BARI – “L'hanno riportato sulla barella, aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se avesse visto la morte in faccia. Mi ha ricordato la Iugoslavia”. Dopo Gradisca, Bari. Altro centro di identificazione e espulsione, altro pestaggio. Anche stavolta, ad avvalorare le testimonianze degli immigrati reclusi ci sono delle fotografie scattate con un telefono cellulare e spedite oltre il muro di cinta che circonda il Cie di Bari Palese. I fatti risalgono all'alba di domenica 20 settembre. Sono le quattro del mattino quando un detenuto in preda alla disperazione inizia a tagliarsi con una lametta. Il sangue zampilla. Gli altri detenuti chiamano aiuto.
Dalla sezione non c'è nessun citofono, l'unico modo per richiamare l'attenzione è battere contro le porte di ferro e svegliare tutti. Sul posto arrivano alcuni militari del Battaglione San Marco, un corpo speciale della nostra Marina, paragonabili ai più celebri Marines statunitensi. Prendono il ragazzo ferito e lo portano in infermeria insieme a un altro detenuto che dice di non sentirsi bene. Ma in infermeria però non c'è nessun dottore. E la terapia che gli somministrano è un pestaggio a tutti gli effetti. Volano schiaffi, spintoni, calci e poi manganellate. Tante. Questo stando a quanto riportato dalle due vittime, di cui preferiamo non svelare l'identità per paura di ritorsioni, e confermate dai due testimoni con cui abbiamo parlato.
Il loro racconato trova conferma nelle foto scattate il giorno dopo con un cellulare e caricate su Youtube. Si vedono i segni delle percosse sulle spalle, sulle gambe, sulla schiena. I due hanno deciso di denunciare i loro torturatori. Tuttavia i soldati del Battaglione San Marco possono dormire sogni tranquilli. È molto probabile infatti che l'intera vicenda venga presto insabbiata e dimenticata. Giovedì infatti è passato dal Cie di Bari un funzionario del Consolato Algerino. Il che lascia presagire che presto ci saranno dei rimpatri. Anche i due reclusi picchiati sono algerini. Uno di loro era sbarcato un mese fa in Sardegna, salpando dalla costa di Annaba. L'altro era stato fermato a Cagliari. Entrambi rischiano di essere rimpatriati prima che la magistratura faccia chiarezza.
Chi invece non rischia di essere rimpatriato in Algeria è Ali. Perché in Algeria c'è già stato rimpatriato. Per errore. E dall'Algeria è stato rispedito in Italia, come una pallina da ping pong. Ci ha raccontato la sua storia. È iniziato tutto alla fine del 2008. Classe 1970, tunisino, dopo otto anni in Italia trascorsi tra lavori in nero e qualche precedente penale, Ali venne fermato senza documenti a Verona nel mese di dicembre. Dopo due mesi di detenzione nel centro di identificazione e espulsione al Cie di Gradisca, in provincia di Gorizia, fu trasferito al Cie di Milano, dove rimase altri 59 giorni prima di essere rimpatriato, per errore, in Algeria. Lo scambiarono per un algerino per via del suo dialetto, molto simile a quello di Annaba, una città algerina al confine con la Tunisia. Il Consolato algerino pensò che mentisse. Fu soltanto a Algeri che si accorsero del misfatto e lo sbatterono in carcere per tre mesi. Tre mesi che non dimenticherà mai. Tre mesi di violenze e di torture, dopo i quali venne rispedito al mittente, a Milano. Da lì, dopo la rivolta del 15 agosto è stato trasferito con una quarantina di reclusi al Cie di Bari. Da nove mesi è privato della libertà. Eppure non ha commesso nessun reato.
Come non avevano commesso reati i due algerini pestati dai soldati del San Marco. Ma in Italia, come in tutta Europa, la libertà degli altri non ha un grande valore. Al contrario è considerato doveroso detenere chi non ha documenti di soggiorno. E chi si azzarda a fuggire da quella che se riguardasse cittadini italiani si chiamerebbe “detenzione amministrativa”, viene arrestato. A Bari è successo a tre persone nell'ultimo mese. L'ultimo è un giovane tunisino di 25 anni, arrestato il 4 settembre, con l'accusa di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Aveva ferito uno dei militari che lo inseguiva, lanciandogli in faccia una bottiglietta d'acqua dal tetto del Cie. Uno dei militari del battaglione San Marco.