In questi giorni si levano anche autorevoli voci contro la
legge sui rimpatri in discussione in Parlamento, che porta a 18 mesi la detenzione nei centri di identificazione e espulsione. In rete circola anche l'appello "
No al carcere per gli innocenti", firmato da personalità del mondo della cultura e della politica. E il
25 luglio è in programma una giornata nazionale di mobilitazione indetta da giornalisti e parlamentari per il diritto d'ingresso della stampa nei Cie. Fin qui sembrano essere tutti d'accordo. I toni però cambiano non appena i reclusi nei Cie si ribellano. Prendiamo il caso del Cie di Modena. Lo scorso
27 giugno una violenta rivolta esplosa nel pomeriggio, con porte scardinate, cancelli sfondati e duri scontri con militari, finanzieri e operatori della Misericordia, portò all'evasione di 30 reclusi tunisini. Nelle ore successive otto di loro furono rintracciati e arrestati immediatamente con l'accusa di lesioni, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Il 16 luglio sono stati rimessi in libertà dal tribunale del riesame di Bologna, per un vizio di forma. Nessuno però ha applaudito alla loro liberazione. Nessuna voce di solidarietà, ma al contrario soltanto
indignazione come se si trattasse di delinquenti. Eppure sono quelli che dall'interno dei Cie si sono ribellati ai 18 mesi di detenzione. Ovvero alla stessa idea per cui si firmano gli appelli in rete. Con la differenza che quando sei dentro, non basta fare un clic su un sito per dire no. Il rischio di ribellarti te lo prendi sulla tua pelle. Ma vediamo come è andata la storia nel dettaglio.