Articolo pubblicato in francese il 07/10/2009 da Carine Fouteau, www.mediapart.fr
PARIGI - I rimpatri fanno parte della sua vita quotidiana. Lui è un agente della polizia di frontiera francese (PAF), basato a Rungis e incaricato di “riaccompagnare” gli stranieri espulsi nel loro paese d’origine. Contattato dal giornale francese Mediapart, ha accettato di parlare, ma sotto anonimato. Manette, cinghie, pugni, prese e strangolamenti. Il tutto sui voli di linea, tra l'indifferenza dei passeggeri e le lacrime delle hostess. Una testimonianza importante che abbiamo tradotto in italiano per i nostri lettori. Perché la violenza ci preoccupa tanto più quanto più è inquadrata e banalizzata, al punto da rientare nelle pagine di un manuale, e di divenire argomento di corsi di formazione e di aggiornamento della polizia.
"Faccio una quindicina di rimpatri al mese. Ci chiamano il giorno prima, o il venerdì per il fine settimana. Ci danno un dossier per la scorta, con i documenti d’identità della persona espulsa e la rotta aerea. Arriviamo all’aeroporto due ore prima. Così abbiamo un’ora per fare conoscenza con il tipo, vedere chi è, se ha problemi a livello di salute o di documenti. Abbiamo un’ora di tempo per convincerlo a partire e caricarlo sull’aereo davanti agli altri passeggeri normali. Chi deve essere espulso è chiuso in cella, in una zona tampone tra i centri di detenzione amministrativa e l’aereo, che si chiama ULE, unità locale di allontanamento, all’aeroporto di Roissy o di Orly. Per gli africani siamo tre poliziotti di scorta per ogni espulso. Due per tutti gli altri.
Quando ci si azzuffa, all’ULE o nell’aereo, è perchè non vogliono partire. Gli spieghiamo tutto, se capiscono bene, sennò peggio per loro. La regola ufficiale è che non si deve fare una scorta a tutti i costi. Per esempio se uno è malato, non lo metto sull’aereo. Il peggio è quando vomitano o si cacano addosso. Là non si scherza. Sputano e mordono pure. Quando succede questo genere di cose, li scarichiamo immediatamente, non insistiamo. A parte per le ITF: interdizioni dal territorio francese, là si fa tutto il possibile per farli partire, perché hanno commesso dei crimini o dei delitti gravi. E ad ogni modo, quando non partono, vanno dritti in prigioni per due o tre mesi, per le violenzefatte contro noi poliziotti.
Quelli che portiamo sono dei poveri ragazzi, ne siamo perfettamente coscienti. Gente che è venuta a cercare lavoro. Glielo spieghiamo senza giri di parole: “sei obbligato di partire”, abbiamo un’ora di tempo per spiegarglielo. Il problema è che tutte le associazioni gli fanno venire strane idee, gli montano la testa, e magari gli danno pure dei lassativi...
Se vediamo che si agitano, gli mettiamo subito le manette, prima dell’imbarco. Abbiamo i nostri corsi di formazione iniziale, di un mese, per sapere cosa abbiamo diritto di fare e cosa no, e ogni tre mesi ci fanno un aggiornamento.
Per quelli di cui non ci fidiamo, utilizziamo delle cinture di velcro che gli piazziamo intorno alla vita. Di cinture di cuoio ne avevamo in passato al commissariato, ma sono inadatte. Quando un nero di 110 chili tira con forza la strappa. Piuttosto utilizziamo delle cinghie al di sotto del ginocchio, sulle caviglie, e sul petto. E se il tipo si agita davvero molto, ne tendiamo una tra le caviglie e il petto per impedirgli di dare colpi con la testa. A volte invece attacchiamo un cuscino sul sedile davanti, per la stessa ragione.
Per un certo periodo c’era vietato l’uso delle manette. Semplicemente perché dicevano che costavano troppo. Ci davano delle manette usa e getta, di tessuto, che però sono completamente inefficaci, funzionano solo con i tipi tranquilli. Una volta facevo un asiatico, il tipo è salito tranquillamente a bordo, era pure contento di tornare. E poi invece era un provocatore, abbiamo dovuto lottare con lui nell’aereo per le due ore di volo per tenerlo fermo.
Alla fine l’abbiamo bloccato, ma il problema è che con le manette di tessuto non lo potevamo legare, stava strozzando il mio collega, io gli ero sopra, era un tempo molto molto sportivo, è stata una missione di merda. Per fortuna che i passeggeri non si sono mossi. Adesso però per fortuna abbiamo delle vere manette in metallo.
Se il tipo sta buono, evitiamo in tutti i modi la violenza, la coercizione, le cinghie. E in generale va tutto decisamente meglio. Il manuale di GTPI (Gesti tecnici professionali di intervento) è lo stesso dal 2003. Per esempio la presa del pliage (all’origine della morte di due emigrati tra il dicembre 2002 e il gennaio 2003) è vietata e non la facciamo mai. E nemmeno mettiamo più dei bavagli. Io però gli metto delle mascherine per non farli sputare.
Il massimo che siamo autorizzati a fare, è un tipo di strangolamento che chiamiamo regolazione fonica. Si tratta di fare delle pressioni sulla gola perché il tipo non gridi. È perfettamente autorizzato, sta nel manuale. Sennò quello che facciamo più spesso è la di immobilizzarli a terra. Li schiacciamo al suolo. Nelle nostre missioni abbiamo un rapporto di peso diciamo. Cioè che il totale del peso dei poliziotti della scorta deve essere il doppio del peso del tipo. Il fatto di essere in numero maggiore e di avere la possibilità di metterlo al suolo e immobilizzarlo ci evita di doverlo picchiare.
Prima rifiutavo l’uso della forza, ma adesso, quando qualcuno è ottuso, gli facciamo capire subito che noi siamo più forti di lui, e una volta che l’ha capito iniziamo a ragionare. Gli africani a volte, fanno i duri e quando gli parli in modo gentile ti prendono per un debole. Ma una volta che si ritrovano con la faccia per terra e le cinghie strette, che gli dici “com’è che ora fai meno il furbo, salame?”, là cominciano a rispettarti un po’. Io l’ho fatto un paio di volte, forse tre. So che ci sono colleghi con lo schiaffo facile, ma grossi bruti da noi ce ne sono molto pochi. Se li picchiamo gli diamo pugni nello stomaco, perché non si devono vedere i segni.
Se poi il tipo si prende un sacco di botte, vuol dire che se l’è cercata, è già successo, attenzione, non ci giro intorno, ma c’è chi se lo merita. Per esempio quello che ha morso il dito a un poliziotto, quello là si è preso un sacco di botte, è sicuro, è comprensibile.
Quando saliamo nell’aero, ci siamo noi, la persona rimpatriata, la polizia dei centri di detenzione amministrativa, gli agenti dell’ULE, quindi siamo in parecchi poliziotti. Ma in caso di necessità, se servono rinforzi, chiamiamo la compagnia di intervento degli aeroporti di Orly o Roissy. Loro sono meno formati di noi, sono loro che gasano nell’aereo quando c’è un problema. Li chiamiamo solo quando ci sono operazioni da fare a bordo, quando siamo obbligati a far scendere tutti i passeggeri perché le cose davvero degenerano.
Siamo sempre in borghese, niente armi. Gridano, sbattono, spaccano i sedili a volte, le hostess piangono, ma in generale riusciamo sempre a montarli a bordo dell’aereo, è il nostro lavoro. I problemi arrivano quando i passeggeri si mettono in mezzo. Ci sono i filosofi per esempio. Gente che non sa niente ma che vengono a fare la parte dei giusti. Vedono dei neri circondati da bianchi e gridano allo scandalo. Quando magari il rimpatrio procedeva bene, si alzano tutti.
La Lufthansa prima, bastava un colpo di tosse di un espulso e ci facevano scendere, preferivano cancellare un volo che fare un rimpatrio. Alitalia pure, e anche Royal Air Maroc. Adesso non facciamo più le compagnie africane, per fortuna, perché là veramente era difficile. A volte dobbiamo minacciare il personale di bordo, perché si dimenticano che siamo poliziotti, e che possiamo denunciarli per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, ma in generale va bene.
Una volta in volo, in generale, va tutto bene. Certo dipende dalla cooperazione del buon uomo. Ma la maggior parte delle volte li sleghiamo pure.
Spesso i rapporti con la polizia locale non sono buoni. Possono rifiutare il rimpatrio per via dei documenti. In alcuni paesi africani le autorità non ci amano e danno prova di cattiva volontà. Normalmente al nostro arrivo ci aspetta l’SCTIP, il servizio di cooperazione tecnica internazionale della polizia, sono poliziotti di stanza presso le ambasciate. In America Latina c’è Interpol che ci riceve quando riportiamo trafficanti di droga. Nella maggior parte degli altri paesi prendiamo noi contatti con le autorità locali. E gli trasmettiamo i dossier con i precedenti penali.
In Tunisia, chi viene espulso è sistematicamente arrestato per almeno tre giorni. In Algeria sono più simpatici invece, anche con gli espulsi. E anche in Marocco va bene. C’è già successo di rimpatriare della feccia, in Francia fanno i furbi, ma appena ritornano al paese, ritrovano tutto a un tratto la buona educazione, fa piacere. Bisognerebbe farlo più spesso, uno stage al paese, al bled."