27 January 2009

Emergenza alla cartiera: 400 braccianti immigrati vivono in un capannone abbandonato

ROSARNO - Dagli squarci del tetto entrano abbaglianti fasci di luce. E illuminano il labirinto di cartoni immerso nella penombra del capannone. Vecchi pacchi di biscotti Oro Saiwa e manifesti del circo Orfei costituiscono le pareti delle baracche dei braccianti immigrati, che come ogni inverno raggiungono la piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Solo in questa fabbrica fantasma vivono 400 uomini, la maggior parte ghanesi. Si tratta della ex “Modul System Sud”, siamo nel comune di San Ferdinando, uno dei tanti capannoni fantasma di queste campagne, costruiti con fondi pubblici negli anni Novanta e poi abbandonati per fallimento. Gli immigrati la chiamano semplicemente Cartiera. Oppure Ghetto Ghanéen. Il ghetto dei ghanesi. Che qui sono la maggior parte. I cartoni sono tenuti insieme da canne di bambù, spago e nastro adesivo. In ogni baracca, di tre metri per tre, dormono tra cinque e dieci persone. Sui cartoni, o su vecchi materassi. I più fortunati hanno anche le reti. Altri hanno montato delle tende da campeggio. Orientarsi è difficile. Il pavimento è di cemento. In alcuni punti è allagato. Piove dal tetto. La sensazione più forte è l'odore. Di fumo. Non si respira. Ci sono fuochi accesi un po' dappertutto. I muri sono anneriti. Servono a cucinare e a riscaldare l'ambiente.

Mohamed è l'unico marocchino della Cartiera. Parla un buon italiano. Viene da Marrakesh ed è arrivato anche lui da Lampedusa, sei anni fa. Viveva vicino a Bologna. È stato in carcere, ma preferisce non parlare della propria fedina penale. A Rosarno è arrivato un mese fa. Non si lamenta di niente. “Nessuno mi ha chiesto di venire in Italia”, scherza. La sua baracca è più piccola delle altre. Due metri per due. Ci dorme da solo. Entriamo. Mohamed aggiusta le coperte e si scusa del disordine. Su un bidone rovesciato è appoggiato il piatto sporco dell'ultimo pranzo. Il soffitto è alto due metri. A venti centimetri dalla mia faccia un mezzo pollo spennato e pronto per essere cucinato è appeso per un filo alla zampa gialla. Non so da quanto tempo. Deve essere la cena di stasera.

Di fronte alla baracca di Mohamed, una dozzina di ghanesi è seduto sulle pietre intorno al fuoco. Il grasso dei polli sulla griglia cola sulla brace, scoppiettando. Alcuni sono sbarcati quest'anno e sono appena usciti dai centri di accoglienza di Crotone, Bari e Caltanissetta. La maggior parte però sono scesi da Castelvolturno e in generale da Napoli, dove si concentra buona parte dei ghanesi senza documenti sbarcati a Lampedusa negli ultimi anni. Fanno le stagioni. I pomodori a Foggia. Poi le arance a Rosarno. E a marzo le patate a Cassibile. Sono arrivati a Rosarno da un paio di mesi. Quest'anno c'è poco lavoro, dicono: “c'è stata una gelata e poi siamo in troppi”. Alcuni se ne stanno già andando.

Oltre ai ghanesi di Castelvolturno, ci sono ivoriani, burkinabé e togolesi. K. è ivoriano, lo incontro davanti al cancello. Ha 36 anni, vive in Italia dal 2003 e ha un permesso di soggiorno. Ma è disoccupato e a Padova, dove viveva, non è riuscito a trovare una nuova occupazione così e sceso a Rosarno, dove era stato l'anno in cui sbarcò in Italia, nel 2003. Allora dormivano in una palazzina vuota, in centro, di proprietà della Asl. Una notte vennero sgomberati. Per protesta si portarono i materassi sotto il municipio. Poi occuparono il capannone della Modul System Sud. Oggi la villetta sgomberata ha porte e finestre murate. K. invece puzza di alcol. Anche oggi ha bevuto. Alla Cartiera non è l'unico ad avere problemi con l'alcol. Serve a dimenticare il proprio fallimento. Un ragazzo che incontro tra le baracche inizia anche a alzare la voce. Vedrò cosa succederà agli italiani in Ghana se lo rimpatriano. La mia pelle bianca rappresenta la peggiore Italia che ha conosciuto.

Fuori invece è arrivata l'Italia che si rimbocca le maniche. Un gruppo di rosarnesi ha portato tre avvocati dalla provincia. Si sono messi a censire i documenti dei 400 abitanti della cartiera, per vedere se per qualcuno ci sono gli estremi per un ricorso o una domanda d'asilo. Fuori si sono disposti tutti in quattro lunghissime file. Viste dall'alto sembrano dei serpentoni. Sul tetto della cartiera mi ha portato Robert. Un ragazzo ghanese che continua a mostrarmi la sua richiesta d'asilo, presentata nel 2004 a Crotone, e poi scomparsa in qualche vicolo cieco della burocrazia italiana. C'è scritto che è sudanese, ma bastano alcune battute in arabo per essere sicuri del contrario. Ma è l'unica strada che ha per regolarizzarsi. Dal piazzale, sul tetto si sale attraversando i vicoli tra le baracche all'interno della vecchia fabbrica, e poi alcuni corridoi bui. L'occhio chiede il suo tempo per abituarsi all'oscurità. Nell'aria persiste l'odore di legna bruciata e di fumo. Sul pianerottolo delle scale qualcuno sta cucinando un filetto di pesce in un pentolino con olio di semi, cipolle e pomodori freschi. Il pranzo della domenica. Lungo il muro sono disposti una decina di paia di stivali vuoti. Sugli intonaci anneriti dal fumo, sono scritti come codici segreti, una serie di numeri di telefono. Sul terrazzo alcuni ragazzi sono piegati sui secchi a lavare il bucato, steso tutto attorno, direttamente appoggiato sui muri.

Visto dall'alto il cortile è molto più animato di quanto non sembrasse. Vedo due banchetti, dove si vendono vestiti e bibite. Alcuni ragazzi fanno la fila di fronte ai rubinetti aperti da dove scorre l'acqua corrente, utilizzata tanto per bere che per lavare e lavarsi. Tutto intorno c'è spazzatura. Ci sono due cassonetti pieni. Ma il Comune non li viene a vuotare da un mese. Idem con gli otto bagni chimici, installati un mese fa sul lato posteriore del fabbricato e poi lasciati lì, ormai inutilizzabili. Non restano che i bagni rotti e allagati sul retro: sei turche e quattro docce per 400 persone.

Poco dopo arrivano gli evangelici. Sono di una chiesa di Palmi, vengono ogni domenica. Distribuiscono un pranzo gratuito. Il menu di oggi è purè di patate, macinato di carne e un bicchiere di vino. Non tutti però si mettono in fila. Dall'altro lato del piazzale sono accesi due fuochi. Dalla pentola coperta esce un profumino invitante. Mi hanno detto che è questa la tenda dei sudanesi. E infatti seduti intorno ai carboni si parla arabo. Sono una ventina. Sono venuti da Palermo e da Milano. Abbiamo amici in comune nel mondo dell'associazionismo. Tutti quanti hanno i documenti in regola, a parte due ragazzi che però oggi sono nei campi. Da Palermo sono venuti in automobile. Hanno montato una tenda nel piazzale dove vendono bibite analcoliche agli abitanti della Cartiera. Hasan Suleiman, Mohamed e Yaqub vengono tutti dal Darfur. Hanno attraversato il deserto e il mare. E anno dopo anno continuano a vagare nelle campagne italiane, tra gli olivi di Alcamo e gli aranci di Rosarno.

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(27/01/09)