Finalmente una buona notizia. Buona davvero questa volta. La Corte di giustizia Ue ha sancito con una sentenza del 28 aprile 2011 che l'Italia deve sospendere il ricorso alla detenzione in carcere come sanzione di chi si trova sul nostro territorio con i documenti di soggiorno scaduti e un pregresso ordine di espulsione non ottemperato. In parole povere, fino a oggi se ti scadeva il permesso di soggiorno, al primo controllo ti beccavi un foglio di via e al secondo finivi dritto in carcere per non avere rispettato l'ordine del questore a lasciare l'Italia. Le pene erano da sei mesi a quattro anni. Roba della legge Bossi Fini del 2002, articolo 14 comma 5 ter. Insomma ben prima dell'ultimo pacchetto sicurezza. Un obbrobrio giudiziario che ha scritto la storia delle carceri italiane e delle politiche di creazione del disagio e della marginalità nel nostro paese. E sì perché per 10 anni, dal 2002 a oggi, migliaia e migliaia di persone sono state arrestate senza aver commesso reati e condannate perché prive di un documento di soggiorno e colpevoli di non aver lasciato l'Italia. Migliaia di processi celebrati sulla loro pelle hanno intasato le aule dei tribunali italiani, alla faccia di chi oggi propone il processo breve. Senza poi calcolare l'effetto devastante che tutto ciò può avere avuto sulle vite di moltissimi di loro, costretti in carcere per mesi e anni nelle condizioni disastrose di sovraffollamento in cui si trovano le carceri italiane da prima e dopo l'indulto del 2006. Adesso però toccherà applicare la direttiva europea sui rimpatri. La Corte di giustizia non lascia margine di dubbio. Una direttiva europea prevale sul diritto interno. E allora, secondo quella direttiva, gli Stati membri possono fare limitare la libertà di uno straniero solo come strumento atto all'identificazione e all'espulsione dello stesso, e non come pena aggiuntiva. Che poi era la stessa tesi sostenuta dalle procure di Roma, Brescia e Firenze, che già dal gennaio scorso avevano smesso di contestare il reato di inottemperanza.
Anche se poi questa direttiva rimpatri non è tutta rose e fiori. E non è un caso che tre anni fa, quando venne approvata, era soprannominata la direttiva vergogna. Se da un lato infatti vieta il ricorso al carcere come strumento delle politiche migratorie di un paese, dall'altro invece sostiene di fatto il ricorso ai centri di identificazione e espulsione, autorizzando addirittura la detenzione negli stessi centri fino a 18 mesi, sempre con la condizione che ciò sia propedeutico all'espulsione. Insomma un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma per ora prendiamo il lato straordinariamente positivo di questa sentenza. Ovvero l'azzeramento di dieci anni di politiche di criminalizzazione delle migliaia di persone che vivono in questo paese senza i documenti o con i documenti scaduti.
Per capire meglio di cosa si tratta, vi proponiamo di seguito una analisi del professor Fulvio Vassallo Paleologo, giurista dell'università di Palermo, e il testo della sentenza della Corte di giustizia.
La Corte di Giustizia boccia il reato di inottemperanza all’allontanamento (14, co 5 ter)
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
La Corte di giustizia UE ha stabilito che la direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei migranti irregolari “osta ad una normativa nazionale che punisce con la reclusione il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato ad un ordine di lasciare il territorio nazionale. Una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere la realizzazione dell’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali”. In altri termini la “cattiveria” di Maroni, con l’inasprimento di tutte le sanzioni penali introdotto dai diversi “pacchetti sicurezza”, e la criminalizzazione di qualunque ipotesi di irregolarità, hanno solo prodotto clandestinità e non sono servite, oltre alle vittorie elettorali, ad assicurare una efficace politica dei rimpatri. Adesso lo dice anche l’Unione Europea.
La pronuncia della Corte di Lussemburgo prevale sulla normativa interna, ed i giudici che dovranno occuparsi nei prossimi giorni di convalide di respingimenti, espulsioni e misure di trattenimento dovranno tenere conto dei principi affermati dai giudici europei. Infatti, secondo la Corte “il giudice nazionale, incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
La decisione della Corte di Giustizia costituisce una condanna irreversibile delle politiche repressive e demagogiche adottate negli ultimi anni dai diversi governi in materia di immigrazione irregolare, senza che il breve periodo di Prodi e Amato fosse riuscito a modificare l’impianto della legge Bossi-Fini, successivamente aggravato dal pacchetto sicurezza introdotto dala legge 94 del 2009. Si afferma per la prima volta il principio che la sanzione penale non può costituire lo strumento per governare fenomeni complessi che richiedono un giusto equilibrio tra l’efficacia degli interventi ed il rispetto dei principi fondamentali della persona umana, principi da riconoscere senza deroga alcuna anche agli immigrati irregolari.
Secondo la Corte " ... gli stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo.... una pena detentiva, come quella prevista dall’art. 14, comma 5 ter del d.lgs 286/98, solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale."
Appare al riguardo particolarmente importante l’affermazione secondo la quale "... se è vero che la legislazione penale e le norme di procedura penale rientrano, in linea di principio, nella competenza degli stati membri, su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto dell’Unione".
In base alla direttiva comunitaria sui rimpatri, che vieta qualunque automatismo nella sanzione penale e nelle misure limitative della libertà personale, indicando la necessità del preventivo esperimento del rimpatrio volontario, salvo casi indicati tassativamente, "... tale privazione della libertà deve avere durata quanto più breve possibile e protrarsi solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio".
La sentenza non tocca, per ora, il reato contravvenzionale di clandestinità introdotto nel 2009 con l’art. 10 bis, ma anche su questa norma pende un giudizio di rinvio davanti alla Corte di Lussemburgo, e se la Corte non adotterà valutazioni di bilanciamento politico, ma resterà coerente con i principi enunciati nella sentenza di ieri, anche questo reato, nella sua attuale formulazione, dovrà essere dichiarato in contrasto con la Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri.
La decisione dei giudici di Lussemburgo ha infatti una portata molto ampia. La Corte ricorda che: " ...al giudice del rinvio... spetterà disapplicare ogni disposizione del D.Lgs 286/98 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter...". Anche la materia dei trattenimenti nei centri di identificazione ed espulsione, o nelle diverse strutture improprie nelle quali in queste ultime settimane sono stati rinchiusi i migranti che si riteneva di respingere o di espellere, rimane fortemente incisa dalla sentenza emessa ieri.
Effetti rilevanti si avranno anche nelle carceri. Coloro che sono colpevoli soltanto di inottemperanza all’ordine di lasciare entro 5 giorni il territorio (il cd. foglio di via) dovranno essere rilasciati. Occorrerà promuovere infatti le istanze di scarcerazione per tutti coloro che siano detenuti in attesa di giudizio o per effetto di sentenza definitiva di condanna per il reato commesso dopo il 24 dicembre 2010, data ultima per il recepimento della Direttiva rimpatri. Finalmente, la criminalizzazione degli immigrati irregolari, detenuti soltanto per non avere ottemperato all’ordine di allontanamento del Questore, dovrebbe cessare.
Adesso occorrerebbe denunciare al giudice penale le espulsioni adottate o eseguite, senza provvedimenti formali, come quelle disposte ed eseguite in Sicilia e in Campania, o senza provvedimenti conformi alla direttiva rimpatri, e sollevare eccezioni di costituzionalità nei giudizi in corso, su tutta la disciplina dei rimpatri forzati e della detenzione amministrativa contenuta nel T.U. sull’immigrazione, magari sulla base delle stesse considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia, per effetto del richiamo degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione che affermano il primato del diritto comunitario.
Non si dovrebbe comunque cantare vittoria troppo presto, perchè è prevedibile che il Minisro Maroni tenti di risolvere il contrasto con un decreto legge, già annunciato da tempo, che il Presidente della Repubblica Napolitano in questo momento non esiterà a firmare proprio trattandosi di un provvedimento in materia di immigrazione. Su questo è facile prevedere che il governo si possa ricompattare. Del resto per la Lega, l’unico vero motivo per dire no ai bombardamenti sulla Libia è proprio la paura dell’immigrazione che Gheddafi potrebbe “scagliare” contro il nostro paese.
Le ricadute di tale decisione della Corte di Giustizia investiranno in ogni caso diversi aspetti della disciplina e diverse questioni tuttora aperte.
Sentenza della Corte di Giustizia Europea C-61/11/PPU del 28 aprile 2011
Anche se poi questa direttiva rimpatri non è tutta rose e fiori. E non è un caso che tre anni fa, quando venne approvata, era soprannominata la direttiva vergogna. Se da un lato infatti vieta il ricorso al carcere come strumento delle politiche migratorie di un paese, dall'altro invece sostiene di fatto il ricorso ai centri di identificazione e espulsione, autorizzando addirittura la detenzione negli stessi centri fino a 18 mesi, sempre con la condizione che ciò sia propedeutico all'espulsione. Insomma un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma per ora prendiamo il lato straordinariamente positivo di questa sentenza. Ovvero l'azzeramento di dieci anni di politiche di criminalizzazione delle migliaia di persone che vivono in questo paese senza i documenti o con i documenti scaduti.
Per capire meglio di cosa si tratta, vi proponiamo di seguito una analisi del professor Fulvio Vassallo Paleologo, giurista dell'università di Palermo, e il testo della sentenza della Corte di giustizia.
La Corte di Giustizia boccia il reato di inottemperanza all’allontanamento (14, co 5 ter)
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
La Corte di giustizia UE ha stabilito che la direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei migranti irregolari “osta ad una normativa nazionale che punisce con la reclusione il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato ad un ordine di lasciare il territorio nazionale. Una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere la realizzazione dell’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali”. In altri termini la “cattiveria” di Maroni, con l’inasprimento di tutte le sanzioni penali introdotto dai diversi “pacchetti sicurezza”, e la criminalizzazione di qualunque ipotesi di irregolarità, hanno solo prodotto clandestinità e non sono servite, oltre alle vittorie elettorali, ad assicurare una efficace politica dei rimpatri. Adesso lo dice anche l’Unione Europea.
La pronuncia della Corte di Lussemburgo prevale sulla normativa interna, ed i giudici che dovranno occuparsi nei prossimi giorni di convalide di respingimenti, espulsioni e misure di trattenimento dovranno tenere conto dei principi affermati dai giudici europei. Infatti, secondo la Corte “il giudice nazionale, incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
La decisione della Corte di Giustizia costituisce una condanna irreversibile delle politiche repressive e demagogiche adottate negli ultimi anni dai diversi governi in materia di immigrazione irregolare, senza che il breve periodo di Prodi e Amato fosse riuscito a modificare l’impianto della legge Bossi-Fini, successivamente aggravato dal pacchetto sicurezza introdotto dala legge 94 del 2009. Si afferma per la prima volta il principio che la sanzione penale non può costituire lo strumento per governare fenomeni complessi che richiedono un giusto equilibrio tra l’efficacia degli interventi ed il rispetto dei principi fondamentali della persona umana, principi da riconoscere senza deroga alcuna anche agli immigrati irregolari.
Secondo la Corte " ... gli stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo.... una pena detentiva, come quella prevista dall’art. 14, comma 5 ter del d.lgs 286/98, solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale."
Appare al riguardo particolarmente importante l’affermazione secondo la quale "... se è vero che la legislazione penale e le norme di procedura penale rientrano, in linea di principio, nella competenza degli stati membri, su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto dell’Unione".
In base alla direttiva comunitaria sui rimpatri, che vieta qualunque automatismo nella sanzione penale e nelle misure limitative della libertà personale, indicando la necessità del preventivo esperimento del rimpatrio volontario, salvo casi indicati tassativamente, "... tale privazione della libertà deve avere durata quanto più breve possibile e protrarsi solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio".
La sentenza non tocca, per ora, il reato contravvenzionale di clandestinità introdotto nel 2009 con l’art. 10 bis, ma anche su questa norma pende un giudizio di rinvio davanti alla Corte di Lussemburgo, e se la Corte non adotterà valutazioni di bilanciamento politico, ma resterà coerente con i principi enunciati nella sentenza di ieri, anche questo reato, nella sua attuale formulazione, dovrà essere dichiarato in contrasto con la Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri.
La decisione dei giudici di Lussemburgo ha infatti una portata molto ampia. La Corte ricorda che: " ...al giudice del rinvio... spetterà disapplicare ogni disposizione del D.Lgs 286/98 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter...". Anche la materia dei trattenimenti nei centri di identificazione ed espulsione, o nelle diverse strutture improprie nelle quali in queste ultime settimane sono stati rinchiusi i migranti che si riteneva di respingere o di espellere, rimane fortemente incisa dalla sentenza emessa ieri.
Effetti rilevanti si avranno anche nelle carceri. Coloro che sono colpevoli soltanto di inottemperanza all’ordine di lasciare entro 5 giorni il territorio (il cd. foglio di via) dovranno essere rilasciati. Occorrerà promuovere infatti le istanze di scarcerazione per tutti coloro che siano detenuti in attesa di giudizio o per effetto di sentenza definitiva di condanna per il reato commesso dopo il 24 dicembre 2010, data ultima per il recepimento della Direttiva rimpatri. Finalmente, la criminalizzazione degli immigrati irregolari, detenuti soltanto per non avere ottemperato all’ordine di allontanamento del Questore, dovrebbe cessare.
Adesso occorrerebbe denunciare al giudice penale le espulsioni adottate o eseguite, senza provvedimenti formali, come quelle disposte ed eseguite in Sicilia e in Campania, o senza provvedimenti conformi alla direttiva rimpatri, e sollevare eccezioni di costituzionalità nei giudizi in corso, su tutta la disciplina dei rimpatri forzati e della detenzione amministrativa contenuta nel T.U. sull’immigrazione, magari sulla base delle stesse considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia, per effetto del richiamo degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione che affermano il primato del diritto comunitario.
Non si dovrebbe comunque cantare vittoria troppo presto, perchè è prevedibile che il Minisro Maroni tenti di risolvere il contrasto con un decreto legge, già annunciato da tempo, che il Presidente della Repubblica Napolitano in questo momento non esiterà a firmare proprio trattandosi di un provvedimento in materia di immigrazione. Su questo è facile prevedere che il governo si possa ricompattare. Del resto per la Lega, l’unico vero motivo per dire no ai bombardamenti sulla Libia è proprio la paura dell’immigrazione che Gheddafi potrebbe “scagliare” contro il nostro paese.
Le ricadute di tale decisione della Corte di Giustizia investiranno in ogni caso diversi aspetti della disciplina e diverse questioni tuttora aperte.
Sentenza della Corte di Giustizia Europea C-61/11/PPU del 28 aprile 2011