08 October 2009

Quelli che pagano il conto due volte. Dopo il carcere il Cie

ROMA – Un terzo dei detenuti nelle carceri italiane è costituito da cittadini stranieri, molti dei quali in attesa di giudizio. I reati più frequenti sono quelli legati allo spaccio di droghe illegali, ai furti e all'inottemperanza del decreto di espulsione. La legge prevede il rimpatrio a fine pena. E una direttiva del 2007 del governo Prodi prevede che l'identificazione avvenga in carcere. Quella circolare però è rimasta lettera morta. E così, i detenuti stranieri, una volta pagato il conto con la giustizia per i reati commessi, devono scontare altri sei mesi di detenzione nei centri di identificazione e espulsione. Anche al Cie di Ponte Galeria, dove quasi metà dei trattenuti sono arrivati dal carcere.

N. Mohamed è uno di loro. Tunisino, è dentro il Cie dal 15 giugno 2009. Da allora sono passati 115 giorni. Vive in Italia da 23 anni. Ma il suo problema è opposto a quello degli altri. Lui dell’Italia è stanco. E non ce la fa più. Vuole tornare a casa, in Tunisia. In più di vent’anni non ha mai avuto un permesso di soggiorno, non è riuscito a costruire niente. È stanco e arrabbiato, del carcere e dell’emarginazione. Ma da tre mesi, nonostante abbia fornito le proprie generalità e chiesto esplicitamente di tornare, ancora non ha alcuna notizia sul suo destino. E teme di essere di nuovo sbattuto in mezzo alla strada, alla fine dei sei mesi. Soffre di depressione. I suoi compagni dicono semplicemente che “ha perso la testa”. Passa intere giornate in solitudine senza parlare con nessuno, imbottito di psicofarmaci. “Si è ammalato a Regina Coeli”, dicono. Era venuto in Italia inseguendo un sogno. Ma gli anni in carcere gli hanno tolto anche la voglia di vivere.

Mohamed non è l’unico a essere arrivato al Cie dopo il carcere. M. El Amri si è fatto un anno e mezzo a Verona per spaccio. Akmawi due anni per resistenza a pubblico ufficiale e rissa. “Qua è peggio del carcere” dicono, “è una noia mortale”. Già perché non c’è veramente niente da fare tutto il giorno. Akmawi a Verona ha lasciato la moglie e due bambini, di 6 e 14 anni. L’ultima volta che li ha abbracciati è stato due anni fa, prima dell’arresto. È dentro il Cie da tre mesi. Chiedono perché non li hanno rimpatriati subito dal carcere, perché devono pagare altri sei mesi della propria libertà, visto che hanno già pagato il loro conto con la giustizia. Ma in fondo sanno che la macchia è indelebile. Con un precedente penale non c'è modo di avere un permesso di soggiorno. Nemmeno con la famiglia fuori che ti aspetta. Con tua moglie che non vede l'ora di riabbracciarti e i tuoi figli che ogni mattina cercano il volto del papà tra i genitori all'uscita della scuola.

E allora non rimane che la disperazione. Salah B. è arrivato a Ponte Galeria dopo due anni di carcere per spaccio. È un ragazzo di poco più di vent'anni. Lo scorso 2 settembre si è tagliato il braccio e la gamba con una lametta di rasoio. L'hanno ricucito con 25 punti. Ha ancora le bende. Non è la prima volta che si taglia. Entrambe le braccia sono disegnate da una fitta rete di cicatrici, ricordo indelebile della disperazione e della rabbia degli anni migliori della giovinezza buttati in carcere. L'altro a essersi tagliato si chiama Akref K., ha il braccio fasciato. Come Salah, si è scavato le carni con una lametta, per sentire meno male.