MODENA – Alcuni sostengono che vadano chiusi. Altri che siano centri necessari alla gestione dell’immigrazione irregolare. Ma cosa pensa chi lavora all’interno dei centri di identificazione e espulsione (Cie)? Per scoprirlo siamo andati a rileggere una pubblicazione della Confraternita Misericordia di Modena del dicembre 2005, intitolata “L’immigrazione clandestina e i CPTA: una risorsa o un problema?”. Ecco cosa scrive S.B., un operatore della Misericordia al Cie di Modena. Sono le parole di un tecnico. Di una persona che con tanta buona volontà partecipa al buon funzionamento di una struttura detentiva. Di uno che si gratifica sentendosi dire "grazie" dai suoi detenuti. Che aspira a un ruolo di responsabilità "sarai caposquadra", ma che non ha nessuno sguardo critico sui crimini di pace di cui si sta rendendo partecipe in nome dell'ordine sociale. Ecco la sua lettera.
“Io, umile operatore assistenziale, dipendente di una confraternita di Misericordia, educato non da cattolici ma soprattutto da Cristiani, educato alla solidarietà, al pluralismo, volontario nella Protezione Civile, più volte impegnato in zone di crisi, terremoti, alluvioni, a contatto e in mezzo a quei dolori intensi, quei dolori e quelle disperazioni che ti strappano il cuore, mi ritrovo all’improvviso paragonato a un criminale nazista, solo perché opero all’interno di un cpta”.
“Non posso certo nascondere che il primo impatto con questo mondo non è stato certamente semplice, circa sessanta anime chiuse in camerate, in cortili, in alloggiamenti dove l’odore del sudore, del fumo, e del cibo ha il sopravvento, anche se poi, tutto è mantenuto con rispettosa e dignitosa umanità. Piano piano entri in contatto con loro, impari a conoscerli, ma quello che conta è che sono loro a conoscere te e a fidarsi di te, ti apri allora alle loro abitudini, ai loro usi, alle loro religioni, ai loro tentativi di strapparti una promessa, una sigaretta, un caffè e allora tu diventi un loro amico, sei quello che loro chiamano per ogni necessità e esigenza, dalla più banale alla più seria”.
“La maggior parte di questi ospiti è reduce dal carcere, da una vita improvvisata e senza una vera meta, con queste difficili convivenze ti devi misurare ogni giorno, per cercare di rendere, a queste persone la loro permanenza il meno disagevole possibile, alla fine anche la loro espulsione la accetteranno in modo più leggero e per questo sarà bastata solo una parola o un gesto di sincera solidarietà”.
“Un giorno ti dicono che sarai caposquadra, sarai tu, il responsabile del turno, degli Operatori, sarai tu a avere la possibilità di ascoltarli e di aiutarli in maniera più capillare, sarai tu l’anello di congiunzione fra loro e le istituzioni, fra loro e il medico, come con il mediatore culturale, sarai tu a iniziarli al percorso nel centro”.
“Rimane comunque la soddisfazione di essere riusciti a risolvere qualche piccolo problema di persone indesiderate dal nostro Paese; il nostro lavoro a qualcosa sarà sempre servito finché ci sarà una persona che uscendo dal Cpta ci dirà: grazie.”