Lavorava al benzinaio. Al benzinaio davanti allo stadio comunale, prima del ponte sul Leccio, quello dove ai tempi del liceo facevo miscela al Grillo quando andavo a lavorare al consorzio agrario a Porcari. Era in Italia dal 2005, sbarcato in Sicilia. Ma in Europa c'era già stato nel 2002, per un anno, in Francia, per un corso di formazione professionale in informatica, dopo le scuole superiori, entrando con un visto regolare per motivi di studi. Parliamo in italiano e in francese. L'hanno fermato il 16 giugno alla stazione di Porcari. Una volante della polizia era intervenuta per bloccare un balordo ubriaco. Ma è finita che si sono portati via pure lui, che stava lì a guardare, in attesa del treno delle 22:12 per Lucca. Dalla questura l'hanno spedito in Calabria, al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Lamezia Terme. Doveva uscire il 16 agosto. Ma una settimana prima, l'8 agosto, è entrato in vigore il pacchetto sicurezza che ha prolungato da due a sei mesi il limite del trattenimento nei Cie. Quando il 14 agoto è scoppiata la rivolta, con un incendio appiccato nelle sezioni del Cie calabrese, lui si è tagliato le braccia con una lametta di rasoio dopo aver bevuto un bicchiere di bagnoschiuma. Ma l'unico risultato che ha ottenuto è stato un trasferimento. Da Lamezia a Torino.
E a Torino ha festeggiato il suo venticinquesimo compleanno. Lo scorso 19 settembre. E li ha festeggiati con un’anestesia locale al pronto soccorso, dove gli hanno levato i due denti rotti dai pugni in faccia. A colpirlo è stato un militare italiano. Uno di quelli che vigilano il Cie di Corso Brunelleschi. Con un futile pretesto, la sera del 13 settembre. Da quel giorno questo ragazzo ha paura. Tanta paura che si imbottisce ogni mattina con 30 gocce di Minias e ogni sera con 60 di Valium. Ma gli psicofarmaci non gli restituiranno la libertà che questo paese gli ha tolto. Né diminuiranno l’onta dell'espulsione, di un ritorno da perdente in Marocco, dalla madre e dai fratelli più piccoli. Basaglia li chiamava "crimini di pace".
Voi chiamateli come vi pare, ma aprite gli occhi, raccontate queste storie. E magari accorrete numerosi alla manifestazione contro il razzismo del 17 ottobre a Roma. Non tanto per i nostri o per i loro diritti. Fatelo per questo nostro Paese, che sempre più stentiamo a riconoscere. Perché il suo imbrutimento non sia irreversibile.
ITALIANI NEI CIE Fuori hanno moglie e figli. L'Italia li rimpatria