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Omicidio. Mariano Ruggiero, 46 anni, è finito in carcere con questa accusa. I fatti risalgono alla notte del 10 gennaio. Cinquanta miglia a sud di Lampedusa, un gommone con a bordo 60 profughi somali incrocia il peschereccio barese comandato da Ruggiero. Uno dei profughi si tuffa in mare e raggiunge a nuoto il peschereccio per chiedere soccorso. Ma Ruggiero non lo vuole a bordo e dopo una colluttazione lo butta in mare. L’uomo annega. Il suo corpo scompare tra le onde. A denunciare l’accaduto sono gli altri profughi, una volta arrivati a Lampedusa. La versione è confermata dagli altri quattro uomini dell’equipaggio. Si tratta di un episodio senza precedenti. Il 14 gennaio 2008, il Gip di Agrigento convalida l’arresto di Ruggiero. Lo stesso giorno, il tribunale di Agrigento ospita le udienze di altri due processi, niente affatto distinti dal caso Ruggiero. Quello contro i sette pescatori tunisini e quello della Cap Anamur. Ovvero i due processi simbolo contro il soccorso in mare. Due processi che hanno insegnato ai pescatori a girare alla larga dalle barche dei migranti per non avere guai giudiziari. Gli stessi guai che forse anche Ruggiero voleva evitare.

Radar contro le stragi? Delle 22 vittime censite a gennaio, 18 erano dirette in Spagna. Si continua a morire, nonostante il sistema integrato di vigilanza Sive, una rete che conta 23 stazioni radar lungo la costa andalusa e altre 27 nelle Canarie (di cui 16 in costruzione). Un sistema capace di distinguere un oggetto di mezzo metro a una distanza di 21 km dalla costa e quindi di rendere più celeri i soccorsi. Peccato però che per sfuggire agli occhi del Sive i migranti si avventurino su barche sempre più piccole, che sotto il soprappeso navigano al pelo dell’acqua e sono invisibili ai raggi infrarossi dei radar, nascoste dalle creste delle onde. Come la barca arrivata a Conil il 22 gennaio e capovoltasi a un metro dalla spiaggia o quella naufragata a Barbate all’inizio dell’anno. Dieci morti annegati. Certo gli arrivi nella Penisola sono diminuiti del 24% nel 2007 e i morti nello stretto di Gibilterra, anche grazie ai radar, sono passati da 215 nel 2006 a 131 nel 2007. Ma questo costo di vite umane rimane inaccettabile. Non saranno i radar a fermare la strage, in assenza di politiche di mobilità dei migranti africani, di re-insediamento dei rifugiati e di forte investimento economico nell’area mediterranea.
87 milioni. Sulla scia delle rotte per le Canarie, nell’Atlantico, gennaio si lascia alle spalle almeno sette vittime. Tre cadaveri ritrovati a bordo di una piroga soccorsa 90 miglia a sud dell’arcipelago spagnolo il 13 gennaio e altri quattro ripescati al largo di Cap Barbas, 270 km a sud di Dakhla, nel Sahara occidentale, il 4 gennaio. Gli arrivi alle Canarie sono diminuiti del 62% nel 2007 e le vittime censite sono passate da 1.035 a 745. Frontex ha respinto verso le coste africane 12.864 migranti dall’agosto 2006. E dal primo febbraio 2008, i pattugliamenti europei dell’Atlantico saranno permanenti per tutto il 2008, con mezzi spagnoli, portoghesi e italiani, per un costo complessivo di 12 milioni di euro. A cui vanno aggiunti 87 milioni stanziati dall’Ue per il 2007-08 per finanziare i rimpatri dei migranti sbarcati alle Canarie (16.000 tra il gennaio e l’agosto del 2007, per un costo di 10,8 milioni di euro, ovvero 675 euro a testa), e i pattugliamenti congiunti operati in Senegal, Mauritania e Marocco, che dall’aprile 2006 hanno bloccato almeno 7.000 migranti. Le ultime retate in Marocco hanno causato l’arresto di un centinaio di persone a Rabat, mentre sono almeno 2.400 i migranti arrestati nel 2007 lungo le coste del Sahara occidentale e poi espulsi in Algeria, abbandonati a se stessi in una zona semidesertica lungo il confine. Nessun pattugliamento ha invece fermato la pesca clandestina delle navi europee, russe e cinesi, che negli ultimi anni hanno esaurito i banchi di pesce della costa africana e partecipato in maniera diretta all’esodo dei pescatori senegalesi.

Pesca al cadavere. Ale Nodye, discendente di una famiglia di pescatori di Kayar, in Senegal, da sei anni guadagnava dalla pesca sì e no il necessario per coprire le spese del carburante della piroga. Così ha deciso di partire, con 87 passeggeri a bordo di quella stessa barca, verso la Spagna. Il viaggio è finito male. È stato rimpatriato. Suo cugino è morto annegato. Eppure Nodye vuole ripartire. “In Spagna potrei lavorare in mare, qui non c’è più pesce” dice al New York Times. Gli scienziati gli danno ragione. La pesca intensiva e spesso clandestina di una flotta di pescherecci europei, russi e cinesi hanno devastato i banchi di pesce. Lo stesso presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, accusa l’Europa: “Vogliamo pescare pesce non cadaveri”. E continua: “Avevamo i banchi più ricchi del mondo, ma i nostri fondali sono stati spogliati dalla pesca clandestina europea e asiatica”. La storia si ripete. E il protagonista è l’Unione europea, che con una mano depreda le risorse di un intero continente e con l’altra chiude le vie di fuga di chi cerca di tornarsi a prendere ciò che gli spetta.
A 14 anni in Italia. Gennaio conta tre vittime anche sulle rotte che dalla Turchia, via Grecia, portano in Italia verso il nord Europa. La prima frontiera da valicare è quella tra Edirne e Didimotiho. Tra Turchia e Grecia. Lì il confine corre lungo il corso del fiume Evros. Basta attraversarlo, il più delle volte su dei gommoni, per ritrovarsi in Grecia e da lì proseguire nascosti nei camion che ogni notte attendono il loro carico umano. Il 15 gennaio era una di quelle notti. I passatori turchi stavano trasportando un carico di profughi da una parte all’altra del fiume. Qualcosa è andato storto. La barca si è rovesciata. E una donna è finita in acqua ed è morta annegata subito dopo, scomparendo tra le acque gelate dell’Evros. Due settimane dopo, il 30 gennaio, l’equipaggio dell’Ariadne, un traghetto di linea tra Patrasso e Venezia, scopre i resti di un uomo nella stiva della nave, dove si era nascosto per raggiungere l’Italia e proseguire il suo viaggio. Lo stesso progetto che aveva il quattordicenne afgano morto una settimana prima, il 22 gennaio, divorato dall’asfalto mentre viaggiava nascosto legato sotto un camion partito dalla Grecia e sbarcato ad Ancona.

La stagione della caccia. Patrasso: la caccia all’immigrato è ufficialmente aperta. Alla vigilia del tradizionale Carnevale della città, le autorità greche hanno deciso di ripulire la zona del porto, dal quale ogni giorno centinaia di rifugiati tentano di imbarcarsi per l’Italia, nascondendosi sui camion pronti a salire sui traghetti diretti a Bari, Brindisi, Ancona e Venezia. Più di 200 rifugiati afgani sono stati arrestati e trasferiti nei campi di detenzione ad Atene e Evros, al confine turco, in attesa di essere riammessi in Turchia. La polizia ha iniziato la demolizione della baraccopoli vicino al porto, dove vivono tra cartoni e lamiere, almeno 700 rifugiati, per lo più afgani e iracheni, di cui almeno 300 minorenni. La polizia greca stima che oltre 4.000 profughi vivano accampati nella città in attesa di un passaggio verso l’Italia, da dove spesso il viaggio prosegue verso il nord Europa e l’Inghilterra. A fermare momentaneamente le demolizioni è stata una forte mobilitazione delle associazioni greche, che hanno organizzato una manifestazione con oltre 2.000 partecipanti, tra cui centinaia di rifugiati afgani e irakeni. Le condizioni di vita nelle baracche sono ostili: niente sanitari, acqua potabile, né corrente elettrica. Nel 2006 un 33enne afgano morì fulminato mentre tentava un allaccio abusivo alla rete elettrica.
Crociera Grecia. Lo scorso 19 gennaio la polizia greca aveva arrestato 66 irakeni e 4 afgani nel porto di Igoumenitsa, appena riammessi in Grecia dall’Italia, dove essere stati intercettati a bordo di una nave salpata da Patrasso. I profughi sono stati immediatamente inviati nel campo di detenzione di Evros, al confine turco, in attesa di essere espulsi nella Turchia che bombarda il Kurdistan irakeno, assieme ai 200 rifugiati afgani arrestati, sempre a Igoumenitsa, nei giorni precedenti. In base ai lanci delle agenzie stampa, almeno 172 migranti, in maggioranza afgani e irakeni, sono stati riammessi in Grecia dai porti italiani di Bari, Ancona e Venezia, solo nel mese di gennaio 2008. Nel 2006 le riammissioni in Grecia da Bari furono 850, tra cui quelle di 300 iracheni e 170 afgani. A niente sono serviti i pareri contrari alle riammissioni espressi sia il Parlamento europeo che l’Acnur.
Crociera Grecia. Lo scorso 19 gennaio la polizia greca aveva arrestato 66 irakeni e 4 afgani nel porto di Igoumenitsa, appena riammessi in Grecia dall’Italia, dove essere stati intercettati a bordo di una nave salpata da Patrasso. I profughi sono stati immediatamente inviati nel campo di detenzione di Evros, al confine turco, in attesa di essere espulsi nella Turchia che bombarda il Kurdistan irakeno, assieme ai 200 rifugiati afgani arrestati, sempre a Igoumenitsa, nei giorni precedenti. In base ai lanci delle agenzie stampa, almeno 172 migranti, in maggioranza afgani e irakeni, sono stati riammessi in Grecia dai porti italiani di Bari, Ancona e Venezia, solo nel mese di gennaio 2008. Nel 2006 le riammissioni in Grecia da Bari furono 850, tra cui quelle di 300 iracheni e 170 afgani. A niente sono serviti i pareri contrari alle riammissioni espressi sia il Parlamento europeo che l’Acnur.