Fonti indipendenti interne al centro di identificazione e espulsione di Trapani, il Serraino Vulpitta, ci confermano quanto accaduto la sera di mercoledì 4 maggio, quando un gruppo di tunisini reclusi al terzo piano del Vulpitta ha bruciato materassini, coperte e vestiti al grido di "Libertà!". L'incendio è stato spento dai vigili del fuoco. Dopodiché hanno fatto ingresso nella sezione polizia, militari e carabinieri. Hanno messo in fila i detenuti e ne hanno manganellati alcuni. Nel centro, secondo le nostre informazioni, ci sono almeno otto feriti, con ematomi sulle gambe e sui piedi dovuti alle manganellate. Nessuno è stato portato al pronto soccorso, tutti medicati in infermeria. Per il momento non ci sono nemmeno stati arresti. Evidentemente mancano le prove per identificare i responsabili dell'incendio.
In questo momento il centro è pieno. E – novità rispetto agli anni passati – è disposto su due piani del vecchio ospizio. Al terzo piano si trovano 43 detenuti, e al secondo piano altri 20, per un totale di 63 persone. La maggior parte sono tunisini, di cui moltissimi arrivati via mare a Lampedusa e Pantelleria. Ci sono anche persone sbarcate prima del 5 aprile, a cui però non è stato ancora rilasciato il permesso per motivi umanitari come previsto per decreto per tutti i tunisini arrivati prima di quella data. I reclusi non hanno ancora capito se è per via dei ritardi o se non avranno mai il documento. Tra i reclusi c'è chi è stanco e vorrebbe tornare in Tunisia perché non ha nessuna voglia di passare i prossimi sei mesi dietro le sbarre. Negli ultimi mesi però dal centro non sono stati fatti rimpatri. Altri tunisini invece – e sono quelli che hanno protestato appiccando il fuoco – vogliono tornare in libertà e proseguire il viaggio. La maggior parte infatti sono diretti in Francia, come moltissimi dei tunisini sbarcati negli ultimi mesi a Lampedusa e poi transitati da Ventimiglia.
Il Cie di Trapani è il primo centro di identificazione e espulsione aperto in Italia. Venne inaugurato nel luglio del 1998. Il centro è disposto su tre piani in un'ala dell'ospizio. Su ogni piano, si accede da un cancello a un ballatoio chiuso da una rete metallica, su cui si affacciano le camerate. I posti a disposizione sono 57. I lucchetti si aprono quattro volte al giorno. Per i pasti, e per l'ora d'aria concessa nel pomeriggio, per giocare nel campetto di calcio nel parcheggio all'ingresso, sotto la vigilanza della polizia. In ogni cella ci sono quattro brandine. Una delle camere è stata adibita a moschea.
Oggi a malapena si riesce a immaginare come nei primi anni di apertura, nel 1998 e 1999, il centro potesse contenere fino a 180 persone, con 12 o 13 persone per ogni stanza. Furono anni di ribellioni e tentativi di fuga. Il più drammatico si concluse con la morte di sei persone. Era la notte tra il 28 e il 29 dicembre 1999. Alcuni ragazzi appiccarono il fuoco ai materassi nella propria cella. La porta sul ballatoio era chiusa a chiave. Il fuoco divampò e prima che arrivassero i soccorsi morirono tre persone tra le fiamme. Altri tre si spensero nelle settimane successive, ricoverati al Centro grandi ustioni. Il prefetto in carica Leonardo Cerenzìa, fu imputato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo, per poi essere assolto con formula piena il 15 aprile del 2004.
In questo momento il centro è pieno. E – novità rispetto agli anni passati – è disposto su due piani del vecchio ospizio. Al terzo piano si trovano 43 detenuti, e al secondo piano altri 20, per un totale di 63 persone. La maggior parte sono tunisini, di cui moltissimi arrivati via mare a Lampedusa e Pantelleria. Ci sono anche persone sbarcate prima del 5 aprile, a cui però non è stato ancora rilasciato il permesso per motivi umanitari come previsto per decreto per tutti i tunisini arrivati prima di quella data. I reclusi non hanno ancora capito se è per via dei ritardi o se non avranno mai il documento. Tra i reclusi c'è chi è stanco e vorrebbe tornare in Tunisia perché non ha nessuna voglia di passare i prossimi sei mesi dietro le sbarre. Negli ultimi mesi però dal centro non sono stati fatti rimpatri. Altri tunisini invece – e sono quelli che hanno protestato appiccando il fuoco – vogliono tornare in libertà e proseguire il viaggio. La maggior parte infatti sono diretti in Francia, come moltissimi dei tunisini sbarcati negli ultimi mesi a Lampedusa e poi transitati da Ventimiglia.
Il Cie di Trapani è il primo centro di identificazione e espulsione aperto in Italia. Venne inaugurato nel luglio del 1998. Il centro è disposto su tre piani in un'ala dell'ospizio. Su ogni piano, si accede da un cancello a un ballatoio chiuso da una rete metallica, su cui si affacciano le camerate. I posti a disposizione sono 57. I lucchetti si aprono quattro volte al giorno. Per i pasti, e per l'ora d'aria concessa nel pomeriggio, per giocare nel campetto di calcio nel parcheggio all'ingresso, sotto la vigilanza della polizia. In ogni cella ci sono quattro brandine. Una delle camere è stata adibita a moschea.
Oggi a malapena si riesce a immaginare come nei primi anni di apertura, nel 1998 e 1999, il centro potesse contenere fino a 180 persone, con 12 o 13 persone per ogni stanza. Furono anni di ribellioni e tentativi di fuga. Il più drammatico si concluse con la morte di sei persone. Era la notte tra il 28 e il 29 dicembre 1999. Alcuni ragazzi appiccarono il fuoco ai materassi nella propria cella. La porta sul ballatoio era chiusa a chiave. Il fuoco divampò e prima che arrivassero i soccorsi morirono tre persone tra le fiamme. Altri tre si spensero nelle settimane successive, ricoverati al Centro grandi ustioni. Il prefetto in carica Leonardo Cerenzìa, fu imputato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo, per poi essere assolto con formula piena il 15 aprile del 2004.