Quattro anni di reportage nel Mediterraneo e lungo i confini europei. Nel tentativo di intrecciare i temi della gioventù e della mobilità, delle politiche di controllo della mobilità e dei morti in frontiera, delle rivoluzioni oltremare e della repressione in deroga allo stato di diritto lungo le nostre frontiere. Il tutto con un'attenzione crescente ai nomi propri e alle storie singole degli uomini e delle donne rimasti intrappolati nei confini delle nostre mappe. Perché è soltanto restituendo un nome alle persone che si possono riumanizzare coloro che la politica e la stampa hanno disumanizzato per anni. Buona lettura.
Di Abu Abed rimane soltanto una foto. Ha in braccio le due figlie, una di tre anni e l'altra di quindici giorni. L'aveva scattata con il cellulare il giorno prima di partire per il fronte. Adesso il suo corpo è steso su una barella al centro della moschea di Sukkari. Coperto da un lenzuolo bianco macchiato di sangue. Rosso, come i tappeti sul pavimento. Un gruppo di uomini in armi si avvicinano al morto. Indossano tute mimetiche, le barbe lunghe e i piedi nudi. Sono i suoi compagni di brigata. Alcuni non riescono a trattenere le lacrime. Ma sono pianti brevi e discreti. Non c'è tempo per il lutto. Pochi minuti, una preghiera che è promessa di vendetta contro il regime e si torna a combattere. Perché la guerra nella città di Aleppo non conosce sosta.
Al Qaeda in Siria: il nemico perfetto, la minaccia reale Aleppo: la morte, la vita e quelle altalene sopra le fosse comuni I primi villaggi cristiani nelle mani dell'esercito libero Contro il regime e contro il Pkk. I primi curdi del FSA Corti islamiche e servizi sociali. Islamisti ad Aleppo La principessa di Mariam e la guerra di Aleppo Speciale Siria. La rivoluzione tradita Speciale Siria. Vendetta atto secondo? Speciale Siria. Restate all'inferno Speciale Siria. Internazionalisti o terroristi? Speciale Siria. La guerra di Aleppo |
Il sole già alto del mattino, un volo Ryanair in discesa sull’aeroporto di Trapani e tutto intorno il silenzio dell’estate sulle campagne siciliane. Sakina si tiene stretta al palo d’alluminio che regge il gazebo nel piazzale di cemento. Ha un sorriso compiaciuto e si diverte a mandare baci nella direzione dei poliziotti davanti al cancello del Centro di identificazione ed espulsione di Chinisia. Alcuni si guardano con aria sospetta per capire a chi di loro siano dedicate quelle improvvise e inadeguate attenzioni. Ma non è agli uomini in divisa che guarda Sakina. I baci sono per l’uomo dietro le sbarre, il tunisino con la maglietta viola e le mani aggrappate ai ferri della gabbia, che le dice in labiale «je t’aime».
L'amore ai tempi della frontiera. Sakina e KhayriL'amore ai tempi della frontiera. Nathalie e Salah L'amore ai tempi della frontiera. Winny e Nizar |
Generazione revolution. Zarzis Lampedusa Ventimiglia Dall'inizio dell'anno in tre mesi sono arrivati a Lampedusa più di 20.000 ragazzi tunisini. Eppure in Tunisia la dittatura è finita e nonostante la crisi temporanea del turismo, tutti sono ottimisti per il futuro. Come mai allora se ne sono andati così tanti? Non sarà che l'esperienza della rivoluzione gli ha fatto prendere gusto alla libertà, anche quella di viaggiare per il mondo, sogno proibito di tutta una generazione sulla riva sud? Tunisia, il limbo dei rimpatriati |
Speciale Libia. Il coraggio di Ahmed e i nostri malintesi Tre settimane in Libia con i ragazzi della rivoluzione. I volti della piazza, le famiglie dei martiri, le ragazze, i volontari al fronte, la caduta di Ijdabiya, la battaglia di Benghazi, l'assedio di Misratah, la situazione degli stranieri bloccati nel paese. Un viaggio tra i nostri coetanei del movimento del 17 febbraio e finalmente Tripoli libera. Per capire chi sono e che cosa chiedono. Perché si sono rivoltati al costo della vita e perché hanno dovuto imbracciare le armi |
Amleto a Tahrir. La piazza che ha fatto cadere Mubarak Dieci giorni al Cairo nella piazza simbolo della rivoluzione egiziana. I morti sotto gli spari della polizia di Mubarak e le violenze dei baltagiya al soldo del regime, gli arresti sommari e le intimidazioni. Ma soprattutto la straordinaria energia di un popolo che ritrova la propria dignità e la propria libertà. Grazie soprattutto ai suoi giovani. Ragazzi e ragazze, istruiti, cresciuti sulla rete e pronti a tutto per essere di nuovo liberi |
Game over! A Tunisi con i ragazzi della rivoluzione Dal suicidio di Mohamed Bouazizi a Sidi Bouzid alle mobilitazioni su facebook e le grandi manifestazioni di Tunisi. Cade il regime di Ben Ali e si apre una nuova stagione di ribellioni nei paesi arabi. Per capire chi sono i ragazzi della rivoluzione e quali sono le ambizioni della nostra generazione oltremare, ci siamo uniti al presidio dei giovani alla qasbah di Tunisi che ha portato alle dimissioni del governo transitorio |
Visti dal Burkina Faso: se l'Italia ha la forma di un pomodoro Come ogni anno a dicembre ricomincia la stagione della raccolta delle arance a Rosarno, in Calabria. Da noi la stampa si indigna per le condizioni di sfruttamento dei braccianti. Ma in Africa che messaggio arriva? Siamo andati a Niagho, in Burkina Faso e lì abbiamo scoperto che quei braccianti sono i loro eroi. E in un'economia rurale in crisi, le loro case in cemento sono la prova che il sogno europeo vale ancora la pena |
Speciale Niger. Sulle rotte del Sahara La Libia promette di chiudere la rotta per Lampedusa. E Finmeccanica è pronta a installare i radar nel sud del paese. Ma nel deserto non c'è controllo che tenga. E in Niger gli emigranti continuano a partire. Da Tchin Tabaraden, Agadez e Arlit. Il nostro reportage a puntate Sulle rotte degli exodants a Tchin Tabaraden Agadez crocevia dei traffici verso il Sahara Arlit, la città dell'uranio e dell'emigrazione VIDEO "A sud di Lampedusa", di A. Segre |
In Egitto sulla via della diaspora eritrea Asmara, Cairo, Tripoli, Asmara. Padre Austin sfoglia tra le mani una ventina di buste bianche. Controlla le intestazioni scritte a penna. Non ci sono francobolli. Sono le lettere dei prigionieri eritrei di Burg el Arab. Siamo in Egitto. Negli ultimi due anni le carceri si sono riempite di profughi eritrei e sudanesi. Arrestati nella penisola del Sinai, lungo la strada che porta in Israele. In centinaia sono stati rimpatriati: ecco che fine hanno fatto |
Capitani coraggiosi. Parlano i pescatori “Ci troviamo nel passaggio. È la nostra zona di pesca, e la loro zona di transito”. Quasi ogni giorno i pescatori del Canale di Sicilia incrociano le barche dei migranti. E sempre più spesso sostituiscono Guardia Costiera e Marina militare in difficili salvataggi. Sono le storie di anonimi eroi che non si sono girati dall’altra parte. Perché “quando vedi un bambino di tre mesi a mare, non pensi più ai soldi, né al tempo perso. Pensi soltanto a salvargli la vita” |
Tatun: in Egitto l'ultimo quartiere di Milano Esiste un quartiere di Milano non ancora collegato dalla metro. Si chiama Tatun. E si trova in Egitto, nelle campagne irrorate dal Nilo, 150 km a sud del Cairo. Conta solo 80.000 abitanti, ma qui vivono le famiglie di migliaia degli oltre 47.000 emigrati egiziani residenti nel capoluogo lombardo. A unire Milano a questa sua estrema periferia pensano speciali agenzie di viaggio libiche, che si affidano ai vecchi pescherecci rottamati, intercettati ogni settimana al largo di Lampedusa |
Guantanamo Libia. I nuovi gendarmi dell'Italia La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e un di egiziano. L’odore acre che esce dalla cella mi brucia le narici. Chiedo ai tre di spostarsi. La vista si apre su due stanze di tre metri per quattro. Vedo 30 persone. Sul muro hanno scritto Guantanamo. Ma non siamo nella base americana. Siamo a Zlitan, in Libia. E i detenuti non sono presunti terroristi, ma immigrati arrestati a sud di Lampedusa |
Arance amare. Tra i braccianti a Rosarno Costretti a vivere in capannoni abbandonati, senza luce né acqua. Impiegati in nero, alla giornata, per una paga che raramente supera i 25 euro. Sono i raccoglitori delle arance della campagna tra Rosarno, San Ferdinando e Rizziconi, in provincia di Reggio Calabria. Almeno 2.000 persone, arrivano qui ogni inverno. Quasi tutti senza documenti. E i proprietari delle aziende agricole, in molti casi sono i figli degli stessi braccianti calabresi che fecero le lotte per la terra nel dopoguerra... |
Frontiera Sahara. I campi nel deserto libico Stipati come animali, dentro container di ferro. Così gli immigrati arrestati in Libia vengono smistati nei centri di detenzione nel deserto libico, in attesa di essere deportati. Siamo i primi giornalisti autorizzati a vederli. Le condizioni dei centri sono inumane. I funzionari italiani e europei lo sanno bene, visto che li hanno visitati. Ma si astengono da ogni critica, alla vigilia dell'avvio dei pattugliamenti congiunti |
Reportage dalla Libia: siamo entrati a Misratah Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono 600 richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli |
Tunisia: la dittatura a sud di Lampedusa Sindacalisti arrestati e torturati, manifestanti uccisi dalla polizia e giornalisti in carcere. La cronaca degli ultimi dieci mesi in Tunisia mostra il lato nascosto di un paese visitato ogni anno da milioni di turisti e ogni anno abbandonato da migliaia di emigranti. Per scriverla ho dovuto raggiungere clandestinamente la città di Redeyef, cuore della rivolta, nel sud ovest del Paese, e incontrare i testimoni chiave di quello che i circoli democratici di Tunisi definiscono già come il movimento sociale più importante e duraturo degli ultimi 20 anni |
Da 10 anni bloccati in una base militare Era il 1998 e migliaia di profughi kurdi sbarcavano sulle coste calabresi in fuga dalle persecuzioni. Tra il 1980 e il 1999 l'esercito turco aveva cacciato oltre 2 milioni di kurdi da 3.428 villaggi poi distrutti. E nel 1988 Saddam Hussein aveva sterminato con armi chimiche 5.000 persone a Halabja. Non tutti però raggiunsero la meta. Il 16 ottobre 1998 un vecchio peschereccio ruppe il motore e fu costretto a sbarcare a Cipro. Attraccarono ad Akrotiri, che allora come oggi era territorio inglese. Fu la loro disgrazia |
Le vite sospese degli emigrati a Cipro La guerra civile in Sierra Leone, tra il 1991 e il 2001, si lasciò alle spalle almeno 50.000 morti e centinaia di migliaia di sfollati e rifugiati. Outhman era uno di loro. Fuggì nel 2000, verso il Senegal, dove riuscì a comprare un passaporto con un visto per il Libano. Un anno dopo approdava con altre 23 persone sulle coste nord dell’isola di Cipro. Oggi è uno degli 11.000 richiedenti asilo politico a Cipro. Il 99% riceverà un diniego. Ma la risposta arriverà dopo anni di vita rubati dalla burocrazia e dalla detenzione amministrativa |
Istanbul crocevia della migrazione africana È la Turchia l’ultima frontiera da superare prima dell’Europa. Interi quartieri di Izmir e Istanbul sono abitati da africani in attesa di partire. C’è chi andrà a piedi, chi nascosto nei camion e chi a bordo degli zodiac. Per tutti l’obiettivo è la Grecia. Ma spesso il viaggio ricomincia da zero. Se la guardia costiera affonda i gommoni al largo della costa turca. O se la polizia fa una retata di troppo. Il trattamento nei centri di detenzione è pessimo. Hyd lo aveva già denunciato. Abbiamo intervistato due ex detenuti del campo di Hatay, alla frontiera siriana. |
Israle nuova meta dei rifugiati eritrei Quella del Sinai si conferma la nuova rotta dei rifugiati eritrei e sudanesi, che alle carceri libiche e alla morte in mare preferiscono lo Stato ebraico. Nel 2007, secondo l’Unhcr, ne sono arrivati almeno 5.000. Intanto l’Egitto ha rinforzato i propri dispositivi di controllo, autorizzando la polizia di frontiera ad aprire il fuoco sui migranti. Dall’inizio dell’anno i morti ammazzati sono almeno 16. Messo sotto pressione da Israele, l’Egitto ha avviato una vasta operazione di arresti e deportazioni |
Trappola Grecia: divieto d'ingresso e d'uscita Ogni volta che entro in acqua sento l’angoscia salire allo stomaco. E penso che non sia affatto normale. Avanzo con cautela, in una piccola baia di Samos. Sono scalzo. E ho paura di toccare un cadavere sottacqua. Ho in mente le fotografie che mi hanno mostrato una settimana fa a Lesvos, in Grecia, di due bambini ripescati in mare. Ho in mente i racconti dei pescatori e le cronache dei giornali. E poi c'è quella brutta storia raccolta a Vathy, dei 21 scomparsi al largo di Samos, lo scorso 16 maggio, di cui non è rimasta alcuna traccia se non una lettera autografata scritta dall’unico superstite |
Tamanrasset: il cuore nero dell'Algeria Rifugio per centinaia di famiglie in fuga dal Nord dell’Algeria insanguinata dalle violenze degli anni ’90, Tamanrasset è oggi la città dei migranti. Più di 30 nazionalità convivono nella capitale del Sahara. Tra chi aspetta la sua occasione per compiere un altro passo verso il mare e chi, deportato dalla polizia algerina, deve rifare tutto da capo, o quasi, nel lungo cammino verso l’Europa... |
Khouribga Torino solo andata Khouribga è una città emigrata. Una macchina su due è targata Torino. Nei suq tra i banchetti di Dolce e Gabbana, Nike e Versace made in China, impazzano vocabolari e grammatiche per l’italiano. Qualche chilometro fuori dal centro crescono quartieri fantasma di villini pagati in euro e abitati tre settimane l’anno d’estate. Sì perché ogni agosto ritorna chi c’è l’ha fatta. Emigrare è uno status. Chi riesce a partire guadagna rispetto. La destinazione è una sola, l’Italia, soprattutto Torino e il Piemonte... |
La notte del destino Il sole tramonta sui terrazzi rosa di El ‘Ayun, a metà strada tra il deserto e il mare. E, vorace, la notte prende a morsi gli ultimi lampi di luce del giorno alle porte, lungo un orizzonte di dune e cavi dell’alta tensione. Un militare sfoglia il mio passaporto con una torcia e mi legge negli occhi. Che viene a fare un turista italiano in città? È l’ultimo dei tre posti di blocco lungo l’unica strada diretta a sud e di nuovo il mio nome viene scritto nel registro degli ingressi. Dieci minuti dopo... |
Dal deserto al mare... ai ghetti di Roma Tor Vergata, periferia est di Roma. A due passi dal Grande raccordo anulare, che con un abbraccio di traffico, bestemmie e fumi di scarico circonda la capitale 24 ore al giorno, la vecchia sede dell’Università Roma 2 specchia sui vetri neri delle finestre la luce del sole di un pomeriggio d’estate. Arrivo dopo pranzo. Il palazzo è occupato da un paio d’anni da circa 300 giovani, in maggioranza eritrei, etiopi, somali e sudanesi. Abraham è uno di loro. Mi aspetta al terzo piano... |
Zarzis: il museo della memoria del mare Lungo le spiagge tra Zarzis e Ras Jedir, ogni giorno dopo il turno alle Poste, Mohsen Lihidheb raccoglie da undici anni gli oggetti consegnati dal mare lungo 150 chilometri di spiagge. Sono soprattutto bottiglie di plastica, ma anche tavole da surf, canapi, testuggini, lampade al neon, elmetti, spugne, tronchi di legno, palloncini scoppiati. Mohsen ne ha creato un museo, il Museo della memoria del mare. Una delle installazioni, al centro del giardino circondato da mura di bottiglie di plastica colorate, è dedicata a Mamadou. |
Evros: mine antiuomo alla frontiera Alt dogana. Un uomo in divisa si drizza sull’attenti e la nostra Audi sfila sulla corsia a lato delle auto ferme per i controlli. Svoltiamo a destra e ci fermiamo nel parcheggio di una piccola base militare. John Karaganis mi fa da interprete e mi presenta il capitano Hristos Pitsianis. Piove e senza troppe formalità ci infiliamo sui sedili di un piccolo fuoristrada verde già acceso. Una fossa di un metro divide l’una dall’altra due strade sterrate parallele, coperte di ghiaia, fango e pozzanghere. Tutto intorno, nebbia e prati verdi... |
Una giornata nel centro di accoglienza siracusano "Giovanni Paolo II". Ospita 247 persone in camerate di 30 letti a castello. Ad agosto erano 421. Insufficiente il personale dell'ufficio immigrazione e della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato. Con l'aumento degli sbarchi, la macchina burocratica si è intasata. E i richiedenti asilo, da ospiti sono diventati detenuti. Già perché per depositare la domanda d'asilo serve anche un mese. E nel frattempo non ci si può allontanare dalla struttura, circondata da una gabbia e presidiata da militari armati. Parlano le donne eritree chi ammette di aver guidato i gommoni dalla Libia. L'ente gestore, Alma Mater, è stato recentemente indagato per truffa aggravata. Il tribunale del riesame ha però dissequestrato i beni per insufficienza di prove
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Reportage da Trapani. Il cie Vulpitta e il nuovo Cara a Salina
Sorge nel centro di Trapani il primo cie aperto in Italia. Venne inaugurato nel luglio del 1998, in una sezione dell'istituto geriatrico Rosa Serraino Vulpitta. La legge Turco-Napolitano, che istituiva i cpt, era stata appena approvata. Un anno dopo un incendio causò la morte di sei migranti detenuti. Dopo l'incidente, la capienza è passata da 180 a 57 posti. Nei primi sei mesi del 2008 ha ospitato 94 persone. La gestione, affidata alla cooperativa Insieme, vale un milione di euro, per una media di 80 rimpatri l'anno. La cooperativa Insieme gestisce anche il Cara di Salina Grande. Trenta giorni l'attesa per l'intervista della Commissione. I rifugiati ospitati, confermano le accuse alla polizia libica. |
Tendopoli, container e... braccianti. Reportage da Borgo Mezzanone Lungo la pista del vecchio aeroporto militare di Ortanova sono ospitate 1.020 persone in 91 tende e 41 container. Donne e nuclei familiari sono invece alloggiati nei locali del Cie mai aperto. L'ente gestore è la Croce rossa italiana. Con o senza documenti, nel giro di qualche mese, i richiedenti asilo lasceranno il centro. Per chi non ha dove andare, la prima tappa della clandestinità sarà il lavoro nero. Magari nelle campagne foggiane. La raccolta del pomodoro attira ogni anno migliaia di braccianti stranieri. Msf ha distribuito loro un kit sanitario dopo che la Regione aveva installato 20 cisterne per l'acqua potabile e bagni chimici |
Bari: reportage dal centro d'accoglienza richiedenti asilo Il Cara di Bari Palese sorge in una base dell'Aeronautica militare. Costruito per accogliere 744 persone, ospita già 978 richiedenti asilo. Tra loro anche due dei superstiti del terribile naufragio di Teboulbah. Solo 70 degli ospiti però saranno accolti nello Sprar alla fine dell'anno. Gli altri torneranno in strada. Oppure saranno rimandati in Grecia in base al regolamento Dublino II. Come nel caso di S., afgano, che dalla polizia greca è stato pestato, sull'isola di Simi, prima di arrivare in Italia. Sulle riammissioni in Grecia tuttavia, si è recentemente aperto uno spiraglio, grazie a una importante sentenza del Tar |
Reportage dal Sant'Anna. Il cpa più grande d'Europa Ospita 1.677 persone su una capienza ufficiale di 1.698 posti. Dormono in container e tende. Un ospite su quattro viene dall'Afghanistan. Fuggono dalla guerra ma non hanno fatto i conti con la burocrazia, che rischia di rispedirli in Grecia. Il centro è gestito da Misericordie e Caritas, che ricevono un'indennità di 30 euro al giorno per ogni richiedente asilo, che a pieno regime significa circa 18 milioni di euro l'anno. Ma una volta usciti da qua, soltanto pochi entreranno nella seconda accoglienza. Lo Sprar è saturo e la maggior parte degli stranieri, con o senza documenti, torneranno in mezzo alla strada. |
Accoglienza e detenzione. Reportage da Caltanissetta Una sezione per l'accoglienza dei richiedenti asilo. L'altra per la detenzione dei migranti senza documenti. Sono 600 i posti del centro gestito dalla cooperativa Albatros 1973. Un mese fa il centro finì nella bufera per la morte di un ghanese, portato in ospedale 6 ore dopo le richieste d'aiuto. Il 70% dei trattenuti al Cie sono ex-detenuti. Sì perchè la direttiva interministeriale sui rimpatri dal carcere, non viene applicata. Dietro le gabbie del Cie, accanto agli ex detenuti, anche le vittime del clima sicuritario. Gente che in Italia vive e lavora da anni. Ma che ha perso i documenti. E accanto a chi vuole scappare c'è chi al centro ci vuole entrare a ogni costo. Dormono sui cartoni fuori dai cancelli. Sono decine di afghani in lista d'attesa |
Viaggio nei Cara-Cie. Le due facce del centro di Gradisca
Ci sono bambini ed ex detenuti. Donne nigeriane sbarcate a Lampedusa dopo viaggi di mesi in mezzo al deserto e lavoratori albanesi diventati clandestini per un vecchio precedente penale. Ragazzi algerini partiti in barca da Annaba che dicono “questo è un hotel” e tunisini che in arabo alzano la voce: “Iktab! - scrivi! - siamo ostaggi non ospiti”. Il centro di Gradisca d'Isonzo, provincia di Gorizia, dieci chilometri dalla Slovenia, è molte cose insieme. Un luogo di accoglienza per i richiedenti asilo intercettati nel Canale di Sicilia. E una gabbia per tutti quelli che non hanno i documenti in regola.
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