TRAPANI – È la notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1999. E dalle finestre del centro di identificazione e espulsione Serraino Vulpitta, a Trapani, inizia a uscire fumo. Nel centro sono detenute un centinaio di persone, su una capienza di poco più di 50 posti. Poche ore prima, l'ennesimo tentativo di fuga da parte di un gruppo di immigrati era stato bloccato dalle forze dell'ordine, che avevano poi rinchiuso oltre una decina di persone in una cella. Uno di loro ha appiccato il fuoco ai materassi. L'aria si fa irrespirabile, sbattono sulla porta. Ma da fuori nessuno apre. La porta è chiusa con una spranga di ferro e lucchetti. Prima dell'arrivo dei pompieri, tre ragazzi tunisini muoiono carbonizzati. Altri tre moriranno in ospedale a Palermo, dove erano stati ricoverati con gravi ustioni. Nel gennaio del 2000, sul caso viene presentato un esposto alla magistratura. L'allora prefetto di Trapani, Leonardo Cerenzìa, è accusato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo. Ma verrà assolto con formula piena il 15 aprile del 2004, confermata dalla Corte d'Appello di Palermo. Il centro non era a norma, non c'erano scale antincendio né estintori. Tuttavia nessuno è stato ritenuto responsabile della tragedia.
Nel corso degli anni, il Vulpitta è stato chiuso e riaperto più volte, per lavori di ristrutturazione. Sono state costruite le scale antincendio e montati in ogni camera rilevatori di fumo e sensori termici. E il numero di posti disponibili è stato ridotto a 57, quando nei primi anni la media era di 100-150 detenuti. E tuttavia nel corso degli anni, sebbene meno frequentemente, si sono seguiti episodi di ribellioni, atti di autolesionismo e tentativi di fuga. L'ultimo rogo, senza vittime, si è verificato nel
febbraio 2007. Da allora il Vulpitta funziona a metà regime. L'ente gestore, dal 2000, è sempre la cooperativa Insieme.
Tra un paio di generazioni, quando sui libri di storia si studierà l'epoca dell'Europa razzista, i nomi dei sei ragazzi morti al Vulpitta saranno ricordati come le prime vittime dei centri di permanenza temporanea italiani. Jamel Brahami Ben Taahr, Rabah Arfaoui Ben Hedi, Nasreddin Arfaoui Ben Hedi, Lotfi Ben Mohamed Salah, Ramzi Ben Salem Mouldi, Nasim El Herzally Ben Moustafa. Non avevano commesso nessun reato penale, salvo essere nati sulla riva sbagliata di questo Mediterraneo.