di Palermo ha scritto nero su bianco che la sua fu ingiusta detenzione, che fu - aggiungiamo noi - sequestro di persona. E questo è un importantissimo precedente.

Consigliamo agli avvocati di tutta Italia di scaricarsi la sentenza del giudice Alioto e di studiarsela nei dettagli. Anche se poi rimane aperto un altro problema, che è il problema della giurisdizione. Ovvero: a chi vanno presentati i ricorsi avverso i respingimenti differiti? Al giudice ordinario o al Tar?

Il giudice Alioto ha rivendicato la titolarità del caso in quanto si trattava di un caso evidente di “coercizione della libertà personale”. Ma è un'eccezione. Perché quasi tutti i giudici di pace, di fronte a ricorsi avverso respingimenti differiti evitano di pronunciarsi, demandando il caso al Tar, che a sua volta non entra nel merito rimandando il caso indietro ai giudici di pace.

E allora la prossima sfida degli avvocati dovrebbe essere proprio questa. Presentare un ricorso per il regolamento di giurisdizione davanti alla Cassazione, affinché sia chiarito una volta per tutti chi è il giudice competente per simili ricorsi. E a quel punto presentare in modo sistematico centinaia e migliaia di ricorsi simili a quello del caso di Boughanmi. Affinché i giudici rimettano sui binari lo stato di diritto, che in frontiera è ormai deragliato.

Basti pensare alle migliaia di tunisini che quest'anno sono stati sequestrati dallo Stato italiano, per intere settimane, nei centri di accoglienza di Lampedusa, di Pantelleria, di Porto Empedocle, di Salinagrande, piuttosto che sulle navi dedicate al loro smistamento in Italia. E lo stesso dicasi degli egiziani sequestrati nel capannone del porto di Pozzallo, dove l'altra settimana è scoppiata la rivolta.

Per tutti loro, e parliamo di migliaia di persone, ci troviamo di fronte a sequestro di persona. Ovvero a migliaia di uomini e donne privati della propria libertà personale senza un valido motivo e soprattutto senza la convalida del giudice.

Spezzare alla base questo perverso stato di eccezione significherebbe bloccare le politiche di rimpatri collettivi e indiscriminati portati avanti da questo governo. E più in generale sradicare sul nascere quella pericolosissima cultura per cui la legge è un bastone tra le ruote, e lo stato d'eccezione il metodo più sbrigativo e funzionale.

Per approfondimenti:
La sentenza del caso Boughanmi
Respingimenti differiti e detenzione arbitraria, l'analisi di Fulvio Vassallo Paleologo