Era il due agosto del 2011. Il Senato approvava in via definitiva la legge sui rimpatri, portando a 18 mesi il limite della detenzione nei centri di identificazione e espulsione (Cie). Quello stesso giorno passava un ordine del giorno che impegnava il governo a rimuovere la circolare 1305. Ovvero la circolare che dal primo aprile 2011 ha reistituito la censura in Italia, vietando alla stampa l'accesso nei Cie. Da agosto sono passati tre mesi, e nel frattempo il governo si è dimesso. Ma la circolare 1305 è ancora in piedi. L'unica modifica è stata approvata l'8 novembre 2011, attraverso un'altra circolare, la 1305(4), che autorizza ufficialmente parlamentari e consiglieri regionali a visitare le strutture. A darcene notizia è la Prefettura di Roma, a cui avevo chiesto l'autorizzazione per visitare il Cie di Ponte Galeria. Di seguito riporto la mail di risposta che ho ricevuto.
Notate la normalità dei toni. Basta la burocrazia. Basta una norma, un codice a cui appigliarsi. E la libertà di stampa scompare. Quasi in nome dello stato di diritto. Peccato che esista anche il diritto di cronaca. Nemmeno la mobilitazione del 25 luglio, che ha visto la partecipazione di decine di parlamentari e giornalisti e di centinaia di persone in tutta Italia, unite dallo slogan LasciateCIEntrare, è servita a niente. A questo punto non rimane che la via legale. Il ricorso al Tar è già stato depositato da mesi dagli avvocati Lana e Saccucci, che difendono i giornalisti Liberti e Cosentino con il patrocinio della Open Society Foundation. L'ingresso dei giornalisti non è certo il punto di arrivo di una campagna contro la detenzione di chi ha i documenti scaduti. Ma è sicuramente il punto di partenza. Per creare un filo di comunicazione tra il dentro e il fuori. Esattamente come abbiamo fatto in questi anni con Fortress Europe, quando era possibile visitare i Cie. Ma forse è proprio per le notizie che sono uscite allora, che oggi qualcuno vuole tappare la bocca a certi giornalisti.
Notate la normalità dei toni. Basta la burocrazia. Basta una norma, un codice a cui appigliarsi. E la libertà di stampa scompare. Quasi in nome dello stato di diritto. Peccato che esista anche il diritto di cronaca. Nemmeno la mobilitazione del 25 luglio, che ha visto la partecipazione di decine di parlamentari e giornalisti e di centinaia di persone in tutta Italia, unite dallo slogan LasciateCIEntrare, è servita a niente. A questo punto non rimane che la via legale. Il ricorso al Tar è già stato depositato da mesi dagli avvocati Lana e Saccucci, che difendono i giornalisti Liberti e Cosentino con il patrocinio della Open Society Foundation. L'ingresso dei giornalisti non è certo il punto di arrivo di una campagna contro la detenzione di chi ha i documenti scaduti. Ma è sicuramente il punto di partenza. Per creare un filo di comunicazione tra il dentro e il fuori. Esattamente come abbiamo fatto in questi anni con Fortress Europe, quando era possibile visitare i Cie. Ma forse è proprio per le notizie che sono uscite allora, che oggi qualcuno vuole tappare la bocca a certi giornalisti.
Ormai a parte i parlamentari e i consiglieri regionali, le uniche organizzazioni accreditate a visitare i Cie sono: Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), Save the Children, Medici senza frontiere, Amnesty International, Caritas, e Croce rossa italiana (Cri). Ora evidentemente la situazione della Croce rossa è particolare, visto che essendo anche ente gestore dei Cie di Milano e Torino evidentemente non ha interesse a giocarsi i due appalti milionari con delle denunce pubbliche. Ma a tutte le altre organizzazioni - così come ai parlamentari e ai consiglieri regionali - chiediamo di esercitare il proprio diritto di visita. Sono gli unici soggetti che possono farlo. Hanno una responsabilità civile da cui in questo momento non possono tirarsi indietro. Aspettiamo di leggere i loro rapporti sui Cie. E se sceglieranno il silenzio, sapremo da che parte hanno deciso di stare.