17 June 2011

Lampedusa: l'asilo ai tempi dello stato di eccezione


Da dove parte la catena di comando? Chi sta impartendo gli ordini dall'alto affinché a Lampedusa e dintorni si violino sistematicamente le leggi italiane? Con il pretesto dell'emergenza si stanno facendo strada una serie di prassi fondamentalmente illegali. La prima vittima dello stato di eccezione è stata la libertà personale dei tunisini sbarcati sull'isola e di fatto reclusi per settimane intere senza nessuna convalida da parte del giudice, come se la libertà personale non fosse più un valore inviolabile. La seconda è il diritto d'asilo, che ormai viene concesso a priori sulla base di meccanismi di misteriosa interpretazione. Per fortuna però, in giro ci sono ancora tanti avvocati che fanno bene il loro mestiere, e che con i loro ricorsi mandano all'aria i metodi sbrigativi di una certa macchina repressiva dello Stato italiano. Ma andiamo per gradi. Ricapitoliamo cosa è successo oggi a Lampedusa e cerchiamo di capire la portata della sentenza di Torino che rischia di mettere in crisi il sistema escogitato da Maroni per aggirare le garanzie giudiziarie previste dal nostro ordinamento.

Per un mese e mezzo abbiamo assistito inermi al sequestro di duecento persone a Lampedusa, private della propria libertà da parte dello Stato italiano e recluse di fatto in un centro teoricamente adibito all'accoglienza, senza nessuna convalida del loro trattenimento da parte dell'autorità giudiziaria. Il sequestro si è concluso oggi, dopo il trasferimento dell'ultimo gruppo di reclusi dall'isola. Ed è stato così che abbiamo scoperto che l'emergenza ha fatto un'altra vittima. Il diritto d'asilo. In teoria c'è una legge che garantisce a tutti la possibilità di chiedere protezione al nostro paese, salvo poi dover giustificare i propri timori di persecuzione in patria di fronte a una commissione spesso severa nelle sue analisi. In pratica però, da qualche mese, per quanto grossolano possa sembrare, funziona così: se hai la pelle nera ti mandano in un centro di accoglienza dando per scontato che chiederai asilo politico, sebbene quasi tutte le persone che stanno arrivando dalla Libia siano piuttosto casi umanitari che non di asilo politico. Se sei arabo invece ti mandano in un centro di identificazione e espulsione, anche se hai chiesto asilo politico appena sbarcato.

L'ultima volta è successo questa mattina, quando sono venuti a svuotare la sezione dove erano reclusi i tunisini al centro di accoglienza di Lampedusa. All'aeroporto dell'isola hanno portato tutti quelli che erano rimasti dopo i rimpatri collettivi dei giorni scorsi: 27 tunisini e 21 egiziani, molti da più di 40 giorni in stato di sequestro. Gli egiziani sono finiti al cie di Torino. I tunisini al cie di Chinisia, a Trapani. Per legge, avendo chiesto asilo politico hanno diritto a essere ospitati in un centro di accoglienza aperto e non in un luogo di reclusione, ma evidentemente non è più lo stato di diritto il timone dell'intervento dello Stato sulla frontiera sud dell'Italia. Per fortuna però, ogni tanto qualche giudice si ricorda dell'esistenza dello Stato di diritto, e riesce a raddrizzare le cose o quantomeno a stabilire un precedente.

La buona notizia arriva da Torino. Ed è una sentenza ottenuta dall'avvocato Guido Savio in un ricorso contro la convalida del trattenimento di un suo cliente presso il centro di identificazione e espulsione della città. Il suo assistito, un ragazzo tunisino, come tanti altri suoi connazionali era stato privato della libertà personale a Lampedusa, senza che il giudice avesse convalidato il suo trattenimento. Senza nessuna garanzia di difesa, e nessun rispetto per l’articolo 13, commi 2 e 3, della Carta Costituzionale. E in aperto contrasto con la legge sull'immigrazione secondo cui ogni misura di limitazione della libertà ai fini dell'espulsione deve essere convalidata entro 96 ore dall'inizio del trattenimento. L'avvocato Savio ha convinto il giudice di pace di Torino, che non ha quindi prorogato il trattenimento. Consigliamo a tutti gli avvocati di scaricarsi dal sito di Meltingpot la memoria difensiva dell'avvocato Guido Savio e la sentenza del Giudice di pace.

Saranno utili anche agli avvocati siciliani che si stanno organizzando per i ricorsi contro il trattenimento dei tunisini che hanno chiesto asilo a Lampedusa e che si trovano adesso reclusi a Chinisia, dove fra l'altro è ancora detenuto Nizar, il marito di Winny, la ragazza olandese incinta al settimo mese del figlio di lui, che ogni giorno lo va a trovare nella gabbia aspettando l'autorizzazione del Prefetto di Agrigento al suo rilascio, dopo che l'Olanda gli ha rilasciato pure un visto valido per l'ingresso nel territorio nazionale e per un soggiorno di tre mesi. Una storia emblematica quella di questa coppia, che la dice lunga, più di qualsiasi statistica, sulla disumanità delle leggi di inospitalità che abbiamo deciso ci governino.