di Fulvio Vassallo Paleologo
1.Nella gestione quotidiana dei rapporti tra Italia, Libia e Tunisia in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare, le scelte maturate negli anni passati, talvolta anche sulla base di accordi di “solidarietà nazionale”, fino alla approvazione del Trattato di amicizia con la Libia, stanno coprendo di vergogna e di ridicolo il governo italiano e le autorità militari che ne eseguono gli ordini. Vergogna per le gravissime violazioni dei diritti umani, anche ai danni di minori e vittime di violenza, ridicolo per la evidente sproporzione tra l’enfasi degli annunci ed i risultati conseguiti, soprattutto quando si parla di “blocco” della rotta di Lampedusa. E gli sbarchi a Lampedusa sono adesso ripresi, anche se nessuno ne parla. Il blocco navale di Lampedusa non ha fatto certo diminuire in modo significativo il numero degli immigrati che annualmente entrano in Italia “senza documenti”, ma ha certamente ha sbarrato la strada a migliaia di richiedenti asilo o altre forme di protezione internazionale, la maggior parte di quelli fino ad oggi arrivati a Lampedusa, in fuga dall’inferno libico. Ma questo, per Maroni , è un “successo storico”, un risultato del quale vantarsi. Anche se nel periodo del governo Berlusconi i “clandestini” in Italia sono diventati oltre un milione.
Non è bastata neppure - ad interrompere i respingimenti in acque internazionali- la denuncia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che ha accusato la Marina militare di gravi abusi ai danni dei migranti recuperati nel Canale di Sicilia da unita militari battenti bandiera italiana, e dunque territorio nazionale, prima di riconsegnarli alle autorità libiche. Le autorità italiane si sono limitate a modificare le procedure ed a riconsegnare i naufraghi alle motovedette libiche ai confini delle acque territoriali, senza arrivare più a sbarcare i migranti entrando direttamente nel porto di Tripoli come avvenuto nei giorni 7 ed 8 maggio scorsi. Un caso nel caso, sul quale dovrà pronunciarsi adesso la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Anche le critiche tardive giunte dall’attuale opposizione sono state ignorate. Non si può dimenticare del resto, proprio alla luce di quanto sta facendo l’attuale governo italiano, un autentico massacro preordinato di esseri umani, che la collaborazione con la Tunisia e la Libia, con la esternalizzazione dei controlli di frontiera, ed il blocco a mare delle imbarcazioni dei migranti, risale a molti anni fa, e precisamente al 1998 con Napolitano come ministro dell’interno, autore dei primi accordi di riammissione con la Tunisia, e poi dal 2003 in poi con Prodi, presidente della commissione Europea e quindi capo del governo italiano nel 2006, sempre con l’appoggio di Napolitano, allora sostenitore degli accordi con la Libia, come documentato da un articolo del Corriere della sera del 19 settembre 2004, pochi mesi dopo il caso Cap Anamur, e appena qualche giorno prima dei respingimenti collettivi da Lampedusa verso la Libia, poi condannati dal Parlamento Europeo. Il governo Prodi non era riuscito neppure ad abrogare quell’infame decreto ministeriale del 14 luglio del 2003 che, in attuazione delle modifiche introdotte nel 2002 con la legge Bossi-Fini, prevedeva il “respingimento” delle imbarcazioni cariche di migranti “ verso i porti di provenienza”, una legalizzazione dei respingimenti collettivi vietati da tutte le convenzioni internazionali, oltre che una violazione palese dell’art. 10 della Costituzione italiana. Ed il Trattato di amicizia con la Libia è stato approvato nel febbraio del 2009 con il voto di quasi tutta l’attuale opposizione.
2. Il 6 agosto scorso autorevoli esponenti del Consiglio di Europa hanno giudicato “assolutamente inammissibili” e “vergognose” le espulsioni disposte dal Ministro dell’interno a carico di tunisini sospettati di appartenere ad organizzazioni terroristiche, per i quali la Corte Europea dei diritti dell’Uomo aveva richiesto ripetutamente la sospensione della misura, a fronte della certezza delle torture alle quali sarebbero state sottoposte queste persone una volta consegnate dalla polizia italiana alla polizia tunisina.
Le dichiarazioni di Maroni, secondo il quale il governo italiano “rispetta” le decisioni della Corte, ma non gli ordini di sospensione delle espulsioni inviati ai sensi dell’art. 39 del Regolamento di procedura, che secondo il ministro sarebbero “foglietti inviati via fax”, da qualche “funzionario”, costituiscono uno sfregio gravissimo allo strumento procedurale più importante di cui si avvale la Corte quando ravvisa il pericolo che le persone espulse o respinte possano essere sottoposte a “trattamenti inumani o degradanti” vietati dall’art. 3 della Convenzione.
Senza quei “foglietti” inviati “via fax” dalla Corte Europea, centinaia di persone, giovani, anche donne e potenziali richiedenti asilo, sarebbero oggi nelle mani dei loro torturatori. Quei torturatori verso quali il nostro governo non esita a respingere i migranti potenziali richiedenti asilo respinti nelle acque del Canale di Sicilia o alle frontiere portuali dell’Adriatico, come coloro che vengono sospettati di costituire un pericolo sociale, anche dopo la espiazione della pena. Ma per gli immigrati l’art. 27 della Costituzione secondo il quale “ le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato“ ormai è stato strappato, anzi non vale più neppure per gli italiani, se si considerano le condizioni disumane ( anche secondo una recente sentenza della Corte Europea) e di sovraffollamento nelle quali versano le carceri del nostro paese dopo la proliferazione del sistema repressivo penale, unico strumento che il governo utilizza per affrontare il disagio sociale e la devianza.
L’Italia non potrà continuare a lungo a violare la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo ed i suoi strumenti procedurali che garantiscono il rispetto effettivo dei suoi precetti. Herta Dُubler-Gmelin e Christos Pourgourides , rispettivamente, presidente della “ Commission des questions juridiques et des droits de l’homme” dell’ Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, e relatore sulle applicazioni delle decisioni poste in essere dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, hanno richiamato la giurisprudenza consolidata della CEDU secondo la quale il rischio di torture impone la sospensione delle misure di allontanamento forzato anche in caso di persone condannate, o soltanto sospettate, di appartenere ad organizzazioni terroristiche.
Gli alti esponenti del Consiglio d’Europa hanno condannato il comportamento del governo italiano che continua a violare deliberatamente le richieste di sospensione delle espulsioni emesse dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, aggiungendo che è la quarta volta che “ a partire dal 2005 le autorità italiane adottano decisioni che violano in maniera flagrante le decisioni della CEDU" (AFP).
Ma quello che è più grave, e che non si era mai verificato in precedenza, è che oggi viene messa in discussione dal governo italiano, oltre alla giurisdizione della CEDU, anche la stessa possibilità effettiva di presentare un ricorso individuale alla Corte di Strasburgo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, seconda Sezione, il 18 novembre 2008, ai sensi dell’articolo 39 CEDU ha ravvisato la possibile violazione dell’art. 34 CEDU intimando allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie). Nella motivazione del provvedimento di sospensiva la Corte faceva riferimento ad una sua precedente decisione nel caso Mamatkulov et Askarov c. Turquie (n 46827/99 et 46951/99) paragrafi 128 e 129 e dispositivo numero 5, nella quale si sanzionava il mancato rispetto del diritto ad un ricorso individuale ai sensi dell’art. 34 del Regolamento di procedura della stessa Corte. Lo stesso diritto di ricorso effettivo viene negato ai migranti bloccati nelle acque del canale di Sicilia e riconsegnati alle motovedette libiche, esattamente come ai migranti afghani ed irakeni respinti “senza formalità” dalle frontiere portuali dell’Adriatico verso la Grecia.
3. Alla vergogna, conseguenza delle scelte disumane del governo in materia di immigrazione ed asilo, del resto, si aggiunge il ridicolo, ed allora è meglio informare gli italiani sul traffico da “bollino nero”, o sulle vincite strabilianti delle lotterie di stato. O distrarli con fantomatici arresti di terroristi o di miseri clandestini, “vittime” del reato di clandestinità.
Si, perché non si può non definire ridicola la pantomima imbastita da Berlusconi e da Frattini per fare digerire agli italiani la amara pillola delle prime conseguenze economiche del “Trattato di Amicizia” tra Italia e Libia firmato appena un anno fa. Mentre il pacchetto sicurezza che già a pochi giorni dalla sua approvazione e contestuale correzione ( in violazione di tutte le regole costituzionali) si sta dimostrando inapplicabile e fonte di costi economici ed umani ancora incalcolabili. Altro che sicurezza, dalle ronde al prolungamento della detenzione amministrativa nei CIE, si stanno creando le premesse per conflitti violenti senza nessuna possibilità di mediazione e di integrazione.
Mentre le commesse delle grandi imprese in Libia ( Finmeccanica in testa) stanno arricchendo i soliti noti, nessuno racconta la incombente crisi della pesca nel Canale di Sicilia, dove i libici “forti” delle sei motovedette regalate loro dal governo italiano, si sono appropriati del controllo della fascia di acque internazionali che giunge a circa 30-40 miglia a sud di Lampedusa, esattamente la zona di mare sulla quale operano i pescherecci italiani.
In quelle stesse acque, l’arretramento delle posizioni della Marina militare italiana, prima dislocata più a sud, anche in funzione di salvataggio dei barconi carichi di migranti, e il maggiore ambito di azione nelle acque internazionali, riconosciuto alle motovedette a bandiera libica ( ma a bordo non dovevano esserci anche militari italiani?) stanno tagliando le possibilità di pesca e dunque di sopravvivenza dell’intera marineria di Mazara del Vallo, alla quale partecipano, tra gli altri, numerosi lavoratori tunisini. I militari libici si sono permessi una facile ironia, ricordando agli ultimi pescatori mazaresi vittima di un sequestro, bloccati anche durante il viaggio di ritorno in Italia, che i mezzi che condurranno in futuro nei porti libici le unità da pesca italiane che dovessero essere sorprese a più di 73 miglia a nord del confine libico, saranno proprio le motovedette fornite dall’Italia alla Libia per contrastare l’immigrazione clandestina.
4. Nelle concrete modalità di esecuzione delle misure di “riammissione” in Libia ( e, con modalità diverse, in Grecia) si riscontra infine una violazione del divieto di espulsioni collettive (nelle quali vanno ricompresi anche i casi di respingimento collettivo) sancito dall’art. 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Lo stesso divieto è ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Certo, si tratta di casi nei quali non è facile fornire prove documentali, e appunto per questo i respingimenti vengono effettuati “senza formalità”, e in ogni caso non è agevole trovare nei paesi di transito come la Libia o la Tunisia avvocati indipendenti, in modo da far sottoscrivere una procura per una denuncia o per un ricorso. Per questo sollecitiamo la responsabilità di tutte le agenzie internazionali preposte alla prevenzione, oltre che alla sanzione, delle violazioni dei diritti fondamentali della persona, che operano nei paesi di transito.
I governi potranno ancora continuare ad ignorare le decisioni degli organismi internazionali, ma prima o poi dovranno rendere conto delle conseguenze politiche e umane delle loro politiche di respingimento e di guerra agli immigrati. Sarà forse facile per gli stati fare scomparire i corpi, con i respingimenti sommari e le deportazioni di massa, ma se di questi abusi rimarranno come traccia denunce e testimonianze circostanziate, prima o poi i responsabili della (in)sicurezza nazionale potranno essere chiamati sul banco degli imputati.
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo