Lungo lo stretto corridoio del ballatoio, si affacciano due sezioni, per un totale di 57 posti. Dall'inizio del 2008 ne è attiva soltanto una. I trattenuti sono ex detenuti, lavoratori migranti fermati sul territorio senza documenti, oppure tunisini respinti alla frontiera dopo essere sbarcati sull'isola trapanese di Pantelleria. In comune hanno una sola cosa: l'assenza di un documento di soggiorno e un ordine di espulsione non rispettato. Ricevono una scheda telefonica ogni dieci giorni, sigarette e assistenza medica e sociale. In ogni cella ci sono quattro brandine. Una delle camere è stata adibita a moschea. Nel primo semestre del 2008 sono transitate dal Vulpitta 94 persone, soprattutto tunisini e marocchini. Al momento i presenti sono 29. Con questi numeri, le condizioni del trattenimento sono più vivibili. E a malapena si riesce a immaginare come nei primi anni di apertura, nel 1998 e 1999, il centro potesse contenere fino a 180 persone, con 12 o 13 persone per ogni stanza. Furono anni di ribellioni e tentativi di fuga. Il più drammatico si concluse con la morte di sei persone. Era la notte tra il 28 e il 29 dicembre 1999. Alcuni ragazzi appiccarono il fuoco ai materassi nella propria cella. La porta sul ballatoio era chiusa a chiave. Il fuoco divampò e prima che arrivassero i soccorsi morirono tre persone tra le fiamme. Altri tre si spensero nelle settimane successive, ricoverati al Centro grandi ustioni. Il prefetto in carica Leonardo Cerenzìa, fu imputato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo, per poi essere assolto con formula piena il 15 aprile del 2004
Gabriele Del Grande, pubblicato da Redattore Sociale il 25 agosto 2008