10 August 2011

Il Viminale ai giudici di pace: non liberate i tunisini


Non tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. O almeno non lo sono i tunisini. A sostenerlo è il Ministero dell'Interno, che tramite le questure ha fatto pervenire una lettera agli uffici dei giudici di pace competenti per le udienze di proroga del trattenimento nei Cie chiedendo di applicare una discriminante contro i reclusi tunisini. Una simile intrusione del ministero dell'Interno in una materia tanto delicata come la giurisdizione della libertà personale, non si era mai vista. Sì perché di questo parliamo, prima ancora che di espulsioni. Come saprete infatti, la privazione della libertà personale nei centri di identificazione e espulsione (Cie) è sottoposta a udienze di convalida davanti a un giudice di pace. Anche con la nuova legge, che porta a 18 mesi il limite della detenzione nei Cie, sono previste udienze di proroga ogni due mesi. E la legge prevede che in quella sede la questura debba allegare la documentazione dell'avvenuta attivazione delle procedure per l'identificazione del trattenuto. Perché il trattenimento nei Cie è autorizzato soltanto in funzione dell'identificazione e del rimpatrio. E se l'autorità non dimostra di essersi attivata per identificare la persona, il giudice può disporne l'immediato rilascio. Ai giudici di pace che seguono i casi dei reclusi tunisini però, adesso viene chiesto di chiudere un occhio. E di limitarsi a eseguire le convalide, fino ai 18 mesi, per non rovinare i risultati della macchina delle espulsioni. La prova sta in questo documento, che per la prima volta siamo in grado di mostrarvi.

Si tratta di una copia originale della lettera inviata dall'ufficio immigrazione della Questura di Torino, lo scorso 8 agosto, all'ufficio del giudice di pace. Nella lettera, che ha piuttosto i toni di una direttiva, si spiega che delle procedure per identificare i cittadini tunisini se ne occupa direttamente, e sembra di capire esclusivamente, la Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, presso il Ministero dell'Interno. Per questo la Questura non è in grado di documentare concretamente l'attività svolta ai fini dell'identificazione, e si appella alle decisioni superiori ministeriali affinché i giudici concedano lo stesso le proroghe, in deroga della legge, visti i risultati ottenuti fino ad oggi in termini di espulsioni tramite i voli charter.

E se questo accade a Torino, dove c'è una delle questure più efficienti d'Italia, figurarsi cosa succede altrove... Ad esempio a Trapani, dove nel Cie di Milo, H.B. ha finito i sei mesi di trattenimento lo scorso 4 agosto, e ad oggi - 10 agosto - non ha ancora ricevuto la proroga del trattenimento trovandosi di fatto in stato di sequestro di persona!

Perché, lo ricordiamo a Maroni e a tutti gli italiani che hanno dimenticato l'articolo 13 della nostra costituzione, la libertà personale è un diritto inviolabile! Senza convalida di un giudice, nessuno può essere privato della sua libertà. E invece in Italia sta diventando la norma.

Dal Cie di Lamezia Terme ci segnalano addirittura il caso di un cittadino marocchino, fermato senza documenti a Catanzaro, che ad oggi, dopo un mese e quindici giorni di detenzione, non è stato ancora convalidato! Sempre da Lamezia Terme ci informano che le udienze di convalida e di proroga del trattenimento avvengono senza che i detenuti compaiano davanti al giudice di pace. Alla faccia del diritto di difesa. Aspettano nelle celle, e ogni due mesi gli arriva la proroga. Giorno più giorno meno. Perché A. ad esempio ha ricevuto la sua proroga soltanto due giorni dopo la scadenza dei sei mesi del trattenimento. Per casi simili, a Torino altri avvocati hanno ottenuto la liberazione dei reclusi per scadenza termini. Basta anche mezz'ora oltre il limite. Sulla libertà personale non si scherza.

Parliamo dei fondamenti del diritto. Non tanto di immigrazione, quanto per l'appunto delle leggi sulla libertà personale e dell'ingerenza del potere esecutivo nella giurisdizione. Ci auguriamo tuttavia che sempre più giudici di pace trovino il coraggio di applicare le leggi anziché le direttive del Ministero dell'Interno. Come fece lo scorso 4 luglio il giudice Alioto del foro di Palermo, con una sentenza che censurava in modo esemplare le pratiche di sequestro di persona nel centro d'accoglienza di Lampedusa.


Sul diritto di difesa nei Cie dopo l'entrata in vigore della nuova legge, vedi anche l'analisi di Fulvio Vassallo Paleologo

Di seguito trovate la copia scannerizzata della lettera della Questura di Torino ai giudici di pace. Cliccate per ingrandire.