27 January 2009

La storia di Pino: l'unico rosarnese al corteo degli africani

ROSARNO – La mattina del dicembre 2008, Rosarno fu svegliata dal chiasso degli immigrati. Erano in centinaia sulla via nazionale, come ogni mattina d'inverno. Ma non per cercare lavoro, bensì per protestare. La sera prima infatti due ragazzi ivoriani di 20 e 21 anni erano stati feriti a colpi di pistola da due giovani rosarnesi, mentre rientravano alle baracche della Cartiera dal lavoro negli aranceti. Marciavano diretti alla piazza del municipio con un cartello “Africani no criminali” e rovesciando i cassonetti. In mezzo a loro c'era un unico rosarnese. Pino. Un signore sulla cinquantina. Stava accompagnando la nipote a scuola. Chiese cosa fosse successo, non sapeva nulla della sparatoria. E allora decise di accompagnarli fino al municipio, “per capire cosa stava succedendo” e per calmare gli animi dei pochi che cercavano di divergere i cartelli della segnaletica stradale. In paese c'era una psicosi generale. Non si era mai visto nulla di simile. La gente guardava dalle finestre. Pino ricorda l'odore. L'odore forte. L'odore della miseria.


Pino è un testimone prezioso. Come molti anziani rosarnesi, ha una azienda agricola. E come molti, impiega anche lui immigrati senza documenti per la raccolta degli agrumi. Ogni anno, dà lavoro a quattro persone. Va lui a prenderli con la macchina. Ogni anno sceglie persone diverse, come capita. “Stavo buttando la spazzatura e ho appoggiato il sacco a terra, per chiudere il bagagliaio. In quel momento uno di questi africani aveva tirato il sacco nel cassonetto e mi chiedeva se avevo lavoro. E io gli ho detto guarda cercava proprio quattro persone. E allora è andato a chiamare tre amici e li ho portati in campagna. Poi usi gli stessi. Ci si dà appuntamento per l'indomani mattina”. Come gli altri agricoltori, li paga 25 euro al giorno per sette ore di lavoro. Dalle otto alle dodici. E dalle tredici alle sedici. La paga prevista nella provincia di Reggio Calabria sarebbe di 32. Che con i contributi gli costerebbero 40. “Ci pagano troppo poco, non possiamo dargli di più” si giustifica. “Però mio padre insiste sempre per farli lavorare un po- di più. Se in tre giorni è finito il lavoro lui li chiama un'altra giornata, così fanno 100 euro”.

Pino è convinto di aiutarli. “Ogni mattina la vivo come un calvario. Ogni volta che passo dalla via nazionale. Tutti che ti alzano la mano e ti chiedono di farli lavorare e tu che non puoi aiutarli perché non ne hai bisogno”. Dopotutto anche volendo non gli si potrebbe fare il contratto perché non hanno i documenti. La storia va avanti da vent'anni. Alla fine degli anni Ottanta, racconta Pino, erano iniziati ad arrivare i marocchini. Vivevano in una masseria abbandonata, in campagna. Lui che non abitava distante, un giorno decise di portare loro qualcosa da mangiare. Lo ringraziarono e lo invitarono a entrare. Ricorda che c'erano dei cartoni a terra, sopra i quali dormivano. E che non c'era luce né acqua corrente. “Sono passati vent'anni – dice con amarezza - e non si è fatto nulla. Loro sono aumentati e noi abbiamo perso la sensibilità”. (27/01/2009)

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