TORINO, 8 aprile 2009 - I fatti risalgono a venti giorni fa. Ma la gravità è tale da doverci ritornare. Siamo a Torino. Centro di identificazione e espulsione di corso Brunelleschi. Il 14 marzo tre detenuti tunisini si tagliano le vene per essere ricoverati in ospedale ed evitare l'espulsione. Uno di loro filma clandestinamente la scena con un telefono cellulare. Il video arriva a Radio Black Out, una radio indipendente torinese. Che lo carica su Youtube. In tre giorni più di 1.200 persone scaricano le immagini. Ma il 18 marzo il video viene oscurato e rimosso dai server del sito. Noi ci riproviamo. E lo carichiamo su Fortress Europe.
Questo video ha creato non pochi problemi a chi lo ha girato. Il giorno dopo la pubblicazione del video, la polizia inizia una perquisizione: materassi e masserizie all’aria, volano minacce. Due telefoni cellulari dei detenuti vengono sequestrati e distrutti. Qualcuno inizia uno sciopero della sete, mentre continuano, nel silenzio dei media, i disperati atti di autolesionismo per evitare il rimpatrio. Finché il 30 marzo qualcuno ce la fa. Un gruppetto di 5 o 6 detenuti riescono a evadere e tornare in libertà. Meglio dire in libertà condizionata. Perché in qualsiasi momento potranno di nuovo essere arrestati e detenuti, fino a sei mesi, nei centri di identificazione e espulsione.
Si tratta di persone che spesso hanno lasciato tutto e magari si sono indebitati per venire qui a lavorare e non possono tornare a casa a mani vuote. Si tratta di persone che spesso vivono e lavorano in Italia da anni. Perché in Italia la clandestinità è una tappa forzata per avere i documenti, dal momento che non esistono percorsi legali praticabili per entrare legalmente sul nostro territorio.
Per una ricostruzione più completa dei fatti di Marzo al Cie di Torino, rimandiamo al blog di Macerie, la trasmissione di Radio Black Out
Questo video ha creato non pochi problemi a chi lo ha girato. Il giorno dopo la pubblicazione del video, la polizia inizia una perquisizione: materassi e masserizie all’aria, volano minacce. Due telefoni cellulari dei detenuti vengono sequestrati e distrutti. Qualcuno inizia uno sciopero della sete, mentre continuano, nel silenzio dei media, i disperati atti di autolesionismo per evitare il rimpatrio. Finché il 30 marzo qualcuno ce la fa. Un gruppetto di 5 o 6 detenuti riescono a evadere e tornare in libertà. Meglio dire in libertà condizionata. Perché in qualsiasi momento potranno di nuovo essere arrestati e detenuti, fino a sei mesi, nei centri di identificazione e espulsione.
Si tratta di persone che spesso hanno lasciato tutto e magari si sono indebitati per venire qui a lavorare e non possono tornare a casa a mani vuote. Si tratta di persone che spesso vivono e lavorano in Italia da anni. Perché in Italia la clandestinità è una tappa forzata per avere i documenti, dal momento che non esistono percorsi legali praticabili per entrare legalmente sul nostro territorio.
Per una ricostruzione più completa dei fatti di Marzo al Cie di Torino, rimandiamo al blog di Macerie, la trasmissione di Radio Black Out