07 July 2011

Richiedenti asilo nei Cie. L'Acnur da che parte sta?

Il centro d'identificazione e espulsione di Chinisia (Tr)
Rispetto alla maggioranza dei ragazzi partiti semplicemente per il gusto dell'avventura, sono pochi, pochissimi in verità, ma ci sono anche loro. Parlo dei tunisini che chiedono asilo politico all'Italia. Evidentemente non sono più i perseguitati dalla dittatura, perché per fortuna il regime di Ben Ali, per anni sostenuto dall'Italia, è caduto. Sono invece alcuni ex poliziotti, gente che aveva lavorato con l'Rcd, il vecchio partito del dittatore, o in altri casi attivisti che hanno fatto la rivoluzione e poi si sono dovuti confrontare con i poteri mafiosi cittadini, che a livello locale fanno più paura della polizia di Stato. In teoria hanno diritto a chiedere asilo e ad essere ospitati in un centro d'accoglienza dove poi una speciale commissione esaminerà la veridicità delle loro storie. In pratica però finiscono tutti nei centri di identificazione e espulsione per essere poi rimpatriati. Per aggirare la legge, basta che l'ufficio immigrazione della Questura di Agrigento, sotto cui ricade la competenza di Lampedusa, faccia sparire la lista dei nominativi di chi ha chiesto asilo. Una vera e propria truffa, di cui è perfettamente a conoscenza l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), che però sul tema ha deciso di non esporsi in alcun modo, come abbiamo avuto modo di verificare personalmente a Trapani.

Facciamo un passo indietro. Venti giugno 2011. Giornata mondiale del rifugiato. A Roma l'Alto commissariato dei rifugiati delle Nazioni Unite (Acnur) celebra l'anniversario con una conferenza stampa di Antonio Guterres, dopo che il giorno prima l'attrice Angelina Jolie ha visitato il centro d'accoglienza di Lampedusa. In frontiera invece è un'intensa giornata di lavoro come le altre. E Chinisia non fa eccezione. Davanti al nuovo centro di identificazione e espulsione (Cie) trapanese, a metà mattinata il sole è già alto e si suda dal caldo. Le udienze di convalida del trattenimento procedono a rilento all'interno di un box nel piazzale davanti alla gabbia. Il solito giudice di pace alle prime armi, due avvocati d'ufficio e un terzo avvocato, Fabio Giacalone, appositamente nominato da alcuni reclusi.

Il giudice si deve pronunciare sulla legittimità della detenzione di una ventina di tunisini arrivati al cie venerdì 17 giugno. Ancora non sa che hanno tutti chiesto asilo in frontiera, quando sono sbarcati a Lampedusa ormai un mese fa. Normalmente in questi casi la questura di Agrigento, sotto la cui responsabilità ricade il centro di Lampedusa, compila una lista con i nominativi di chi ha espresso la volontà di chiedere asilo e sulla base di quella lista si effettuano i trasferimenti nei centri di accoglienza. Questa volta però la lista è stata fatta sparire. E sui provvedimenti di respingimento in frontiera consegnati ai reclusi non c'è traccia dell'avvenuta domanda di protezione internazionale. I detenuti insistono che l'hanno presentata a Lampedusa. Ma senza una prova il giudice non può disporne il trasferimento in un centro di accoglienza, come impone la legge e come accade da mesi per tutti gli africani sbarcati dalla Libia. Mentre continuano le udienze di convalida, arriva al campo un'operatrice dell'Acnur e un interprete. Pensiamo tutti che siano venuti per sistemare il caso dei richiedenti asilo tunisini, e invece...

Invece ci informano che non sanno niente delle loro richieste d'asilo fatte a Lampedusa, e che dovranno riformulare la richiesta a Chinisia, e trascorrere i prossimi mesi in gabbia in attesa della risposta della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato che dovrà ascoltarli. Incredulo, telefono a un operatrice delle Nazioni Unite che lavora a Lampedusa. Gli chiedo della lista, mi risponde che è sulla sua scrivania e che ci sono i nomi di chi ha fatto richiesta d'asilo. Ma quando le chiedo di inviarla via fax all'avvocato per tirare fuori dalla gabbia i tunisini che hanno diritto a essere trasferiti al centro d'accoglienza, il tono della telefonata cambia. Deve chiedere ai suoi responsabili. Un secondo giro di chiamate e la risposta è negativa. L'Acnur non può inviare la lista, non rientra nelle loro funzioni, ordini superiori.

Come dire che mentre in frontiera gli operatori dell'Acnur ce la mettono tutta, dietro alle scrivanie romane qualcuno ha deciso di non andare allo scontro con il governo italiano, secondo il quale tutti i tunisini devono essere espulsi. Senza se e senza ma. Eppure l'Acnur era stato in prima linea nel 2009 contro i respingimenti in Libia, al punto che Gheddafi a un certo punto li aveva cacciati pure dal paese. Cosa è cambiato dunque ai piani alti dell'organizzazione a Roma?

Non dovrebbe essere una legittima preoccupazione il fatto che venti richiedenti asilo politico siano prima sequestrati dallo Stato italiano per 40 giorni a Lampedusa e poi trasferiti in un centro di espulsione, dopo che la questura ha fatto sparire le loro richieste d'asilo? Qualcuno obietterà che potranno ripresentarle. Certo, ma dentro una gabbia anziché in un centro aperto. E soprattutto contro il dettato della legge italiana.

Forse Maroni non è il solo a ragionare in bianco e nero. Sì, della serie i neri di qua e i bianchi di là. Agli africani le richieste d'asilo. Agli arabi l'espulsione. Anche quando gli arabi vengono dalla Libia. Penso ai quattro omosessuali (due marocchini, un tunisino e un libico) arrivati su una barca salpata da Tripoli e rinchiusi nel centro di espulsione di Chinisia, nonostante avrebbero diritto per legge a un permesso umanitario. Penso ai 22 egiziani sbarcati il 6 giugno a Lampedusa venuti anche loro da Tripoli, eppure trasferiti il 17 giugno al centro espulsioni di Torino, nonostante avessero chiesto asilo politico al nostro paese.

A tirarli fuori dal centro non c'ha pensato l'Acnur. Ma un avvocato torinese, Guido Savio, a cui ho personalmente segnalato il caso, dopo che me ne aveva informato un signore tunisino recluso con loro nel Cie, che si diceva indignato per le condizioni di uno degli egiziani, un signore sulla sessantina malato di diabete e ipertensione e costretto alla gabbia come se fosse un criminale. Il giudice di pace ha accolto le tesi della difesa e ha ordinato il rilascio di tutti. Sulla base della precedente richiesta d'asilo espressa a Lampedusa.

Niente di sovversivo, lo dice la legge sull'immigrazione. Ma forse a Roma l'Acnur ha deciso di rispondere a altre logiche, anche quando il governo viola palesemente i diritti di coloro che l'Acnur è finanziata per difendere. A meno che – esattamente come fa il Viminale – anche l'Acnur abbia deciso a priori che i tunisini raccontano balle e che non vale la pena seguirli.

Ma se così fosse non si capisce perché abbiano seguito negli anni passati decine di migliaia di persone giunte a Lampedusa con storie inventate pur di avere un documento. Solo metà di chi chiede la protezione in Italia la ottiene. E gli altri? Se le storie sono vere o finte a deciderlo è la commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato. Qua si tratta di garantire l'accesso alla domanda d'asilo, senza nulla togliere al grande lavoro di cui si sta facendo carico l'Acnur con il grande numero di profughi in arrivo dalla Libia. Ma proprio per il particolare momento storico, è inammissibile che la polizia faccia da filtro e decida chi può chiedere asilo e chi no, sulla semplice base della loro nazionalità. Oggi sono i tunisini, domani potrebbero essere i libici, o i somali, o gli eritrei. Che differenza fa? Se l'Acnur accetta oggi il principio di discriminazione, domani cosa dirà?


Aggiornamento 11 luglio 2011: Richiedenti asilo nei Cie: l'Acnur prende posizione