La settimana scorsa è decollato da Palermo l'ultimo charter per Tunisi. A bordo c'erano i soliti 60 tunisini raccolti nei vari centri di identificazione e espulsione (Cie) di tutta Italia e la scorta di 120 poliziotti. Nelle stesse ore da Bari partivano i charter con i 99 egiziani sbarcati poche ore prima sulle coste calabresi e espulsi in tempo record. Dall'inizio dell'anno sono 3.592 i rimpatri coatti verso la Tunisia e 965 quelli verso l'Egitto. Fanno 4.557 persone espulse in deroga alle leggi nazionali sull'immigrazione. Ovvero dopo un periodo di detenzione spesso non convalidato dal giudice di pace, senza aver potuto incontrare un avvocato, e senza aver potuto parlare con i funzionari di Unhcr, Oim e Save the Children, che lavorano in frontiera proprio per garantire i diritti di chi arriva in Italia senza passaporto. Lo stato d'eccezione è diventato la norma. In nome della maggiore efficienza degli accordi bilaterali in vigore con Tunisia e Egitto. E per il ministero dell'Interno il risultato è doppio. Da un lato un numero di espulsioni fino a un anno fa inimmaginabile. Dall'altro una modifica sostanziale della popolazione dei Cie (centri di identificazione e espulsione), dove con la scomparsa dei tunisini inizia una sorta di tregua tra detenuti e forze dell'ordine dopo otto caldissimi mesi di rivolte, sommosse e fughe rocambolesche.
Sì perché dallo scorso mese di febbraio, sono stati i tunisini i protagonisti delle più importanti sommosse nei Cie. Da un lato costituivano la maggioranza dei senza documenti detenuti. E dall'altro, essendo appena arrivati nel nostro paese, avevano altissime aspettative per il futuro, ovvero una grande determinazione a tornare in libertà e costruirsi quel futuro sognato per anni e fatto di un banale lavoro e del riscatto della propria famiglia lasciata al paese. I rimpatri di massa però hanno avuto l'effetto sperato da Maroni, e complice anche la brutta stagione, le partenze per Lampedusa si sono per il momento fermate. Da più di un mese e mezzo non si registrano sbarchi. E con il blocco degli arrivi, i Cie si sono tornati a riempire dei poveri delle nostre città.
Da un lato gli ex detenuti trasferiti nei Cie a fine pena. Dall'altro i senza tetto e le prostitute oggetto delle retate della polizia nei quartieri popolari. E in mezzo tutta la gente fermata un po' a caso per un banale controllo di identità. Che sia il controllore sul tram, il posto di blocco al casello o la polfer nelle stazioni ferroviarie. Alcuni vivono in Italia da una vita. Fuori hanno moglie e figli che li aspettano. Altri in tanti anni non sono mai riusciti a ricostruirsi una vita. Condannati a una vita ai margini perché privi di quel pezzo di carta che ti permette di firmare un contratto di lavoro o di affittare una casa. E ridotti a uno straccio dalla vita in strada.
La verità è che tra una popolazione così variegata difficilmente attecchisce un legame di solidarietà e di rivolta dentro i centri di detenzione. Prevalgono diffidenza e incomprensione. Senza contare che molti degli ex detenuti arrivano nei con pregresse dipendenze da psicofarmaci e che molti altri seguono lo stesso esempio. Rivotril, Valium, Serenase. Basta domandare. I solerti dottori impiegati nei Cie distribuiscono a man bassa a chiunque ne faccia richiesta. Le dosi non sono un problema, le scorte non mancano. In fondo avere una buona metà dei detenuti rimbambiti dagli psicofarmaci aiuta a mantenere tranquille le celle e a continuare i lavori di ristrutturazione nelle sezioni devastate dai ragazzi tunisini nei mesi scorsi.
Poi di tentativi di fughe continuano a essercene, ma rispetto a prima sono eventi isolati e senza particolare rilievo. La punizione invece continua sempre a essere esemplare: arresto in flagranza di reato. Le accuse sono sempre le stesse: lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.
Così la sera del 28 ottobre a Torino è finito in galera un senegalese che dopo essere stato ricoverato al poliambulatorio Martini per un malore avvertito al Cie, dopo la visita ha tentato di divincolarsi dai due agenti della scorta per fuggire. L'hanno fermato dopo una violenta colluttazione. I due agenti sono finiti in ospedale, uno con una distorsione alla cervicale e l'altro con una spalla lussata. Il recluso invece è finito in manette dritto al carcere delle Vallette senza che sia stata resa nota la sua prognosi.
E a botte è finita pure al centro di identificazione e espulsione di Bologna, in via Mattei, dove domenica scorsa, 30 ottobre, una quindicina di detenuti sono riusciti a sfondare il cancello della gabbia che separa le celle dai campetti di calcio. Nei tafferugli che sono esplosi tra i fuggitivi e i reparti delle forze dell'ordine intervenuti per fermare l'evasione, sono rimasti feriti tre agenti e tre detenuti. I tre reclusi, dopo le medicazioni sono stati tratti in arresto per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Durante gli scontri, uno dei reclusi - un ragazzo tunisino di 26 anni - è però riuscito a fuggire arrampicandosi sul muro di recinzione e gettandosi da un'altezza di oltre cinque metri. Di lui non sappiamo niente. Ma un uomo libero è sempre una buona notizia.
Sì perché dallo scorso mese di febbraio, sono stati i tunisini i protagonisti delle più importanti sommosse nei Cie. Da un lato costituivano la maggioranza dei senza documenti detenuti. E dall'altro, essendo appena arrivati nel nostro paese, avevano altissime aspettative per il futuro, ovvero una grande determinazione a tornare in libertà e costruirsi quel futuro sognato per anni e fatto di un banale lavoro e del riscatto della propria famiglia lasciata al paese. I rimpatri di massa però hanno avuto l'effetto sperato da Maroni, e complice anche la brutta stagione, le partenze per Lampedusa si sono per il momento fermate. Da più di un mese e mezzo non si registrano sbarchi. E con il blocco degli arrivi, i Cie si sono tornati a riempire dei poveri delle nostre città.
Da un lato gli ex detenuti trasferiti nei Cie a fine pena. Dall'altro i senza tetto e le prostitute oggetto delle retate della polizia nei quartieri popolari. E in mezzo tutta la gente fermata un po' a caso per un banale controllo di identità. Che sia il controllore sul tram, il posto di blocco al casello o la polfer nelle stazioni ferroviarie. Alcuni vivono in Italia da una vita. Fuori hanno moglie e figli che li aspettano. Altri in tanti anni non sono mai riusciti a ricostruirsi una vita. Condannati a una vita ai margini perché privi di quel pezzo di carta che ti permette di firmare un contratto di lavoro o di affittare una casa. E ridotti a uno straccio dalla vita in strada.
La verità è che tra una popolazione così variegata difficilmente attecchisce un legame di solidarietà e di rivolta dentro i centri di detenzione. Prevalgono diffidenza e incomprensione. Senza contare che molti degli ex detenuti arrivano nei con pregresse dipendenze da psicofarmaci e che molti altri seguono lo stesso esempio. Rivotril, Valium, Serenase. Basta domandare. I solerti dottori impiegati nei Cie distribuiscono a man bassa a chiunque ne faccia richiesta. Le dosi non sono un problema, le scorte non mancano. In fondo avere una buona metà dei detenuti rimbambiti dagli psicofarmaci aiuta a mantenere tranquille le celle e a continuare i lavori di ristrutturazione nelle sezioni devastate dai ragazzi tunisini nei mesi scorsi.
Poi di tentativi di fughe continuano a essercene, ma rispetto a prima sono eventi isolati e senza particolare rilievo. La punizione invece continua sempre a essere esemplare: arresto in flagranza di reato. Le accuse sono sempre le stesse: lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.
Così la sera del 28 ottobre a Torino è finito in galera un senegalese che dopo essere stato ricoverato al poliambulatorio Martini per un malore avvertito al Cie, dopo la visita ha tentato di divincolarsi dai due agenti della scorta per fuggire. L'hanno fermato dopo una violenta colluttazione. I due agenti sono finiti in ospedale, uno con una distorsione alla cervicale e l'altro con una spalla lussata. Il recluso invece è finito in manette dritto al carcere delle Vallette senza che sia stata resa nota la sua prognosi.
E a botte è finita pure al centro di identificazione e espulsione di Bologna, in via Mattei, dove domenica scorsa, 30 ottobre, una quindicina di detenuti sono riusciti a sfondare il cancello della gabbia che separa le celle dai campetti di calcio. Nei tafferugli che sono esplosi tra i fuggitivi e i reparti delle forze dell'ordine intervenuti per fermare l'evasione, sono rimasti feriti tre agenti e tre detenuti. I tre reclusi, dopo le medicazioni sono stati tratti in arresto per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Durante gli scontri, uno dei reclusi - un ragazzo tunisino di 26 anni - è però riuscito a fuggire arrampicandosi sul muro di recinzione e gettandosi da un'altezza di oltre cinque metri. Di lui non sappiamo niente. Ma un uomo libero è sempre una buona notizia.