02 March 2008

Febbraio 2008

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ROMA – Sono 36 i migranti e rifugiati morti lungo le frontiere europee nel mese di febbraio: 24 vittime al largo delle coste marocchine, due in Spagna, uno a Ceuta e sei in Algeria lungo le rotte per la Sardegna. In Egitto si torna a sparare: tre richiedenti asilo ammazzati dalla polizia di frontiera sul Sinai. La Libia firma un accordo con Malta, dopo quello con l’Italia, e apre al negoziato con l’Ue per un accordo quadro, mentre è allarme per i 200 rifugiati eritrei rimpatriati da Kufrah. In Algeria finiscono in manette un prete francese e un medico algerino mentre assistevano dei migranti nelle baracche di Maghnia. Intanto dalla Francia parte il primo rimpatrio collettivo verso il Pakistan e Bruxelles dà il via libera all’entrata in vigore dell’accordo di riammissione tra Ue ed Ucraina.

I faraoni. L’hanno ammazzata alle spalle. Non aveva più di trent’anni. Stava tentando con un gruppo di dieci eritrei di scavalcare la barriera di filo spinato lungo la frontiera con Israele. Ma la polizia egiziana ha sparato. La donna è morta sul colpo. Altre tre persone sono state ferite. I cinque bambini si sono salvati. Era il 25 febbraio 2008. È la sesta vittima dall’inizio dell’anno, dopo i tre morti dell’estate scorsa. Cambiano le rotte. E cambiano i carnefici. Ma le vittime sono sempre le stesse. Sudanesi, eritrei, ivoriani. Ormai quella del Sinai è una frontiera bollente. Dati ufficiali del governo israeliano parlano di 7.500 migranti transitati irregolarmente dal confine egiziano nel 2007. Più di mille solo nelle scorse settimane. La maggior parte sono eritrei, ma anche sudanesi dal Darfur e ivoriani. Detenuti da mesi nei campi di detenzione del sud del Paese, ormai sovraffollati, adesso rischiano tutti l’espulsione. Tel Aviv ha infatti recentemente deciso di deportare il maggior numero di persone in Egitto, lo stesso paese, dove il 30 dicembre 2005, ben 4.000 agenti in tenuta antisommossa assaltarono 3.500 sudanesi disarmati che da tre mesi erano accampati in segno di protesta nel parco “Mustafa Mahmoud” del quartiere residenziale di Mohandessin, al Cairo, a poche centinaia di metri dagli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Fu una strage. In mezzo ai 25 cadaveri contati a fine giornata, venne trovato anche quello di una bambina di 4 anni.

Amara Asmara. Per gli eritrei non va meglio in Libia. A Misratah continua, da ormai due anni, il calvario dei 600 esuli detenuti e in attesa di espulsione. Mentre da Kufrah, nel sud della Libia, 200 eritrei sono stati rimpatriati a metà febbraio verso l’Eritrea. Della notizia, non confermata, sono sicuri gli eritrei romani. Sette famiglie hanno confermato il rimpatrio dei figli, che sarebbero finiti in galera, nella località di Wea, vicino ad Assab. Un cittadino eritreo impiegato all’aeroporto di Asmara avrebbe confermato la notizia. Che sarà di loro? Le testimonianze dei deportati del video “Eritrea – Voice of Tortures” non lasciano dubbi. Per loro sarà la tortura nel migliore dei casi; la morte nel peggiore. E viene da chiedersi chi abbia pagato quel volo. Strano che la Libia abituata ad abbandonare i migranti in mezzo al deserto investa tanto denaro per un volo diretto per Asmara. Ha pagato l’Italia? La domanda è legittima, visto che nel 2004 l’Italia pagò il rimpatrio di 109 eritrei dalla Libia. Ma per il momento rimarrà senza risposta. Di sicuro l’Italia ha stanziato 6.243.000 euro alla Guardia di Finanza per il pattugliamento congiunto in Libia. L’accordo bilaterale del 29 dicembre 2007 è stato ratificato dal governo libico il 19 febbraio e a breve sarà operativo. Il 27 gennaio la Libia ha firmato un accordo di cooperazione per il soccorso in mare con Malta. E da Bruxelles l’Unione europea ha aperto il negoziato per un accordo quadro con Tripoli. Notizie che non devono essere sfuggite ai dallala (gli organizzatori delle traversate), dato che a febbraio si è registrato un record nel numero di arrivi sulle coste siciliane: 1.855 contro i 355 del febbraio 2007. Tutti vogliono fare presto. I dallala perché se i pattugliamenti funzioneranno rischiano di perdere un sacco di soldi. E i richiedenti asilo perché se i pattugliamenti funzioneranno rischiano di perdere la vita.

Sequestro di persona. Chiedevano tempi più celeri per il riconoscimento dell’asilo politico, adesso saranno processati per direttissima con l’accusa di sequestro di persona. Succede anche questo in Sicilia, nel centro di identificazione di Cassibile. I fatti risalgono al 23 gennaio. Intorno alle dieci del mattino un gruppo di 110 eritrei occupa per protesta il cortile antistante il cancello dell’ingresso, impedendo di fatto l’uscita di un infermiere e due operatori sociali dell’ente gestore Alma Mater. Fanno parte di due gruppi. Il primo sbarcato il 30 ottobre a Portopalo, l’altro arrivato ad Agrigento il 23 Novembre del 2007. Dopo tre mesi di trattenimento, le prime convocazioni sono iniziate soltanto il 21 gennaio. Dopo la prima udienza, il processo è stato aggiornato al 23 maggio. L’accusa propone il patteggiamento a una condanna di 2 mesi e 20 giorni con la condizionale. Se la manifestazione, durata soltanto due ore, era pacifica e legittima poco importa. In Italia gli stranieri non hanno diritto di parola. E non solo in Italia, a giudicare dalle proteste che da mesi animano alcuni campi di detenzione francesi a Vincennes, vicino Parigi: scioperi della fame e insubordinazioni puniti con pestaggi e espulsioni. Un’associazione è in contatto telefonico con i detenuti. Sul sito di Migreurop-Pajol potete leggere gli aggiornamenti.

Amen. Un anno di carcere con la condizionale. Pierre Wallez non avrebbe mai immaginato che una preghiera potesse costargli tanto cara. Ma succede anche questo in Algeria. Per una volta però il terrorismo islamico non c’entra. La colpa è dei camarades, come gli algerini chiamano i neri che attraversano senza documenti il Paese alla volta del Marocco per poi imbarcarsi per la Spagna. Il 26 dicembre scorso, il prete francese, cattolico, aveva celebrato una preghiera di Natale tra i fedeli di una baraccopoli alle porte di Maghnia, una città algerina a pochi chilometri dalla frontiera marocchina. Ci vivono centinaia di migranti sub-sahariani in transito verso il Marocco, diretti a Ceuta e Melilla. E ci trovano rifugio i migranti che le forze armate marocchine deportano ogni giorno dall’altro lato della frontiera, anche nelle ultime settimane, abbandonandoli a se stessi in una terra di nessuno. Wallez non era uno sconosciuto nel campo. Visitava i baraccati da otto anni, cercando di dare loro un aiuto. Quella del 26 dicembre è rimasta la sua ultima visita. Il 9 gennaio è stato arrestato. Il tribunale di Oran, lo ha condannato “per celebrazione di un culto in un luogo non riconosciuto dal governo”, un reato introdotto da un’ordinanza presidenziale sulla regolamentazione dei culti non musulmani risalente al 28 febbraio 2006. Un anno di carcere con la condizionale e una multa di 200.000 dinari algerini, l’equivalente di circa 2.000 euro. Un’acrobazia giuridica per condannare la solidarietà. Lo prova il fatto che ad essere stato condannato non è stato soltanto il prete. Con lui quel giorno c’era un medico algerino. Anche lui è finito sotto processo. I giudici gli hanno inflitto due anni di carcere e la stessa multa di Wallez con l’accusa di aver sottratto dei farmaci dal centro sanitario di Maghnia con i quali aveva curato i malati delle baracche

C’era una volta Dublino. La Norvegia ha sospeso la Convenzione di Dublino II con la Grecia. Tutti gli ordini di riammissione di richiedenti asilo verso la Grecia sono congelati. La Grecia è accusata di violare i diritti dei rifugiati. Il regolamento Dublino II stabilisce che lo Stato membro responsabile della richiesta d’asilo politico di un cittadino di un paese terzo, è il primo Stato dove il cittadino ha fatto ingresso nell’Ue. Il regolamento è in vigore dal settembre 2003, sostituisce la convenzione di Dublino del 1990 ed è applicato in tutti i paesi dell’Ue, in Norvegia e Islanda, con tempi di attesa che possono arrivare fino a 18 mesi. Tuttavia, ignari del regolamento, molti richiedenti asilo attraversano nella clandestinità tutta l’Europa dopo essere passati dalla Grecia, per raggiungere familiari in altri Stati o per godere del migliore welfare dei paesi scandinavi. Il rapporto Pro Asyl dell’ottobre 2007 denuncia sistematici respingimenti collettivi alle frontiere con la Turchia e episodi di abusi e torture nei campi di detenzione sulle isole greche dell’Egeo. Accuse confermate da un’inchiesta della sezione turca di Amnesty International: 13 richiedenti asilo afgani, otto dei quali minorenni, accusano la Guardia costiera greca di essere stati respinti in Turchia al largo dell’isola di Mytilene il 7 gennaio 2008. I due ragazzi più piccoli, di 9 e 13 anni, hanno dichiarato di essere stati costretti a togliersi i vestiti e lasciati in mutande. Telefonini e soldi sono stati sequestrati. Le poche borse sono state aperte con dei coltelli per ispezionarne il contenuto. E i rifugiati sono stati costretti a ritornare verso le coste turche a rischio della propria vita, dato che i due gommoni su cui viaggiavano erano stati forati dagli agenti della Guardia costiera greca.

Caos a Patrasso. In tutto questo, mentre la Norvegia indaga, l’Italia continua a respingere rifugiati in Grecia. Soltanto dal porto di Ancona a febbraio i respinti sono stati almeno 92 secondo le nostre informazioni. Li rimandano a Patrasso. E a Patrasso intanto continuano arresti e deportazioni. Dopo il blitz di gennaio, la polizia ha sospeso la distruzione del campo dove vivono almeno 700 rifugiati, tra afgani e kurdi, dopo la manifestazione del 30 gennaio, che ha visto la partecipazione di 4.000 persone. Ma gli arresti continuano, sebbene in modo meno eclatante. Secondo i rapporti delle associazioni greche, una cinquantina di persone al giorno sono arrestate per strada e nei dintorni del porto e inviate ad Atene. Nella capitale, dopo alcuni giorni di detenzione, sono rilasciati con un ordine di espulsione. Secondo altre fonti invece molti rifugiati sarebbero stati trasportati nei centri di detenzione alla frontiera nord orientale con la Turchia, in particolare a Filakio e Venna, in attesa di essere espulsi in Turchia. “Un mondo a Colori” è andato a Patrasso, vi consigliamo il video.

Europa - Pakistan solo ritorno. È partito il 13 febbraio da Parigi il primo volo charter comunitario di espulsi pakistani detenuti in diversi Paesi europei. Un unico volo per tutti. In nome dell’efficienza e del risparmio. Con scali in Inghilterra, Olanda, Spagna e Slovenia. La notizia è stata diffusa dall’associazione francese Cimade. L’aereo è partito dalla Francia con 27 cittadini pakistani e 75 poliziotti. E si è riempito negli altri Paesi. “Una espulsione collettiva”, denuncia la Cimade, contraria all’articolo 4 del Quarto protocollo della Convenzione europea sui diritti umani. A maggior ragione vista la situazione politica del Pakistan. “Andate a domandare alle vittime degli attentati della campagna elettorale se il Pakistan è un Paese sicuro! – ha dichiarato il presidente della Ligue des droits de l'Homme (Ldh), Jean-Pierre Dubois – Chi ha firmato gli atti di espulsioni non ci spedirebbe certo i propri bambini”. Dubois dice tutto: “Ci sono due standard di protezione e di diritto alla vita: uno per gli europei e un altro per gli indesiderabili”. Non c’è molto altro da aggiungere. L’ipocrisia si commenta da sola. Che dire dei 53,4 milioni di euro con cui l’Ue sosterrà il contrasto all’immigrazione clandestina in Turchia, quando la Turchia i suoi clandestini li bombarda! E già perché ad attraversare le montagne del Kurdistan turco, oggi teatro della guerra dell’esercito turco contro il Pkk, sono i profughi kurdi in fuga dall’Iraq, gli esuli afgani e iraniani. Fossero bianchi li chiamerebbero rifugiati.

Il mare di mezzo. Lungo le frontiere i rifugiati non ci sono. E se ci sono, da Bruxelles non si vedono. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 29 gennaio 2008. Pagina 24: “L’accordo di riammissione tra l’Unione europea e l’Ucraina è entrato in vigore”. L’Ucraina non è un paese sicuro. Lo dice il duro rapporto di Human Rights Watch “On the Margins” e lo ribadisce il rapporto Ecre. L’allarme è per i rimpatri dei rifugiati ceceni, uzbeki e pakistani. Ma da Bruxelles non si vedono rifugiati. Con la distanza della burocrazia diventano tutti clandestini. In una comunicazione della Commissione europea del 13 febbraio 2008 sulla “valutazione e il futuro sviluppo dell’agenzia Frontex”, la parola rifugiato non compare nemmeno una volta in 12 pagine. Il che è tutto un dire. La comunicazione informa che “Frontex ha concluso accordi di lavoro volti a stabilire una cooperazione a livello tecnico con le polizie di frontiera in Russia, Ucraina e Svizzera. Le negoziazioni sono a buon punto anche con la Croazia. E il Consiglio di amministrazione ha dato mandato di negoziare ulteriori accordi con la Macedonia, Turchia, Egitto, Libia, Marocco, Mauritania, Senegal, Capo Verde, Moldavia e Georgia”. Lungo le frontiere i rifugiati non ci sono e non ci sono nemmeno i minori. Almeno a giudicare dalle continue deportazioni di minorenni da Ceuta verso il Marocco, per le quali l'ex governatore è finito sotto processo. Lungo le frontiere non ci sono in generale soggetti deboli, ma soltanto orde di barbari. Così il Mediterraneo, il “mare di mezzo” da un mare che univa diventa sempre più un mare che divide, da via di comunicazione a barriera difensiva, con il rischio di far saltare il processo di Barcellona per il partenariato euromediterraneo. Dopotutto l’unica cooperazione euromediterranea che i governi riescono ad immaginare oggi è quella per il contrasto all’immigrazione anziché quella per lo sviluppo economico dell’intera area.