Gente che se ne va, gente che si rivolta. Non ci si capisce più niente. A Bologna la Polfer ha fermato 120 tunisini su un intercity diretto a Milano alle 6 di questa mattina e ha portato tutti in caserma. A Torino ci sono 50 tunisini in sciopero della fame al centro di espulsione di via Brunelleschi. E gli altri? Dove sono finiti i 4.000 tunisini arrivati nei giorni scorsi a Lampedusa? Sicuri che i centri di espulsione riempiti al limite del sovraffollamento con i nuovi arrivati non finiranno per saltare in aria?
Partiamo da Lampedusa. Sull'isola sono rimasti in 2.142, ospitati in pessime condizioni nel centro di prima accoglienza che ha una capienza di soli 850 posti. Altri 780 sono stati trasferiti al centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Bari, 670 al centro d'accoglienza di Crotone e 200 in una tensostruttura a Rosolini, Siracusa. Strutture aperte, dedicate all'ospitalità di chi chiede asilo politico al nostro paese. E questi sono una parte del totale. Poi ci sono i minorenni, circa 200 per ora, destinati alle comunità per minori. Tutti gli altri invece sono stati spediti nei centri chiusi di identificazione e espulsione in giro per l'Italia, a Trapani, Gradisca, Crotone, Torino. Di quelli che hanno chiesto asilo e che sono stati trasferiti nei centri d'accoglienza di Crotone e Bari, in parte hanno già lasciato le strutture, diretti perlopiù in Francia, compresi i 118 bloccati dalla Polfer su un intercity per Milano alla stazione di Bologna e successivamente rispediti a Crotone su un volo charter. C'è da aspettarsi che nelle prossime ore molti lasceranno i centri d'accoglienza, dove per definizione l'ingresso e l'uscita sono liberi. A meno che il governo non decida di vietare l'uscita dai centri, cosa improbabile visto il tipo di strutture difficilmente adattabile alla funzione detentiva.
Ma il problema vero adesso si pone per quelli trasferiti nei centri di espulsione. Il loro arrivo in massa nei centri capita infatti in una settimana già particolarmente tesa. Torino, Bari e Brindisi sono già in stato di agitazione da qualche giorno. E adesso cosa accadrà?
Al centro espulsioni di Brindisi ad esempio, venerdì scorso i detenuti hanno appiccato il fuoco ai materassi e sono riusciti a scappare in 27. Ed è soltanto l'ultima di una lunga serie di evasioni da un centro che pure il sindacato di polizia ha chiesto di chiudere perché non idoneo. Su al nord invece si segnala un incendio al cie di Gradisca e uno sciopero della fame che va avanti da 24 ore al cie di Torino, e che coinvolge buona parte dei detenuti, compresi i 50 tunisini appena trasferiti da Lampedusa e stipati ella sezione delle donne, rimesse in libertà per far posto ai nuovi arrivati. E un altro sciopero della fame c'era stato nei giorni scorsi anche al centro espulsioni di Bari, seguito dalla singolare protesta di uno dei detenuti che, appreso della morte della madre in patria, è salito sul tetto minacciando il suicidio se non lo rimpatriavano immediatamente.
Questo per dire che il punto non è rimpatri sì rimpatri no. Ma piuttosto la libertà di ciascuno di decidere dei propri spostamenti. Se partire, restare o tornare. Esattamente come fa ognuno di noi che in tasca ha un passaporto rosso. Tantopiù nell'epoca della globalizzazione, e della mobilità facile nel villaggio globale. Buona parte della popolazione mondiale ormai ha legami con più continenti, per studio, lavoro, amore, famiglia. Ed è inaccettabile pretendere di continuare a controllare lo spostamento di così tante persone. E infatti l'Italia, come l'Europa, l'ha capito. Ha aperto la frontiera con i ricchi paesi europei e si limita a controllare lo spostamento dei poveri.
Ma qualcuno si ribella. Per fortuna. Sono le migliaia di ragazzi che partono comunque. Sono i 4.000 arrivati in una settimana a Lampedusa. La maggior parte di loro probabilmente non c'ha nemmeno mai pensato. Ma il loro bruciare la frontiera è un gesto politico estremamente forte. Perché si ribella alle leggi ingiuste e inaccoglienti che criminalizzano il viaggio e che ci hanno abituato a accettare l'inaccettabile, i respingimenti da un lato e dall'altro la detenzione amministrativa fino a 6 mesi di chi ha un documento scaduto o un ingresso irregolare in frontiera. È talmente inaccettabile che - c'è da starne certi - nei prossimi giorni se ne vedranno delle belle nei centri di espulsione d'Italia. Già in stato di agitazione prima e adesso riempiti all'inverosimile con le migliaia di nuovi arrivati, carichi di sogni e ambizioni e poco disposti a essere rinchiusi in gabbia come bestie allo zoo.
Partiamo da Lampedusa. Sull'isola sono rimasti in 2.142, ospitati in pessime condizioni nel centro di prima accoglienza che ha una capienza di soli 850 posti. Altri 780 sono stati trasferiti al centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Bari, 670 al centro d'accoglienza di Crotone e 200 in una tensostruttura a Rosolini, Siracusa. Strutture aperte, dedicate all'ospitalità di chi chiede asilo politico al nostro paese. E questi sono una parte del totale. Poi ci sono i minorenni, circa 200 per ora, destinati alle comunità per minori. Tutti gli altri invece sono stati spediti nei centri chiusi di identificazione e espulsione in giro per l'Italia, a Trapani, Gradisca, Crotone, Torino. Di quelli che hanno chiesto asilo e che sono stati trasferiti nei centri d'accoglienza di Crotone e Bari, in parte hanno già lasciato le strutture, diretti perlopiù in Francia, compresi i 118 bloccati dalla Polfer su un intercity per Milano alla stazione di Bologna e successivamente rispediti a Crotone su un volo charter. C'è da aspettarsi che nelle prossime ore molti lasceranno i centri d'accoglienza, dove per definizione l'ingresso e l'uscita sono liberi. A meno che il governo non decida di vietare l'uscita dai centri, cosa improbabile visto il tipo di strutture difficilmente adattabile alla funzione detentiva.
Ma il problema vero adesso si pone per quelli trasferiti nei centri di espulsione. Il loro arrivo in massa nei centri capita infatti in una settimana già particolarmente tesa. Torino, Bari e Brindisi sono già in stato di agitazione da qualche giorno. E adesso cosa accadrà?
Al centro espulsioni di Brindisi ad esempio, venerdì scorso i detenuti hanno appiccato il fuoco ai materassi e sono riusciti a scappare in 27. Ed è soltanto l'ultima di una lunga serie di evasioni da un centro che pure il sindacato di polizia ha chiesto di chiudere perché non idoneo. Su al nord invece si segnala un incendio al cie di Gradisca e uno sciopero della fame che va avanti da 24 ore al cie di Torino, e che coinvolge buona parte dei detenuti, compresi i 50 tunisini appena trasferiti da Lampedusa e stipati ella sezione delle donne, rimesse in libertà per far posto ai nuovi arrivati. E un altro sciopero della fame c'era stato nei giorni scorsi anche al centro espulsioni di Bari, seguito dalla singolare protesta di uno dei detenuti che, appreso della morte della madre in patria, è salito sul tetto minacciando il suicidio se non lo rimpatriavano immediatamente.
Questo per dire che il punto non è rimpatri sì rimpatri no. Ma piuttosto la libertà di ciascuno di decidere dei propri spostamenti. Se partire, restare o tornare. Esattamente come fa ognuno di noi che in tasca ha un passaporto rosso. Tantopiù nell'epoca della globalizzazione, e della mobilità facile nel villaggio globale. Buona parte della popolazione mondiale ormai ha legami con più continenti, per studio, lavoro, amore, famiglia. Ed è inaccettabile pretendere di continuare a controllare lo spostamento di così tante persone. E infatti l'Italia, come l'Europa, l'ha capito. Ha aperto la frontiera con i ricchi paesi europei e si limita a controllare lo spostamento dei poveri.
Ma qualcuno si ribella. Per fortuna. Sono le migliaia di ragazzi che partono comunque. Sono i 4.000 arrivati in una settimana a Lampedusa. La maggior parte di loro probabilmente non c'ha nemmeno mai pensato. Ma il loro bruciare la frontiera è un gesto politico estremamente forte. Perché si ribella alle leggi ingiuste e inaccoglienti che criminalizzano il viaggio e che ci hanno abituato a accettare l'inaccettabile, i respingimenti da un lato e dall'altro la detenzione amministrativa fino a 6 mesi di chi ha un documento scaduto o un ingresso irregolare in frontiera. È talmente inaccettabile che - c'è da starne certi - nei prossimi giorni se ne vedranno delle belle nei centri di espulsione d'Italia. Già in stato di agitazione prima e adesso riempiti all'inverosimile con le migliaia di nuovi arrivati, carichi di sogni e ambizioni e poco disposti a essere rinchiusi in gabbia come bestie allo zoo.