Zintan, la Cnn intervista alcuni prigionieri di guerra di origini subsahariane, che ammettono di essere stati mercenari
Contro Yousef non avevano nessun indizio. Soltanto un passaporto maliano reso illeggibile dall'acqua. Ma con l'aria da caccia ai mercenari che tirava in giro per Tripoli i giorni dopo la battaglia di Bab el Aziziya, l'hanno arrestato lo stesso. Della serie: meglio uno in più che uno in meno. Quando l'abbiamo incontrato era ancora detenuto nella scuola di Fashlum, uno dei primi quartieri di Tripoli sceso in piazza a febbraio, prima che le manifestazioni fossero represse nel sangue dal regime e che la lotta si facesse armata. In tutto il quartiere di Fashlum agli arresti ci sono una trentina di persone, di cui 14 sono i presunti mercenari. Li tengono in una stanza di tre metri per tre. La porta aperta, controllati a vista da ragazzi armati, gli stessi che gli danno l'acqua da bere e tre pasti al giorno. E che li accompagnano nell'ufficio a metà corridoio per gli interrogatori, effettuati da ex ispettori senza alcuna violenza, per quello che abbiamo potuto vedere durante una nostra irruzione a sorpresa nell'ufficio.
È stato durante uno di quegli interrogatori che Yousef ha potuto spiegare con calma che si trattava di un malinteso. Che lui viveva in Libia da cinque anni e che era un semplice lavoratore e non un militare e che i suoi vicini di casa potevano confermare la sua estraneità ai fatti. Così è stato. È bastata una telefonata per verificare. A scagionarlo si è presentato uno dei vicini di casa che aveva indicato, Imad. La liberazione è stata immediata, davanti ai nostri occhi. Come dire che gli interrogatori fanno da filtro per rilasciare i tanti arrestati per eccesso di zelo da ragazzi armati ancora sotto shock per il sangue che hanno visto versare in questi giorni di battaglia a Tripoli dalle milizie di Gheddafi e dai suoi mercenari.
Ad ogni modo, per uno che esce, uno rimane dentro. Inutile insistere, l'amico di Yousef, un altro maliano di nome Hasan, questa notte resta dentro. Il capo della sicurezza, Jamal Razqi rifiuta di rilasciarlo sulla sola parola di Yousef. Serve un libico che si prenda la responsabilità. Alla fine si è deciso che Imad si informerà dai vicini di casa di questo Hasan e nel caso lo dovessero conoscere, manderà qualcuno a fare il riconoscimento.
Chi invece non avrà bisogno di verifiche per convalidare l'arresto, sono i tre che hanno trovato con le armi ancora in casa: uno con un razzo anticarro rpg e gli altri due con un kalashnikov ciascuno. Mentre un quarto uomo, Suliman Hasan, l'hanno preso che aveva ancora in tasca la tessera di adesione al "comando internazionale dei combattenti di Gheddafi", con tanto di fotografia e dati anagrafici.
Poi c'è il misterioso caso di Taher Nur Mohamed Ali, un chadiano di 19 anni, un altro che non parla una parola di arabo, che è entrato in Libia soltanto a febbraio e che guarda caso, a guerra iniziata, ha ritirato la cittadinanza libica, con tanto di passaporto, rilasciato il 7 marzo 2011, dal commissariato di polizia di Dar Mu'ammar, uno dei quartieri più fedeli al regime nella città meridionale di Sebha, la città che in questi mesi ha funzionato da vero e proprio centro di reclutamento dei mercenari in Libia.
Come ci ha raccontato un ragazzo di quella città. Mustafa Said, anche lui un libico nero. Anche lui uno di quelli che ha ammesso di aver fatto parte delle milizie del regime. Anche perché non poteva negare l'evidenza, visto che l'hanno catturato con un proiettile dentro una gamba dentro il bunker di Gheddafi a Bab el Aziziya. (continua)