Sul sito della Corte europea dei diritti umani si può rivedere l'udienza finale del processo contro l'Italia per i respingimenti in Libia del 2009. Per farlo basta cliccare sull'immagine qua sopra. Il video è in francese e in inglese. Lo consiglio a tutti. Non soltanto per assistere alla penosa figura della difesa del governo italiano, affidata a due avvocati che oltre ad avere pochi argomenti se non la solita teoria del processo politico, a malapena riescono ad esprimersi in francese. Ma anche e soprattutto per la solennità che ha questo momento per tutti quelli come noi che da anni gridano contro i respingimenti.
Perché gli argomenti sollevati di fronte alla più alta istituzione del diritto europeo dagli avvocati dei 24 respinti, Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, e confermati dall'intervento di Madeline Garlick per conto dell'Alto commissariato dei rifugiati delle Nazioni Unite, sono gli stessi che argomenti che ripetiamo da cinque anni su Fortress Europe, la cui voce è stata la prima a levarsi nel silenzio dell'autocensura della stampa italiana per denunciare, fin dal 2006, le gravissime condizioni a cui erano sottoposte le persone che attraversavano la Libia sulla rotta per l'Italia. Da quei primi racconti sono nati i lavori di tanti altri bravi giornalisti e lo straordinario documentario "Come un uomo sulla terra", una copia del quale è stata presentata anche alla Corte europea come prova del fatto che tutti sapessero quanto grave fosse la situazione in Libia quando l'Italia di Prodi firmò il patto per i respingimenti e quella di Berlusconi lo attuò.
In attesa della sentenza, che verosimilmente non sarà nota prima dell'autunno, viene da dire grazie agli avvocati e ai tanti attori che dietro le quinte hanno reso possibile il ricorso, da chi ha raccolto le procure nelle carceri libiche, a chi ha reso possibile mantenere i contatti con i ricorrenti durante questi due anni e a chi in queste ultime settimane ha reso possibile rintracciare alcuni di loro nonostante la guerra a Tripoli. Adesso c'è soltanto da sperare che i 24 ottengano giustizia. E che con loro la ottengano tutti i respinti che non hanno potuto presentare un ricorso. Anche se a volte la giustizia serve a poco, come per i due dei 24 ricorrenti, che sono morti annegati durante il secondo tentativo di attraversare il mare per raggiungere l'Italia dopo essere stati respinti.
Tuttavia la partita è ancora aperta. Sul banco degli imputati infatti non c'è soltanto la vicenda dei 24 respinti, ma il fondamento stesso delle politiche di respingimento che l'Unione europea si è data negli ultimi anni. Nonostante la difesa del governo italiano sia apparsa a tratti ridicola infatti, ha comunque i suoi argomenti. Che sono soprattutto politici. Ovvero che non è l'Italia sola, ma tutta l'Unione europea ad aver fatto pressione in questi anni affinché si cooperasse con i paesi limitrofi per lottare contro l'emigrazione. Insomma, non è un'invenzione della difesa del governo italiano che mentre Roma faceva i respingimenti, Bruxelles negoziava un accordo quadro con Gheddafi, pochi mesi prima di decidere che il colonnello doveva essere bombardato perché rappresentava una minaccia per i suoi stessi concittadini. Come dire che una condanna all'Italia sarebbe una condanna alle politiche europee degli ultimi anni in materia di frontiera. Troverà la Corte il coraggio di esporsi così tanto?