22 February 2011

Francia: caccia aperta ai tunisini di Lampedusa

Cosa fa la Francia se i quattromila tunisini arrivati a Lampedusa continuano il viaggio per Parigi? Sarkozy aveva già dichiarato la settimana scorsa di non volerli vedere in giro. Ma adesso è spuntato in rete questo documento riservato della prefettura di Cannes, vicino al confine italiano di Ventimiglia, dove di fatto viene chiesto alla polizia di "rafforzare le pattuglie... alla stazione di Cannes e dintorni" nel fine settimana del 19 e 20 febbraio, per un'operazione contro "i cittadini di nazionalità tunisina in situazione illegale"


L'unico problema è che è una circolare completamente discriminatoria contro le persone di una sola nazionalità, i tunisini per l'appunto. E infatti il sindacato di polizia francese, SGP, ha pubblicato un comunicato in cui condanna la circolare e ribadisce che non possono essere le forze di polizia a "supplire le carenze della politica internazionale".

Ad ogni modo, al di là degli aumentati controlli sulla frontiera francese, resta il fatto che in molti hanno già abbandonato i centri d'accoglienza. Lo confermano anche i funzionari delle Nazioni Unite. C'è chi è stato rilasciato dai centri di espulsione (come a Modena) con un foglio di via di 5 giorni per fare posto a altri tunisini trasferiti da Lampedusa. C'è chi ha abbandonato i centri di accoglienza per richiedenti asilo di Bari e Crotone dopo aver fatto richiesta di protezione internazionale. E c'è chi non ha fatto richiesta di protezione internazionale, e dai centri di accoglienza è stato dimesso con un foglio di via visto che non ci sono posti per il trattenimento nei centri di espulsione. Insomma c'è una grande confusione con un unico elemento in comune: una volta trasferiti da Lampedusa, in questo momento per i cittadini tunisini il rischio espulsione non esiste ed è piuttosto facile lasciare l'Italia. E infatti molti sono già arrivati in Francia. La conferma giunge dai rappresentanti di associazioni tunisine appena arrivati a Lampedusa dalla Francia e dalla Svizzera, per interessarsi alla situazione dei propri connazionali.

Intanto negli ultimi due giorni si sono registrati sei nuovi sbarchi, per un totale di circa 250 persone. Cifre molto più basse di quelle di due settimane fa. E che fanno presagire che l'esodo biblico annunciato con toni apocalittici da Maroni, non ci sarà. Perlomeno per quattro motivi.

Primo: il meteo mette mare mosso per i prossimi giorni. Secondo: l'esercito tunisino da una settimana ha ripreso a presidiare i porti. Terzo: non ci devono essere rimaste molte altre barche a disposizione per la traversata, dopo le dozzine di imbarcazioni partite nei giorni scorsi, a meno che i ragazzi non si organizzino con i gommoni. Infine, quarto: non bisogna sottovalutare il progressivo spegnersi dell'euforia collettiva. Perché alla fine è stata soprattutto una grande avventura.

E a Lampedusa c'è già chi si pente della propria scelta e comincia a informarsi su come tornare a casa. Per ora sono soltanto pochi, al massimo una decina. Ragazzi che hanno lasciato un lavoro che gli garantiva quei 100 o 200 euro al mese, e che solo adesso si accorgono che in fondo l'Europa non è tutto questo granché, e che senza documenti le prospettive non sono facili. E il paradosso è che anche quelli che vogliono tornare, senza documenti resteranno ostaggio del nostro paese. Perché senza i documenti non si può andare né tornare. E questo è il vero problema. Forse anziché chiederci quanti ne sono arrivati via mare, dovremmo chiederci quanti non hanno potuto viaggiare altrimenti. E perché .

Perché Walid non ha potuto prendere un aereo per raggiungere a Parigi XVIII il fratello Fouad e il padre, che vivono lì da una vita e hanno pure il passaporto francese? E invece Walid è morto in mare a 29 anni, ma ci rendiamo conto? Alla mia stessa età!
E perché Mohamed in un momento di crisi a Zarat non è potuto volare a Lione dal fratello? E Jafar lasciare Djerba per Catania? Ognuno di loro ha in tasca un foglietto stropicciato con su scritto un indirizzo e un numero di telefono. Li custodiscono gelosamente. Sono il loro appuntamento col futuro, il loro legame di solidarietà con amici e parenti che vivono su questa riva del mare.

E allora bisogna cambiare il paradigma e chiedersi: perché non possono viaggiare in traghetto o in aereo? Perché le loro vite devono essere registrate, catalogate, controllate, limitate e gestite? Ci rendiamo conto che se ognuno di loro avesse potuto viaggiare con il proprio passaporto in aereo, nessuno, dico nessuno, sarebbe passato da Lampedusa. E nessuno di noi si sarebbe accorto del transito per qualche mese in Francia e in Italia di quattromila turisti in più!

Pensateci bene. Perché se leggere le storie degli harraga serve solo a riassaporare per un momento il gusto dell'avventura in queste nostre insipide vite, allora non vale la pena continuare a informarsi. Il punto è un altro. Ed è che come i giovani caduti martiri delle rivoluzioni nel nord Africa, così Walid e i tanti morti in mare vanno considerati martiri della loro personale rivoluzione per la libertà di circolazione. Questo violare le leggi dei confini, in nome dell'avventura o della necessità, ma comunque sempre del sogno, è straordinariamente rivoluzionario. E non possiamo non capirne la portata. E in nome di quelle migliaia di morti immaginare un nuovo modello. In cui la libertà di viaggiare sia un diritto inalienabile per tutti, tantopiù in un Mediterraneo, che con l'ormai imminente caduta del regime di Gheddafi, dopo quelli di Ben Ali e di Mubarak, ci auguriamo tutti si avvii verso una nuova vitalissima stagione di democrazia e pace.