ROMA, 15 ottobre 2007 – Dura lettera di Amnesty International all’Unione europea. La cooperazione con la Libia per il contrasto dell’immigrazione clandestina via mare non può crescere senza reali garanzie sul rispetto dei diritti umani dei migranti che saranno respinti. Critiche che arrivano in un momento cruciale: i ministri stanno infatti per conferire alla Commissione europea il mandato per intensificare le relazioni con la Libia, e in particolare per installare un sistema elettronico di sorveglianza per la frontiera meridionale del Paese, da cui ogni anno migliaia di persone entrano irregolarmente nel Paese, talvolta proseguendo il viaggio verso l’Italia una volta raggiunta Tripoli. La Sezione Italiana di Amnesty International ha fatto pervenire copia della lettera alla Farnesina e a Palazzo Chigi. L’Italia infatti è il Paese che più sta spingendo, assieme a Malta per una più stretta collaborazione con la Libia. Una collaborazione nata sotto il precedente governo.
Nel 2003 il primo governo Berlusconi siglò un accordo segreto con Qaddafi. Roma spedì oltre mare 100 gommoni, 6 fuoristrada, 3 pullman, 40 visori notturni, 50 macchine fotografiche subacquee, 500 mute da sub, 150 binocoli, 12 mila coperte di lana, 6 mila materassi e cuscini, 50 navigatori satellitari, 1.000 tende da campo e 500 giubbotti di salvataggio. Ma anche 1.000 sacchi per cadaveri. Tra il 2004 e il 2005 l’Italia finanziò la costruzione di un centro di formazione per la polizia libica a Sebha e di un centro sanitario a Kufrah, all’interno del campo di detenzione per migranti balzato agli onori della cronaca grazie alle gravi denunce di torture, violenze sessuali e pestaggi commessi dalla polizia ai migranti (soprattutto eritrei, etiopi, somali e sudanesi) detenuti per mesi senza processo prima di essere riaccompagnati alla frontiera col Sudan, in pieno deserto. Erano gli stessi anni in cui l’Italia militarizzava Lampedusa e organizzava un ponte aereo con Tripoli deportando in Libia almeno 1.500 migranti intercettati in mare tra l’ottobre 2004 e il marzo 2005, finanziando nel frattempo (tra il 2003 e il 2004) l’espulsione di 5.524 migranti dalla Libia verso Egitto, Ghana, Nigeria, ma anche Sudan (55 persone) ed Eritrea (109) in piena violazione del diritto d’asilo. Alle deportazioni collettive da Lampedusa mise fine soltanto una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del maggio 2005.
Già a luglio 2007, Amnesty International aveva fatto notare come il Memorandum d’intesa tra Ue e Libia, siglato all’indomani del rilascio delle infermiere bulgare, non contenesse alcun riferimento ai principi internazionali in materia di diritti umani. “L’Ue deve resistere alla tentazione di abbassare i propri standard” – ha dichiarato Dick Oosting, direttore dell’ufficio di Amnesty International presso l’Ue. Peccato che l’Ue sembri andare nella direzione opposta. Già lo scorso 22 settembre a Firenze, parlando dei pattugliamenti del Canale di Sicilia, il commissario europeo Franco Frattini dichiarò a Redattore Sociale: “l’obiettivo è bloccare tutto nelle acque libiche, intorno ai porti della partenza”, riferendosi alla volontà di riportare nei porti libici i migranti intercettati sulle rotte per Lampedusa a partire dal 2008, con il sempre più vicino consenso di Tripoli. Oggi un migrante respinto in Libia va incontro alla detenzione arbitraria, per mesi, in condizioni degradanti, e al rimpatrio forzato anche se richiedente asilo. In Libia non è riconosciuto l’asilo politico, eppure il 60% dei richiedenti asilo in Italia arrivano proprio a bordo delle barche partite dalla Libia. A Misratah, 200 km ad est di Tripoli, sono detenuti da un anno e sei mesi più di 600 eritrei, arrestati in buona parte dalla guardia costiera libica in mare. Due donne hanno già partorito in carcere. E altre tre si apprestano a farlo molto presto. A loro si aggiungeranno in giornata i 51 naufraghi sub-sahariani soccorsi ieri in acque internazionali dal peschereccio spagnolo “Corisco”, 80 miglia a nord delle coste libiche, e riportati questa mattina in Libia, senza che potessero chiedere asilo politico. Presto saranno espulsi e nessuno sa cosa sarà degli eritrei una volta consegnati all’esercito che hanno disertato fuggendo da un paese in guerra con l’Etiopia. Quel che è certo è che nel 2005, dice Amnesty International, 161 disertori eritrei vennero fucilati nel 2005. Il che non lascia presagire nulla di buono.
In Libia, solo a giugno 2007, sono stati arrestati oltre 1.500 candidati all’emigrazione clandestina, e a maggio erano stati 2.137. Amnesty parla di “clamorose” e “perduranti” violazioni dei diritti umani, e chiede quindi ai ministri degli Affari esteri di garantire che ogni futuro accordo con la Libia faccia esplicito riferimento alle garanzie sul rispetto dei diritti umani.
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