Il Cie di Milo a Trapani |
Ne sanno qualcosa i reclusi che cinque giorni fa si sono visti sparare addosso nel cortile della sezione un candelotto di gas lacrimogeno, durante l'ennesima rivolta. La polizia aveva già impiegato una volta i lacrimogeni per reprimere una sommossa nel Cie di Santa Maria Capua Vetere, a Caserta, lo scorso 8 giugno. L'operazione però si rivelò come un clamoroso boomerang, visto che i candelotti sparati finirono per incendiare la tendopoli del Cie, che da allora è stato chiuso e posto sotto sequestro dalla magistratura. A Milo però il rischio incendio non c'è, dato che l'intera struttura è in ferro e cemento armato. A bruciare sono le ferite dei frequenti pestaggi. L'ultimo è avvenuto proprio il giorno dopo lo sparo del lacrimogeno.
La vittima è un recluso marocchino, picchiato da alcuni agenti della Guardia di Finanza senza motivo. Secondo i nostri testimoni infatti, il ragazzo stava chiamando gli operatori dell'ente gestore - la cooperativa Insieme del consorzio Connecting People - per chiedere di essere trasferito in un'altra sezione del Cie, dove si trovava un suo compaesano marocchino. Esasperato dalla noncuranza degli operatori, che a dire dei nostri testimoni non gli avrebbero minimamente prestato attenzione, a un certo punto ha deciso di scavalcare la rete e di andare da solo nell'altra sezione, attraversando il cortile del Cie. E in quel momento sarebbe stato fermato da un gruppo di finanzieri, che lo avrebbero pestato di fronte agli altri riportandolo poi in sezione con la bocca insanguinata.
Di fronte all'aumento dei tentativi di fuga, pare addirittura che le forze dell'ordine di guardia al Cie di Milo abbiano sequestrato le stringhe e tagliato le scarpe ai reclusi, in modo da rendere impossibile l'arrampicata sul perimetro della gabbia e sul muro di cinta, in attesa che Roma mandi i rinforzi chiesti e richiesti dal sindacato di polizia trapanese.
Di tutto questo non abbiamo e non avremo prove materiali, salvo le testimonianze dei reclusi e degli evasi. Avvalorati dai precedenti pestaggi operati dagli stessi agenti delle forze dell'ordine nei mesi scorsi negli altri due Cie di Trapani, a Chinisia e al Vulpitta. Episodi di cui la questura di Trapani evita scientificamente di dare notizia alla stampa. Nemmeno a quella locale. Ad aumentare il dispositivo di censura, oltre al divieto di ingresso della stampa nei Cie disposto da Maroni, c'è anche un'altra pratica, che consiste nella sistematica distruzione degli obiettivi delle fotocamere digitali dei telefonini dei reclusi, ai quali è così impossibile filmare quello che accade nei Cie. Fanno lo stesso anche al Cie di Torino: prima controllano il telefonino, e se c'è la videocamera obbligano i reclusi a spaccare l'obiettivo con un ferro o una penna.
Nonostante la censura però, nei corridoi della questura di Trapani gira voce di un'altra rivolta, che sarebbe esplosa nelle settimane scorse nel vecchio Cie di Trapani, quello in centro città, il Serraino Vulpitta.