LAMPEDUSA - Il volo della Meridiana per Palermo è decollato puntuale alle 12,30. Tra i passeggeri di oggi c'è anche Fouad Ben Maguer. È uno dei tunisini arrivati sull'isola in questi giorni. Ma a differenza di tutti gli altri, è venuto da Parigi. A spingerlo fin quaggiù è stata la tenue speranza che il fratello si fosse salvato. Ma è bastato sfogliare i registri della Guardia di Finanza, per capire che del naufragio dell'11 febbraio gli italiani non ne sanno niente. Suo fratello Walid è dunque ufficialmente disperso nelle acque del Canale di Sicilia. Insieme a lui mancano all'appello le vite di altri 29 ragazzi. A ucciderli non sono state le condizioni del mare o l'imprudenza, ma la corvetta Liberté 302 della marina militare tunisina, che quel giorno ha speronato e affondato il peschereccio diretto a Lampedusa. Si sono salvati in 85. E i loro profili su facebook sono diventati una piccola Spoon River virtuale degli harraga morti nell'incidente.
Jalel Ben Mchichi ad esempio ha pubblicato sul suo profilo le foto del fratello di Fouad e di un'altra vittima - Ahmed Ben Taziri – incollati su uno sfondo del mare, con in mezzo una scritta in francese: “que dieux vous protège”, che dio vi protegga. Anoir Ben Taziri invece ha pubblicato nel suo album le foto del fratello Ahmed, anche lui annegato. Mentre Noussa Jerbya ha creato il gruppo "Ensemble pour pour Anis Ben Jamaa et Ahmed Ben Taziri", due delle vittime, su cui ha condiviso anche le immagini della manifestazione delle famiglie delle vittime a Seduikesh. E poi ci sono le pagine dei superstiti, ad esempio Wissen Ben Yahyaten, dal cui profilo si può scaricare il video dell'inchiesta sul naufragio girata dalla Cnn.
Undici dei 120 passeggeri del peschereccio affondato erano originari di Djerba, la città simbolo del turismo italiano in Tunisia ai tempi della dittatura. Cinque di loro sono morti. Di Lassed Ragdel, Anis Ben Jamaa e Walid Bayaya hanno ripescato i cadaveri. Mentre i dispersi sono due: il fratello di Fouad e il suo amico Ahmed, finiti per sempre in fondo al Mediterraneo. Walid aveva 29 anni e Ahmed 25. Erano amici di vecchia data. E avevano deciso di partire improvvisamente.
Fouad non sapeva niente dei progetti del fratello. Nè immaginava lontanamente che sarebbe mai potuto partire. Ormai lui diceva di non pensare più alla Francia. Anche se a Parigi oltre a Fouad aveva altri due fratelli e il padre, tutti e tre con tanto di cittadinanza francese. Dopo l'ultimo diniego dell'ambasciata francese aveva rinunciato a raggiungerli. E poi a Djerba non gli andava affatto male. Aveva una paninoteca vicino alle scuole, gli affari andavano bene e poi c'era il matrimonio fissato per il mese di giugno, a cui stavano già lavorando per i preparativi. Ma poi hanno cominciato a partire tutti e lui non ha voluto essere da meno. È successo la mattina del 10 febbraio. Dicono che abbia deciso al bar, mentre beveva un caffé con Ahmed e altri amici. Poche ore dopo era sul peschereccio e telefonava al fratello a Parigi scherzando sull'improvvisa partenza. Quella è stata l'ultima volta che Fouad ha sentito la sua voce.
Walid, come Ahmed e tutti gli altri ragazzi di Djerba sono partiti per lo stesso motivo. È successo che dall'inizio della rivoluzione a metà dicembre, spaventati dalle notizie che giungevano da oltremare, i turisti hanno iniziato a disdire le prenotazioni e l'economia del turismo in Tunisia è crollata. Alberghi, resort e ristoranti sono chiusi da tre mesi e in tanti hanno pensato bene di sfidare la sorte prima che i pattugliamenti riprendessero a pieno regime.
Quello di Walid non è un caso isolato. Jafar per esempio lavorava alla reception del Blu Club di Djerba, e la prova è che parla un perfetto italiano e che a Lampedusa non dorme al centro di prima accoglienza ma a casa di un amico siciliano conosciuto quattro anni fa durante le ferie. E poi c'è Brahim che faceva il cameriere in un ristorante e Fakir che affittava gli scooter d'acqua. Ragazzi che paradossalmente con la rivoluzione hanno visto crollare le prospettive a breve termine del proprio futuro, ma che non per questo si sentono di aver tradito la rivoluzione.
In tutto, dalla sola Djerba sono arrivati a Lampedusa una settantina di ragazzi. E si conoscono tutti, per legami di parentela o di amicizia. Ed è lo stesso per tutte le altre città. Ci sono gruppi di Sfax, di Zarzis, di Medenine, di Gabes, di Tataouine, di Mahres. E accadono cose mai viste prima sull'isola, come quando domenica sera al molo Favarolo, in mezzo ai fotografi e ai giornalisti, si sono presentati tre ragazzi del centro di accoglienza che aspettavano lo sbarco dei parenti sulla barca partita da Mahres. Senza parlare dello strano caso di Zarat, un paesino di 5.000 anime a 60 km da Gabes, da cui sono arrivati nei giorni scorsi più di 200 ragazzi!
Mohamed è uno di loro. Ha 23 anni e di lavoro faceva il meccanico, ruolo che ha ricoperto anche a bordo della barca, visto che il motore è caduto in panne due volte. Il loro equipaggio era formato di 30 persone, tutti amici e parenti, che avevano diviso le spese per la barca, il carburante e il gps, offrendo poi a un pescatore un passaggio gratuito verso l'Europa in cambio della guida. Segno che a parte i pescherecci più grandi, le piccole imbarcazioni non sempre si appoggiano sulle organizzazioni dei samsara, gli intermediari, ma spesso sono pure autogestite, il che smentisce le tesi cospirazioniste di chi in questi giorni aveva parlato di un ruolo dei servizi segreti libici nella riapertura della rotta verso la Sicilia.
Ad ogni modo, Mohamed non ha viaggiato da solo. Con lui sulla barca c'erano il fratello e lo zio. Sono a Lampedusa da 11 giorni. Oggi finalmente si è comprato una carta sim, con i documenti di un amico italiano, e sempre con un prestanome si è fatto spedire 400 euro dal fratello che vive a Lione con il padre e altre due sorelle. Serviranno per pagare i biglietti a tutti e tre, lui, il fratello e lo zio, sul treno per Ventimiglia, dove li verranno a prendere in macchina i parenti. Sì perché la meta di nove su dieci è la Francia. E non è un caso.
Siamo infatti di fronte a qualcosa di nuovo. Da un lato c'è il fatto che per la prima volta a Lampedusa arrivano in quantità così numerose i giovani delle zone ricche della costa tunisina, messe in crisi dal crollo del turismo, mentre non si vedono gli abitanti delle regioni più povere del sud, dove fondamentalmente i giovani sono stati più coinvolti nella rivoluzione e sono tuttora mobilitati nelle lotte politiche per la transizione democratica. Dall'altro c'è il fatto che si tratta di comunità ben organizzate e con forti vincoli di solidarietà con le proprie diaspore in Francia.
Un dettaglio che non deve essere sfuggito a Sarkozy. Pare infatti che la polizia della regione frontaliera con l'Italia abbia diramato una circolare allertando gli agenti sul rischio di infiltrazioni di migliaia di tunisini senza documenti sul suolo francese provenienti dai centri di accoglienza dell'Italia. A denunciarlo è stato il sindacato di polizia Sgp della città di Cannes, che al governo ha mandato a dire: “Non siamo qui per compensare le carenze della politica internazionale”.