Dopo i primi quattro reclusi che si erano tagliati le vene mercoledì scorso, ieri sono stati in 28 a tentare il suicidio. Alcuni ingoiando lamette da barba, ferri e pezzi di vetro. Altri tagliandosi le vene. Continua a salire la tensione al centro di accoglienza di Lampedusa, trasformato dal 2 maggio in una galera, dove sono detenuti in modo illegale - senza nessuna convalida del giudice - circa 200 tunisini sbarcati sull'isola il mese scorso. Sull'isola non c'è un ospedale, ma soltanto un poliambulatorio, dove sono stati portati i feriti per una prima assistenza medica. I casi più gravi sono poi stati trasportati in elicottero all'ospedale Cervello di Palermo e al San Giovanni di Dio a Agrigento per essere sottoposti a un intervento chirurgico. Tutto è scoppiato quando si è sparsa la voce della ripresa dei rimpatri collettivi.
Ieri infatti in 35 tunisini sono stati trasferiti dall'isola su un volo diretto a Palermo dove, dopo le identificazioni fatte all'aeroporto dal console tunisino, sono stati rimpatriati. La notizia è giunta immediatamente a Lampedusa, direttamente dai ragazzi rimpatriati che hanno telefonato agli amici al centro dicendo loro che erano stati rispediti a Tunisi. Ed è allora che la protesta è scoppiata di nuovo.
Ieri funzionari dell'Oim e agenti di polizia hanno tentato di placare gli animi e di spiegare ai reclusi che così facendo non otterranno niente, ma metteranno soltanto a repentaglio la propria vita. Ma ormai è tardi. La tensione è salita alle stelle e la dignità è stata calpestata troppe volte.
"In Tunisia siamo stati torturati dalla polizia, pensavamo di trovare la libertà in Italia. Invece da un mese siamo rinchiusi in prigione. Chiediamo la libertà!". A parlare sotto anonimato è un amico del sud della Tunisia, ex prigioniero politico ai tempi di Ben Ali, quando prese parte ai moti rivoluzionari di Redeyef nel 2008 e già vittima di tortura nelle carceri del regime. Lui a Lampedusa è arrivato il 14 maggio e con la Tunisia ha deciso di chiudere per sempre, nonostante la rivoluzione, per rifarsi una vita a Parigi con la moglie francese che lo aspetta fuori dalle sbarre. Nel centro si sente costantemente umiliato
"La polizia ci tratta come se fossimo dei selvaggi, come se fossimo dei cani. Abbiamo attraversato il mare senza passaporto, d'accordo, ma non siamo criminali. Qui quasi tutti hanno parenti o amici dove andare, soprattutto in Francia".
E rivendica per sé e per gli altri la libertà di circolazione, e più in generale la libertà, ovvero l'essere soggetto delle proprie scelte consapevoli e non oggetto di scambio di un governo.
"Non siamo adolescenti, siamo responsabili di noi stessi. Il primo ministro tunisino non si deve permettere di fare accordi con il governo italiano per rimandarci indietro. Non è nostro padre. Siamo adulti e abbiamo il diritto di viaggiare. Io ho mia moglie in Francia. Il ragazzo che hanno picchiato aveva sua moglie in Olanda. Un altro ragazzo ha il padre in Italia, vive qui da una vita, ha pure la cittadinanza italiana! Non è normale quello che sta succedendo!".
Non soltanto non è normale, è anche illegale. Perché, lo ricorderemo fino a perdere la voce, a Lampedusa da un mese si viola la legge. Un centro di accoglienza non è una galera. E la libertà non può essere tolta a nessuno senza la convalida di un giudice. Su questo, seppure con un po' di flemma, gli avvocati si stanno muovendo. Aspettiamo di vedere gli esiti dei ricorsi. Possibilmente prima che la situazione degeneri un'altra volta in una mischia all'ultimo colpo tra reclusi e forze dell'ordine, come successe nel febbraio 2009.
Tutto questo, è bene ricordarlo, accade dopo che dall'isola sono transitati 25.000 tunisini dall'inizio dell'anno. Ricordate i primi mesi quando sull'isola il centro di accoglienza veniva addirittura lasciato aperto, e i ragazzi passavano la giornata al bar e a passeggio in attesa di essere trasferiti sulla terra ferma? Che fine hanno fatto i 25.000? Lo abbiamo già raccontato, in buona parte sono arrivati in Francia, altri si sono fermati in Italia, chi dai parenti, chi si è appoggiato alle associazioni sul territorio, hanno un permesso di soggiorno di sei mesi. Poi si è cominciato a applicare l'accordo con la Tunisia. Ad oggi sono 943 i tunisini rimpatriati dallo scorso 5 aprile. Mentre si è perso il conto delle rivolte nei centri di espulsione di mezza Italia: l'incendio al Vulpitta di Trapani, l'evasione da Chinisia, le fiamme e lo sciopero della fame a Torino, la devastazione a Gradisca e infine la protesta delle lamette a Lampedusa. Qui a forza di tirare la corda, prima o poi ci scappa il morto.
Ieri infatti in 35 tunisini sono stati trasferiti dall'isola su un volo diretto a Palermo dove, dopo le identificazioni fatte all'aeroporto dal console tunisino, sono stati rimpatriati. La notizia è giunta immediatamente a Lampedusa, direttamente dai ragazzi rimpatriati che hanno telefonato agli amici al centro dicendo loro che erano stati rispediti a Tunisi. Ed è allora che la protesta è scoppiata di nuovo.
Ieri funzionari dell'Oim e agenti di polizia hanno tentato di placare gli animi e di spiegare ai reclusi che così facendo non otterranno niente, ma metteranno soltanto a repentaglio la propria vita. Ma ormai è tardi. La tensione è salita alle stelle e la dignità è stata calpestata troppe volte.
"In Tunisia siamo stati torturati dalla polizia, pensavamo di trovare la libertà in Italia. Invece da un mese siamo rinchiusi in prigione. Chiediamo la libertà!". A parlare sotto anonimato è un amico del sud della Tunisia, ex prigioniero politico ai tempi di Ben Ali, quando prese parte ai moti rivoluzionari di Redeyef nel 2008 e già vittima di tortura nelle carceri del regime. Lui a Lampedusa è arrivato il 14 maggio e con la Tunisia ha deciso di chiudere per sempre, nonostante la rivoluzione, per rifarsi una vita a Parigi con la moglie francese che lo aspetta fuori dalle sbarre. Nel centro si sente costantemente umiliato
"La polizia ci tratta come se fossimo dei selvaggi, come se fossimo dei cani. Abbiamo attraversato il mare senza passaporto, d'accordo, ma non siamo criminali. Qui quasi tutti hanno parenti o amici dove andare, soprattutto in Francia".
E rivendica per sé e per gli altri la libertà di circolazione, e più in generale la libertà, ovvero l'essere soggetto delle proprie scelte consapevoli e non oggetto di scambio di un governo.
"Non siamo adolescenti, siamo responsabili di noi stessi. Il primo ministro tunisino non si deve permettere di fare accordi con il governo italiano per rimandarci indietro. Non è nostro padre. Siamo adulti e abbiamo il diritto di viaggiare. Io ho mia moglie in Francia. Il ragazzo che hanno picchiato aveva sua moglie in Olanda. Un altro ragazzo ha il padre in Italia, vive qui da una vita, ha pure la cittadinanza italiana! Non è normale quello che sta succedendo!".
Non soltanto non è normale, è anche illegale. Perché, lo ricorderemo fino a perdere la voce, a Lampedusa da un mese si viola la legge. Un centro di accoglienza non è una galera. E la libertà non può essere tolta a nessuno senza la convalida di un giudice. Su questo, seppure con un po' di flemma, gli avvocati si stanno muovendo. Aspettiamo di vedere gli esiti dei ricorsi. Possibilmente prima che la situazione degeneri un'altra volta in una mischia all'ultimo colpo tra reclusi e forze dell'ordine, come successe nel febbraio 2009.
Tutto questo, è bene ricordarlo, accade dopo che dall'isola sono transitati 25.000 tunisini dall'inizio dell'anno. Ricordate i primi mesi quando sull'isola il centro di accoglienza veniva addirittura lasciato aperto, e i ragazzi passavano la giornata al bar e a passeggio in attesa di essere trasferiti sulla terra ferma? Che fine hanno fatto i 25.000? Lo abbiamo già raccontato, in buona parte sono arrivati in Francia, altri si sono fermati in Italia, chi dai parenti, chi si è appoggiato alle associazioni sul territorio, hanno un permesso di soggiorno di sei mesi. Poi si è cominciato a applicare l'accordo con la Tunisia. Ad oggi sono 943 i tunisini rimpatriati dallo scorso 5 aprile. Mentre si è perso il conto delle rivolte nei centri di espulsione di mezza Italia: l'incendio al Vulpitta di Trapani, l'evasione da Chinisia, le fiamme e lo sciopero della fame a Torino, la devastazione a Gradisca e infine la protesta delle lamette a Lampedusa. Qui a forza di tirare la corda, prima o poi ci scappa il morto.