04 October 2009

L'immigrato "regolare". La storia di J.Mohamed, che entrò coi flussi e oggi è al Cie

ROMA – Tutti vogliono gli immigrati "regolari". Quelli che viaggiano con il passaporto, che hanno i documenti in regola e che lavorano. Nessuno però ricorda il concetto di fondo. Che l'immigrato "regolare" è come i piatti di plastica. Usa e getta. Prendete la storia di J. Mohamed, un ragazzo marocchino poco più che venticinquenne. Anche lui si trova detenuto al centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, a Roma, in attesa del rimpatrio. Eppure in Italia ci è arrivato con un contratto di lavoro e tutti i documenti in regola. È l'emblema dell'immigrazione regolare. E della sua precarietà. Era il 2005, quando lo zio, che ha una ditta edile a Albenga, in provincia di Savona, gli mandò un contratto di assunzione, con il quale, attraverso il decreto flussi, riuscì a ottenere un regolare visto d'ingresso presso l'Ambasciata italiana in Marocco e quindi un permesso di soggiorno per motivi di lavoro una volta arrivato nel nostro paese.

Peccato che in cambio di quel “favore” lo zio lo abbia fatto lavorare senza pagarlo, per un anno e mezzo. E che alla fine, stanco delle sue lamentele, lo abbia obbligato a firmare una lettera di dimissioni. Così, quando nel marzo del 2007 il permesso di soggiorno è scaduto, anziché rinnovarglielo lo Questura glielo ha ritirato e gli ha consegnato un foglio di via. Dopo averlo cacciato, infatti, lo zio aveva cambiato casa senza avvisarlo e così lui aveva perso la residenza, che è uno dei requisiti per il rinnovo del documento.

Da allora Mohamed si è barcamenato tra mille lavori e lavoretti in nero. D'inverno sui cantieri in Liguria. E d'estate al mare a vendere asciugamani. E proprio quest'estate lo hanno fermato. È successo a inizio agosto. Non al mare però, a Prato. Era andato da un fornitore cinese per comprare i teli da vendere sulle spiagge ai turisti. Quando gli hanno chiesto i documenti ha mostrato la carta d'identità rilasciata dal Comune di Albenga, che tiene ancora con sè nel portafogli. Ma è bastato un controllo delle impronte digitali per vedere che aveva già avuto un foglio di via. E così, per un banale controllo di identità in nome della sicurezza degli italiani, Mohamed ha perso tutte le sue ambizioni. E noi italiani, siamo davvero sicuri che saremo più sicuri quando avremo espulso i tanti J.Mohamed dal nostro paese?