29 July 2008

Niger: i rifugiati denunciano gli abusi subiti nel Sahara

Camion carico di migranti nel deserto del Niger, foto di NygusGRADISCA, 29 luglio 2008 – Termina all'estremo nord est del Paese la corsa di centinaia di migranti e richiedenti asilo sbarcati a Lampedusa e sulle coste siciliane. Da Gradisca, in provincia di Gorizia, il confine sloveno dista meno di dieci chilometri. Ma la quasi totalità dei 135 richiedenti asilo ospiti del Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) è entrata in Italia dal Mediterraneo. E sulle rive del Mediterraneo sono arrivati dopo viaggi lunghi mesi attraverso il deserto del Sahara. Sono loro i testimoni degli abusi commessi lungo le rotte da agenti della polizia nigerina e trafficanti. In un ipotetico processo contro le mafie che lucrano sulla pelle di questi viaggiatori, nel deserto e nel mare, ognuno di loro potrebbe essere chiamato a testimoniare. Ad aprire il flusso della memoria, basta citare loro i luoghi dei dannati del Sahara: Dirkou, Madama, Arlit, Tumu, Gatrun. Passaggi obbligati. Luoghi di razzie e violenze, contro uomini e donne. Soltanto chi può pagare si salva. Gli altri rimangono bloccati.


Odumamwen racconta che al posto di blocco di Dirkou, a metà strada tra Agadez e il posto frontaliero libico di Tumu, in pieno Sahara, pestaggi e razzie sono all'ordine del giorno. “Ho visto persone costrette dai militari a bere acqua fetida per indurre problemi intestinali e fargli espellere le palline con le banconote arrotolate nel cellophane che avevano ingoiato per non farsi derubare”. Odumamwen è nigeriano. Ha 23 anni. È il passeggero numero 94 del secondo sbarco del 24 giugno a Lampedusa. A Lampedusa ha trascorso 10 giorni, poi il trasferimento aereo a Gradisca. Sulla nave, partita dalle coste di Tripoli, erano in 240. A bordo c'era anche Tobies. Di Dirkou racconta: “Ci sono migliaia di uomini e donne bloccati nell'oasi. Sono affamati. Molti lavorano come schiavi per avere un po' di cibo. Altri sono completamente impazziti”. E nel deserto molti muoiono a causa della durezza del viaggio.

Migranti sub sahariani arrestati nel deserto algerino dalla polizia. Foto di Bahri Hamza“È capitato di vedere degli scheletri nella sabbia lungo la pista” - dice Odumamwen. Tobies invece parla di una specie di cimitero a cielo aperto, a metà strada tra Dirkou e Tumu, delimitato da un perimetro di sassi, dove dice che siano state sepolte un centinaio di persone, decedute dopo che il loro camion era rimasto bloccato in pieno Sahara. Qualcosa di simile lo ricordano anche le cinque donne nigeriane ospitate nella sezione femminile del Cara. Hanno trascorso sette mesi sulla rotta. “Certo – confermano – il deserto è pieno di ossa e tombe”. Secondo loro le razzie non sono operate soltanto dai militari: “Ci sono anche i ribelli, sono armati, fermano le auto e chiedono soldi, hanno bastoni con cui picchiano la gente. Alcuni vengono presi a calci”. Quando chiedo di Dirkou scuotono la testa, come se non volessero ricordare. “È inimmaginabile. Molti stanno soffrendo a Dirkou. Non c'è via di uscita. E poi non ci sono linee telefoniche per chiamare casa e tanto meno filiali di Western Union per farsi spedire dei soldi. Se rimani bloccato a Dirkou sei finito”.

Secondo la rassegna stampa di Fortress Europe, le vittime nel Sahara, sulle rotte dell'immigrazione, sarebbero almeno 1.594. Ma stando alle testimonianze dei sopravvissuti quasi ogni viaggio conta i suoi morti. Pertanto le vittime censite sulla stampa potrebbero essere solo una sottostima. Le storie degli ospiti del Cara di Gradisca, sembrano confermare questa tesi.

Gabriele Del Grande, pubblicato da Redattore Sociale


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