Quella bianca e rossa che sventola davanti al Cie di Torino, è la bandiera peruviana. E i quaranta bagnati fradici che continuano a gridare “Libertà!” sotto la pioggia sono gli amici di Ismael, l'ultimo arrivato al centro di identificazione e espulsione torinese. Lui in città è un volto noto tra la comunità peruviana. E quella di oggi potrebbe essere la prima di una lunga serie di manifestazioni per chiedere la sua liberazione. Fuori dalle mura del Cie c'è sua sorella Angy, gli amici del circolo culturale José Carlos Mariatégui e i compagni del suo partito, il Partito Nazionalista Peruviano dell'attuale presidente Ollanta Humala. A dargli manforte ci sono un po' di ragazzi italiani del movimento No Cie. Nemmeno la pioggia torrenziale li ha fermati. Ci tenevano troppo a fargli sentire la loro presenza. E in qualche modo a risvegliare la comunità peruviana - e non solo - dal torpore sulla questione espulsioni.
Al di là del muro, i detenuti sentono subito che fuori c'era movimento, un po' per la musica sparata a tutto volume dalle casse sul camioncino, un po' per gli accorati appelli al microfono di Juan. E appena il cielo concede una tregua dalla pioggia, alcuni reclusi tunisini salgono sui tetti dell'area bianca per salutare con le mani al cielo e le due dita aperte a v in segno di vittoria. Contemporaneamente dall'aria viola si leva una colonna di fumo nero, segno che qualcosa sta andando a fuoco, probabilmente un materasso appena bruciato per protesta.
Poco dopo, il presidio si chiude con la voce dello stesso Ismael. L'impianto stereo del presidio si è sintonizzato sulle frequenze della radio torinese Radio Black Out, che in quel momento sta trasmettendo in diretta una sua intervista telefonica. Amplificata a tutto volume, la sua voce dal Cie rimbomba in tutta la strada. Cosicché per una volta anche i vicini del quartiere possono ascoltare, loro malgrado, un racconto in prima persona dal Cie. E sentire come è facile perdere 18 mesi della propria libertà nell'Italia di oggi.
Ismael quando l'hanno preso era il 7 settembre. Un banale posto di blocco lungo la strada. Era alla guida del furgone con cui da qualche giorno stava lavorando a un trasloco. Documenti, prego. Ma i documenti non ce li aveva. Eppure in Italia ci vive da dieci anni, dieci anni di duro lavoro per mantenere la moglie e il figlio in Perù. Prima come muratore, poi imbianchino, e adesso con i traslochi. Ma in Italia si sa non basta un lavoro per ottenere un permesso di soggiorno. Lui a fare le carte ci ha provato due volte, sempre con i decreti flussi, ma entrambe le volte qualcosa era andato storto. E così è finita che l'hanno portato via così, con ancora indosso i panni del lavoro, e si è ritrovato senza neanche saperlo al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Torino. Dove da ieri è stato trasferito in isolamento, dopo essere stato vittima di una apparentemente immotivata aggressione da parte di alcuni reclusi della sua stessa sezione.
Poche ore dopo il presidio, le foto della manifestazione sono già sulla rete. Le ha pubblicate il circolo peruviano Mariatégui sulla sua pagina facebook, che conta più di 1.800 amici, con tanto di volantino per la liberazione di Ismael. E con questo commento:
“AYER SE INIZIO LA PRIMERA BATALLA POR LA LIBERAZION DE UN PERUANO HONESTO Y TRABAJADOR DETENIDO EN ITALIA TURÌN POR SER INDOCUMENTADO... ES UN PERUANO K APOYA A SU HERMANA Y A SUS SOBRINO QUE ESTAN EN ITALIA Y TIENE QUE ALIMENTAR A SU POBRE HIJO K ESTA EN EL PERù... BASTA YA DE SOPORTAR TANTAS INJUSTICIAS COMETIDOS A LOS PERUANOS EN EL EXTERIOR, AQUì IN ITALIA EL EMBAJADOR Y EL CONSUL PERUANO BIEN GRACIAS PARA ELLOS "AQUI NO PASA NADA", COMO SIEMPRE INDIFERENTE, PERO SIEMPRE HEMOS TENIDO EL APOYO DEL PUEBLO Y ASOCIACIONES ITALIANAS QUE ESTUBIERòN CON NOSOTROS AYER , EN UN DìA DE TANTA LLUVìA NO LOS DETUVO PARA NADA ENTRARON EN CALOR , AGITANDO LA BANDERA DEL PERù Y PIDIENDO LA LIBERACION DEL PERUANO ISMAEL. SEGUIREMOS LUCHANDO POR UN MUNDO LIBRE ì BASTA DE INJUSTICIA !!!!!!!!!!”
Tutto lascia pensare che ci saranno altre iniziative simili nelle prossime settimane. Resta comunque l'importanza di un precedente. Mai infatti era accaduto prima che una comunità di amici e familiari di un recluso in un Cie organizzassero in modo autonomo una protesta pubblica per chiederne la liberazione.
Pensate a cosa accadrebbe se per ognuno dei reclusi nei Cie, fuori si muovesse il circuito dei suoi cari. Forse è la stessa domanda che si ponevano gli agenti della Digos che dall'altro lato della strada, di fronte al vecchio ingresso del Cie, osservavano con stupore la protesta.
Eppure non è un'ipotesi remota. Perché è vero che il 2011 è stato caratterizzato dalla presenza nei Cie di molti tunisini appena sbarcati da Lampedusa, che in Italia non avevano praticamente nessun conoscente. Ma è anche vero che se dopo l'estate gli sbarchi dalla Tunisia dovessero cessare o comunque diminuire consistentemente, allora riprenderanno a intensificarsi le retate e gli arresti nelle nostre città. E i Cie torneranno a riempirsi di “italianitravirgolette”, gente che qui ha passato una vita, e che qui ha moglie e figli. E allora presidi come quello per Ismael potrebbero diventare la norma.