ROMA, 30 dicembre 2007 – Il negoziato è stato lungo e riservato. Legato alla questione dei risarcimenti coloniali e ai contratti dell’Eni con per l’esportazione del gas. Ma alla fine la partita si è chiusa. Il “Protocollo per la cooperazione tra l’Italia e la Libia per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina” è stato firmato ieri a Tripoli dal ministro dell’Interno Giuliano Amato e dal ministro degli Esteri libico, Abdurrahman Mohamed Shalgam. L’accordo – già benedetto dal commissario Ue Franco Frattini - prevede l’invio di sei navi della Guardia di Finanza, tre guardacoste e tre vedette, pronte a operare in acque territoriali libiche con equipaggi misti, allo scopo di riportare nei porti africani le barche intercettate. L’accordo prevede anche la fornitura (con un finanziamento Ue) di un sistema di controllo per le frontiere terrestri e marittime libiche, come già richiesto dalle autorità libiche alla missione di Frontex che visitò il paese nel maggio 2007. La direzione e il coordinamento delle attività di pattugliamento – e di addestramento - saranno affidati ad un Comando operativo interforze, con sede in Libia. Il responsabile sarà libico, mentre il vice comandante sarà designato dal Governo italiano. In caso di necessità il Comando potrà anche richiedere l’intervento dei mezzi italiani schierati a Lampedusa. Per Amato si potranno così “salvare molte vite umane” facendo “ciò che è stato fatto sulle coste dell’Albania”. Ma sulla questione libica pesano come un macigno le gravissime denunce di Amnesty International, Human Rights Watch e Fortress Europe: 60.000 migranti arrestati e deportati nella Grande Jamahiriyya solo nel 2006, comprese donne e bambini, migranti economici e rifugiati politici. Arrestati durante retate di massa delle forze di polizia libiche, detenuti senza processo per mesi o per anni, in condizioni degradanti e quindi deportati, anche se rifugiati politici, oppure mandati a morire, abbandonati in mezzo al deserto alla frontiera libica meridionale con Niger, Chad, Sudan e Egitto. Per l’ennesima volta, in nome del controllo delle frontiere europee si calpesta sulla pelle di migranti e rifugiati l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona.
A chiederlo era stata Amnesty International con una lettera inviata alla Commissione europea e a Palazzo Chigi, il 15 settembre 2007. “La cooperazione con la Libia non può crescere senza reali garanzie sul rispetto dei diritti umani dei migranti che saranno respinti”. Poche settimane dopo, rispettivamente il 4 e il 16 ottobre 2007, tre interrogazioni parlamentari, rivolte al Governo italiano e alla Commissione europea, chiedevano conto della reale situazione di migranti e rifugiati in Libia, allarmati dalle sempre più gravi denunce della società civile. Sono passati tre mesi. L’accordo con la Libia è stato siglato. Ma alle interrogazioni non è stata data nessuna risposta. L’obiettivo era noto da tempo. Respingere verso le coste africane i migranti intercettati. Anche se il 60% dei circa diecimila richiedenti asilo in Italia sono arrivati proprio da quelle coste. Perchè a Lampedusa arrivano i profughi della guerra civile in Somalia, i rifugiati del Darfur, dell’Etiopia, dell’Eritrea, della Palestina, della Liberia e della Sierra Leone. Eppure la Carta europea dei diritti umani vieta le deportazioni collettive, e la riammissione di un cittadino straniero in un Paese terzo dove rischi la tortura, così come lo vieta la Convenzione internazionale contro la tortura, senza parlare della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Convenzione che la Libia , nuovo gendarme della frontiera sud, non ha mai firmato, sebbene ospiti una missione dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur), a Tripoli.
Lungo le frontiere, sembra terminare anche il confine del diritto. Dopotutto, sebbene in modo illegale, i respingimenti in mare si sono sempre fatti. Fortress Europe li ha denunciati raccogliendo le testimonianze di rifugiati respinti in Tunisia e in Libia. E lo stesso comandante della Guardia di Finanza, Romeo Cavallin, nel 2004 ammetteva allegramente che i respingimenti verso la Tunisia erano una prassi abituale. E se parliamo di pratiche illegali, è perchè fu la Corte europea dei diritti dell’uomo, sostenuta da una mozione approvata dal Parlamento europeo, che il 10 maggio 2005 condannò l’Italia ordinando la sospensione delle deportazioni collettive da Lampedusa, dopo che oltre 1.500 cittadini stranieri sbarcati sull’isola erano stati rinviati in Libia. Ciò che allora veniva definito illegale dalle più alte istituzioni comunitarie, in nome del diritto internazionale, tre anni dopo è diventato l’obiettivo dichiarato dell’organo comunitario preposto al controllo delle frontiere esterne dell’Ue, Frontex appunto.
Come Fortress Europe, così come siamo riusciti a mappare i 21 campi di detenzione in Libia e a denunciare a gran voce le condizioni di detenzione dei rifugiati in Libia, così cercheremo di documentare respingimento per respingimento la sorte che toccherà ai migranti deportati e ai rifugiati rimpatriati. Consapevoli del fatto che la gestione delle migrazioni non si possa ridurre alla militarizzazione del Mediterraneo, il cui solo effetto è di spostare le rotte, spesso su tratte più pericolose, vedi la nuova porta Egitto-Calabria o Algeria-Sardegna, e di far aumentare i morti, a fronte di politiche per l'immigrazione regolare sempre più restrittive e ipocrite. Finché non si decidano serie politiche di investimento economico nell’area Mediterranea e in tutta l’Africa; finché non si aprano canali di reinsediamento per i rifugiati nei Paesi di transito, altrimenti costretti a gettarsi in mare come unica via di salvezza per raggiungere l’Europa; finché non si preveda la possibilità di ottenere visti d’ingresso in Europa per motivi di ricerca di lavoro, e finché non si attuino forme permanenti di regolarizzazione per chi già vive e lavora in Italia e in Europa da anni, tutte le navi di Frontex niente potranno contro centinaia di migliaia di destini costretti a bruciare le nostre frontiere per abbandonare la morsa della povertà e delle guerre. Povertà e guerre alla cui origine si trovano spesso quegli stessi Stati europei che armano le proprie polizie di frontiera per ricacciare indietro i fantasmi della propria cattiva coscienza.