MODICA, 22/08/08 – Di nuovo respingimenti in Libia. 48 migranti, soccorsi da un peschereccio spagnolo nelle acque del Canale di Sicilia, sono stati riportati nel porto di Tripoli la notte del 20 agosto 2008. Alle 11:45 del mattino il Centro di coordinamento per il soccorso in mare (Mrcc) italiano avrebbe informato l’Mrcc maltese che un peschereccio italiano, il Marve, aveva incrociato una imbarcazione carica di migranti alla deriva. Subito dopo, il peschereccio spagnolo Punta Aljibe, ha preso a bordo i 50 passeggeri, tra i quali si trovava un neonato. Alle 18:15 il peschereccio spagnolo ha chiesto l’intervento di un medico perché due dei passeggeri erano in cattive condizioni di salute. L’Mrcc ha quindi chiesto al peschereccio di avvicinarsi a Malta, mentre le unità italiane di base a Malta con la missione Frontex, inviavano un elicottero AB212, che prendeva a bordo i due passeggeri e li trasportava d’urgenza all’ospedale Mater Dei, a Malta, atterrando alle 22:10 all’aeroporto di Luqa. Dopodichè veniva dato l’ordine al peschereccio di invertire la rotta e scortare al porto di Tripoli gli altri passeggeri.
Non è la prima volta che succede. Sempre un peschereccio spagnolo – il Corisco – aveva sbarcato a Tripoli 50 migranti soccorsi in acque internazionali il 13 ottobre 2007. Il gommone Zodiac su cui viaggiavano era semi-affondato e sovraccarico. A bordo c’erano 42 uomini, cinque donne e tre bambini di due e tre anni, tutti nord africani tranne due senegalesi secondo le dichiarazioni del comandante del “Corisco”, Antonio López. Il soccorso era avvenuto a 80 miglia dalle coste libiche, in acque internazionali. Ma il capo della diplomazia spagnola Miguel Angel Moratinos, riuscì a strappare il via libera alla riammissione in Libia dei migranti dal suo omologo libico, sulla base del fatto che dalla Libia erano partiti.
Quattro mesi prima, il 13 giugno 2007, il peschereccio spagnolo “Nuestra madre de Loreto” riportava in Libia i 26 naufraghi sub-sahariani salvati 90 miglia al largo di Tripoli, uno dei quali morto. E il 14 luglio del 2006 il peschereccio “Francisco y Catalina” trascorse 7 giorni in mare prima che Malta lo autorizzasse ad attraccare con i 56 naufraghi eritrei e sub-sahariani che aveva soccorso nelle acque SAR libiche. Un autorizzazione che arrivò soltanto dopo la firma di un accordo per ripartire l’accoglienza degli immigrati tra Spagna (18), Italia (10), Malta (8) e Andorra (5). Altri 16 dei passeggeri venivano invece espulsi in Marocco (5), Pakistan (1) e soprattutto Libia (10).
I naufraghi ricondotti in Libia, saranno arrestati e detenuti per mesi, senza processo, nelle condizioni degradanti dei centri di detenzione libici già documentate da Human Rights Watch, dal rapporto Fuga da Tripoli e dal libro “Mamadou va a morire”, per poi essere rimpatriati o abbandonati alla frontiera sud, a Toumou, o Kufrah. Operazioni come questa sono soltanto i preparativi del dispositivo di respingimento collettivo in mare che il governo italiano ha preparato con l’accordo di pattugliamento congiunto firmato con la Libia nel dicembre scorso. "Le navi sono pronte" – continua a ripetere il ministro dell’Interno Maroni. E l’operazione partirà presto. Non appena sarà chiuso l’accordo per chiudere il contenzioso post-coloniale.
Intanto dalla Libia arriva la notizia che i 700 rifugiati eritrei detenuti nel carcere di Misratah sarebbero entrati in sciopero della fame, chiedendo un piano di reinsediamento che li porti in Europa, come già accaduto per un’ottantina dei loro compagni di cella, in Italia. Ne dà notizia l’associazione eritrea Agenzia Habeshia.
Nel frattempo le espulsioni dal paese di Gheddafi continuano. Gli ultimi 135 maliani sono atterrati a Bamako lo scorso 17 agosto alle due del mattino. Si tratta, secondo l’Association des Maliens expulsés, della prima deportazione collettiva di maliani dalla Libia. Alcuni dei rimpatriati parlano di altri 600 maliani che starebbero attendendo la stessa sorte, nei campi di detenzione libici. Le loro testimonianze confermano i dati dei nostri rapporti. “Più di 60 persone per cella, di quattro metri per quattro, con un solo pasto al giorno. Molti hanno malattie dermatologiche. Una persona era ferita da un colpo di fucile. Un altro aveva crisi di tosse. Ma preferivano non farsi curare per paura. Erano regolarmente insultati in ogni modo dalle guardie libiche”.
Qualcosa di simile succederà anche ai naufraghi soccorsi dal Punta Aljibe. Mandati a marcire nei campi libici, colpevoli di aver viaggiato verso l’Italia, proprio mentre il governo italiano si prepara a chiedere l’ingresso di 170.000 lavoratori stranieri. Dieci volte quelli che arrivano in un anno a Lampedusa.