ROMA, 17 gennaio 2008 – Forse è già troppo tardi. Ieri l’agenzia di stampa libica Jana, ripresa dal quotidiano in lingua araba “al-Sharq al-Awsat”, ha annunciato che il paese ha iniziato a deportare tutti i migranti privi di documenti di soggiorno. Secondo le stesse autorità libiche, nel paese vivono circa due milioni di stranieri - tra cui molti rifugiati del Corno d’Africa (Eritrea, Somalia ed Etiopia) e del Darfur - a fronte di circa sei milioni di cittadini libici. E la maggior parte non ha documenti. Tripoli prepara dunque una deportazione di massa senza precedenti. Logica conseguenza delle pressioni esterne fatte sul Paese dall'Italia e dall'Ue e di quelle interne dettate da un'opinione pubblica xenophoba, che già nel passato si distinse per macabri pogrom razzisti come quello di Zawiyah nel 2000, dove morirono ammazzate 560 persone.
La Libia non ha mai firmato la Convenzione Onu di Ginevra sui rifugiati, sebbene sieda nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Le testimonianze raccolte nei rapporti di Human Rights Watch, Amnesty International e Fortress Europe parlano di arresti di massa, detenzioni in condizioni degradanti, torture e abusi, rimpatri di rifugiati e deportazioni in pieno deserto, alla frontiera sud del Paese. Anche l'Acnur si è detto preoccupato. La portavoce in Italia dell'Alto commissariato dei rifugiati, Laura Boldrini, raggiunta telefonicamente, ha detto: "Se i pattugliamenti dovessero diventare uno sbarramento, tutto ciò sarebbe pericoloso e rischioso".
Il 15 ottobre 2007, Amnesty International ha scritto alla Commissione Ue e a Palazzo Chigi per chiedere di sospendere qualsiasi collaborazione con Tripoli in assenza di garanzie sul rispetto dei diritti dei migranti. E invece l’Italia, lo scorso 29 dicembre 2007, ha firmato un accordo per il pattugliamento congiunto con la Libia. I migranti fermati sulle rotte saranno riportati nei porti africani. Cosa che in verità accade da anni, nell'aperta violazione dei principi di non refoulement sanciti nel diritto internazionale. Gli stessi principi che il 10 maggio 2005 portarono la Corte europea dei diritti umani ad emanare un provvedimento d'urgenza per bloccare le espulsioni collettive da Lampedusa, dopo che oltre 1.500 cittadini stranieri sbarcati sull’isola erano stati rinviati in aereo in Libia. Tre anni dopo quei principi sono carta straccia. Lo sa bene l'Italia, che secondo il rapporto della Missione tecnica in Libia nel 2004, finanziò solo nel 2004 almeno 47 voli per il rimpatrio, dalla Libia, di oltre 5.500 migranti e rifugiati. Uno di quegli aerei, con 109 passeggeri, era diretto in Eritrea. Il Paese in guerra con l’Etiopia dal quale sono giunti la maggior parte dei richiedenti asilo politico in Italia nel 2006. Il Paese dove, secondo il documentario “Eritrea – Voice of Torture”, i 223 eritrei rimpatriati da Malta nel 2002 furono detenuti e torturati per anni e alcuni persero la vita. Sui rapporti tra Italia e Libia pende un’interrogazione scritta al ministro dell’Interno e al ministro degli Esteri. Altre due interrogazioni sono state presentate al Consiglio e alla Commissione europea nell’ottobre 2007. Le risposte tardano ad arrivare.
Intanto il ministero dell’Interno libico ha firmato oggi un contratto del valore di 31 milioni di euro con l’italiana Alenia Aeronautica per la fornitura di nove aerei da pattugliamento marittimo ATR-42MP Surveyor. Il contratto include l'addestramento dei piloti e degli operatori di sistema, supporto logistico e parti di ricambio. L'aereo sarà consegnato nel corso del 2009 e verrà utilizzato dal corpo della General Security libica per il controllo delle acque territoriali, la lotta al traffico illegale di beni e persone, la ricerca e soccorso e la tutela dell'ambiente marino. "Questo accordo - si legge nel comunicato della società di Finmeccanica - fa seguito a quello siglato nel gennaio del 2006 per 10 elicotteri AgustaWestland A109 Power, in una configurazione dedicata al controllo delle frontiere, del valore di circa 80 milioni di Euro, e conferma il ruolo di partner di primaria importanza della Libia per le aziende Finmeccanica, fortemente impegnate nel rinnovamento del sistema libico di controllo dei propri confini marittimi e terrestri, considerato un elemento chiave nella nuova fase di collaborazione tra il paese nordafricano e l’Unione Europea". Per chi non lo sapesse, l'azionista di riferimento di Finmeccanica, con il 30% delle sue azioni, è il Ministero del Tesoro. Insomma prima gli affari e poi il diritto.