Viaggiano senza valigie e con vestiti troppo leggeri per l'inverno del nord. Vanno via dall'Italia. Sono i tunisini sbarcati nelle settimane scorse a Lampedusa. In due settimane se ne sono andati almeno 1.400, senza dare troppo nell'occhio. Alla stazione di Bari è un continuo. Ogni treno è quello buono. La destinazione è una sola: la Francia. Alcuni preferiscono prendere gli eurostar, dicono che sui treni dei ricchi ci sono meno controlli. Altri aspettano i treni notturni dei pendolari. Io viaggio con loro. Carrozza 19. Non appena il treno si muove sui binari, mi sento chiamare per nome dal corridoio: “Gabriele!”. È Walid, uno dei ragazzi di Zarzis che ho conosciuto a Lampedusa. Mi invita a sedere nel loro scompartimento. Mi prensento a Ridha e a Ahmed, anche loro di Zarzis. Un quarto ragazzo dorme con la bocca spalancata e la faccia stampata al finestrino. Li aspetta un lungo viaggio. Arriveranno a Ventimiglia all'una del pomeriggio, dopo un cambio a Tortona. E da lì continueranno in automobile con un contrabbandiere tunisino fino a Toulon, da dove ognuno poi prenderà la sua strada. Il prezzo per il passaggio senza documenti della frontiera francese è di 400 euro a testa. Un po' caro, ma meglio non correre rischi visto che la polizia francese ha intensificato i controlli sui treni e nelle stazioni di Cannes e Nice. Le autorità italiane lasciano fare.
Sembra questa la politica decisa sottobanco dal governo. Chiudere un occhio e lasciare che i ragazzi continuino il viaggio visto che per la maggior parte di loro l'Italia è soltanto un corridoio d'ingresso verso la Francia. È la fuga dopo la fuga. Perché il viaggio non finisce a Lampedusa. Il cerchio si chiuderà soltanto a Parigi, Nantes o Marsiglia, dove ognuno di loro raggiungerà i propri cari. Fonti interne al circuito dell'accoglienza confermano l'andazzo. Metà dei tunisini ospitati nei centri di accoglienza se ne sono già andati. Si parla di almeno 1.400 persone, a fronte di un migliaio di richieste di asilo presentate. E anche tra i circa 200 minori censiti, una quarantina ha fatto perdere le proprie tracce.
Ridha è uno di loro. Ha 17 anni e per legge gli spetterebbe una casa e un progetto di formazione. Ma lui ai progetti preferisce l'avventura. Il suo sogno è di vedere la Francia. Un sogno ingenuo e eccitante, come lo sono i sogni di ogni adolescente. Talmente eccitante che ha lasciato la scuola per questo. Il 10 febbraio, quando l'hanno chiamato per partire, era ancora in classe. Lezione di fisica, seconda ora. Ha risposto al cellulare sotto i rimproveri del professore, ma era troppo importante. Poi ha chiesto scusa e senza dare troppe spiegazioni ha fatto lo zaino ed è uscito di classe, correndo verso il mare. Ormai indietro non si torna, dice scherzando. Troppi giorni di assenza, ha perso l'anno scolastico. E dire che era il penultimo anno del liceo. Ma là davanti c'è la Francia. Un posto che ha sempre sognato, pur non conoscendo nessuno a Parigi, a parte le due fidanzatine incontrate su facebook con cui da più di un anno si vedono in webcam.
Walid invece la fidanzata l'ha lasciata a Zarzis. È una cosa seria, hanno in progetto di sposarsi e comprare casa nel giro di due anni al massimo. E a Zarzis ha lasciato pure un buon lavoro. Guidava un taxi, ma con la rivoluzione e la crisi del turismo, gli affari sono andati in crisi. E allora ha approfittato della presenza del fratello a Parigi per salire in Europa a guadagnarsi da vivere. Gli chiedo se non gli sembra di avere tradito la rivoluzione avendo lasciato il paese, dopotutto i ragazzi delle regioni più povere, che tradizionalmente sbarcavano a Lampedusa negli anni scorsi, da Gafsa e Metlaoui, quest'anno non si sono ancora visti, proprio perché ancora coinvolti nelle manifestazioni per la democrazia. Walid mi ferma subito. Guai a toccargli la rivoluzione. Era in piazza a Zarzis durante le manifestazioni, nella sua città ci sono stati due martiri uccisi dalla polizia, e a un suo carissimo amico hanno sparato in una gamba. E poi hanno tutti partecipato ai comitati di quartiere, dopo il ritiro della polizia dai commissariati, quando gli squadristi di Ben Ali seminavano il terrore. È stata un'esperienza fondante. Sanno di essere stati l'avanguardia del movimento in Egitto e in Libia. Ma il punto è un altro. Ed è che adesso hanno voglia di vivere e di vivere bene. L'economia del turismo non ripartirà prima di un anno o due, e loro non hanno voglia di aspettare.
Anche se poi non c'è solo il lavoro. Ridha ad esempio dice che se lo dovessero rimpatriare non sarebbe un problema. Che voleva soltanto vedere la Francia. E che ne ha approfittato perché per un mese non ci sono stati pattugliamenti in mare e non era più come ai tempi di Ben Ali che se ti beccavano in mare diretto a Lampedusa ti facevi sei mesi di galera. Walid sorride: c'è stato un momento a Zarzis che dovevi partire e basta, senza avere per forza un progetto di vita, quasi soltanto per dimostrare agli amici che eri un uomo.
Ad ogni modo a Ridha e Walid andrà bene. Ma non tutti i ragazzi di Zarzis potranno lasciare l'Italia. Almeno 300 infatti sono finiti dietro le sbarre dei centri di identificazione e espulsione di mezza Italia. Li aspettano sei mesi di detenzione e il rischio del rimpatrio forzato. Non cercate una logica per capire perché alcuni sono detenuti e altri viaggiano senza documenti sui treni diretti al confine. Perché una logica non c'è. Semplicemente hanno riempito i centri di espulsione, e quando non c'era più posto hanno lasciato andare tutti gli altri verso la Francia. Qualche domanda però se la sono iniziati a fare anche dentro i centri. E la risposta è stata la rivolta. Quasi per tutti è la prima volta che sono detenuti e davvero non riescono a capire come mai. Il centro di espulsione di Gradisca è stato devastato da un incendio. Scontri con le forze dell'ordine, incendi e tentate evasioni sono state registrate anche a Trapani, Brindisi, Torino e Bari. L'ultimo centro a scoppiare è stato quello di Modena, dove domenica i 42 tunisini trasferiti da Lampedusa hanno incendiato materassi al grido di “Libertà!”. Che abbiano portato con sé di qua dal mare un po' del vento della rivoluzione?
Sembra questa la politica decisa sottobanco dal governo. Chiudere un occhio e lasciare che i ragazzi continuino il viaggio visto che per la maggior parte di loro l'Italia è soltanto un corridoio d'ingresso verso la Francia. È la fuga dopo la fuga. Perché il viaggio non finisce a Lampedusa. Il cerchio si chiuderà soltanto a Parigi, Nantes o Marsiglia, dove ognuno di loro raggiungerà i propri cari. Fonti interne al circuito dell'accoglienza confermano l'andazzo. Metà dei tunisini ospitati nei centri di accoglienza se ne sono già andati. Si parla di almeno 1.400 persone, a fronte di un migliaio di richieste di asilo presentate. E anche tra i circa 200 minori censiti, una quarantina ha fatto perdere le proprie tracce.
Ridha è uno di loro. Ha 17 anni e per legge gli spetterebbe una casa e un progetto di formazione. Ma lui ai progetti preferisce l'avventura. Il suo sogno è di vedere la Francia. Un sogno ingenuo e eccitante, come lo sono i sogni di ogni adolescente. Talmente eccitante che ha lasciato la scuola per questo. Il 10 febbraio, quando l'hanno chiamato per partire, era ancora in classe. Lezione di fisica, seconda ora. Ha risposto al cellulare sotto i rimproveri del professore, ma era troppo importante. Poi ha chiesto scusa e senza dare troppe spiegazioni ha fatto lo zaino ed è uscito di classe, correndo verso il mare. Ormai indietro non si torna, dice scherzando. Troppi giorni di assenza, ha perso l'anno scolastico. E dire che era il penultimo anno del liceo. Ma là davanti c'è la Francia. Un posto che ha sempre sognato, pur non conoscendo nessuno a Parigi, a parte le due fidanzatine incontrate su facebook con cui da più di un anno si vedono in webcam.
Walid invece la fidanzata l'ha lasciata a Zarzis. È una cosa seria, hanno in progetto di sposarsi e comprare casa nel giro di due anni al massimo. E a Zarzis ha lasciato pure un buon lavoro. Guidava un taxi, ma con la rivoluzione e la crisi del turismo, gli affari sono andati in crisi. E allora ha approfittato della presenza del fratello a Parigi per salire in Europa a guadagnarsi da vivere. Gli chiedo se non gli sembra di avere tradito la rivoluzione avendo lasciato il paese, dopotutto i ragazzi delle regioni più povere, che tradizionalmente sbarcavano a Lampedusa negli anni scorsi, da Gafsa e Metlaoui, quest'anno non si sono ancora visti, proprio perché ancora coinvolti nelle manifestazioni per la democrazia. Walid mi ferma subito. Guai a toccargli la rivoluzione. Era in piazza a Zarzis durante le manifestazioni, nella sua città ci sono stati due martiri uccisi dalla polizia, e a un suo carissimo amico hanno sparato in una gamba. E poi hanno tutti partecipato ai comitati di quartiere, dopo il ritiro della polizia dai commissariati, quando gli squadristi di Ben Ali seminavano il terrore. È stata un'esperienza fondante. Sanno di essere stati l'avanguardia del movimento in Egitto e in Libia. Ma il punto è un altro. Ed è che adesso hanno voglia di vivere e di vivere bene. L'economia del turismo non ripartirà prima di un anno o due, e loro non hanno voglia di aspettare.
Anche se poi non c'è solo il lavoro. Ridha ad esempio dice che se lo dovessero rimpatriare non sarebbe un problema. Che voleva soltanto vedere la Francia. E che ne ha approfittato perché per un mese non ci sono stati pattugliamenti in mare e non era più come ai tempi di Ben Ali che se ti beccavano in mare diretto a Lampedusa ti facevi sei mesi di galera. Walid sorride: c'è stato un momento a Zarzis che dovevi partire e basta, senza avere per forza un progetto di vita, quasi soltanto per dimostrare agli amici che eri un uomo.
Ad ogni modo a Ridha e Walid andrà bene. Ma non tutti i ragazzi di Zarzis potranno lasciare l'Italia. Almeno 300 infatti sono finiti dietro le sbarre dei centri di identificazione e espulsione di mezza Italia. Li aspettano sei mesi di detenzione e il rischio del rimpatrio forzato. Non cercate una logica per capire perché alcuni sono detenuti e altri viaggiano senza documenti sui treni diretti al confine. Perché una logica non c'è. Semplicemente hanno riempito i centri di espulsione, e quando non c'era più posto hanno lasciato andare tutti gli altri verso la Francia. Qualche domanda però se la sono iniziati a fare anche dentro i centri. E la risposta è stata la rivolta. Quasi per tutti è la prima volta che sono detenuti e davvero non riescono a capire come mai. Il centro di espulsione di Gradisca è stato devastato da un incendio. Scontri con le forze dell'ordine, incendi e tentate evasioni sono state registrate anche a Trapani, Brindisi, Torino e Bari. L'ultimo centro a scoppiare è stato quello di Modena, dove domenica i 42 tunisini trasferiti da Lampedusa hanno incendiato materassi al grido di “Libertà!”. Che abbiano portato con sé di qua dal mare un po' del vento della rivoluzione?