27 January 2011

Fahim Boukaddous. Un gramsciano a Tunisi

Mentre in Tunisia la rivolta popolare ha ottenuto un secondo risultato dopo la fuga di Ben Ali, ovvero la rimozione dei ministri del partito del regime dal governo transitorio, in Italia il vice sindaco di Milano già grida all'invasione degli 11.000 detenuti fuggiti dalle carceri di Ben Ali. E allora visto che stamattina a Tunisi ho avuto il piacere di fare colazione con uno di quei detenuti, rilancio in rete la sua straordinaria storia, Da cui si capisce quanto era tosto il regime tunisino, ma anche quanto erano tosti i partigiani di questo paese, verso i quali abbiamo un po' tutti un debito di indifferenza.


TUNISI – Quando lo scorso 19 gennaio i bambini l'hanno visto parlare in televisione, ci sono rimasti di stucco. Era identico a quello strano signore che avevano ospitato a casa qualche mese prima e con cui passavano i pomeriggi a fare i compiti. E adesso diceva di essere un prigioniero politico del regime di Ben Ali. Quel signore è Fahem Boukaddous, membro del Partito comunista dei lavoratori tunisini (Pcot) di Hamma Hammami, e inventore – se così si può dire - del giornalismo popolare in Tunisia. E quei bambini sono i figli delle famiglie presso cui ha passato gli ultimi 16 mesi di clandestinità prima di finire nelle galere di Ben Ali con l'accusa di aver diffuso i video delle rivolte che nel 2008 scossero il bacino minerario di Redeyef. È uno dei primi prigionieri politici a essere stati rilasciati dopo la fuga del dittatore. E oggi festeggia la sua prima settimana di libertà.

La sua storia inizia sui quaderni di Antonio Gramsci, ai tempi della laurea in filosofia all'università di Kairouan. In quegli anni Boukaddous si avvicina al partito comunista tunisino, creato nel 1986 e presto bandito per legge dal presidente dittatore. Il suo battesimo politico lo riceve nel 1994 con una bella condanna in contumacia a 5 anni di carcere per aver organizzato lo sciopero degli studenti dell'università di Kairouan. Per fuggire al mandato d'arresto, si dilegua nei quartieri popolari della capitale. Per non farsi riconoscere, cambia identità e usa nomi diversi con ogni gruppo di studenti. Sì perché, pur essendo ricercato, continua a girare le università di Tunisi e Sousse organizzando i comitati dell'opposizione tra gli studenti. Tre anni dopo, nel 1997, un'amnistia generale annulla la sua pena.

Tornato a Kairouan si rimette subito al lavoro e con un gruppo di militanti del partito redige un opuscolo di 12 pagine intitolato “Le famiglie che saccheggiano il paese”. È la prima volta che in Tunisia si parla della mafia della famiglia del presidente. Ci sono dentro tutte le attività dei vari Trabelsi, Shibub, Bel Mabruk. Internet ancora non esiste, e per aggirare la censura la distribuzione avviene casa per casa, e sui circuiti della posta clandestina, grazie a tanti militanti sindacali infiltrati nelle poste. Fin quando un giorno, durante una perquisizione a casa di uno studente universitario, che poi sarà arrestato, la polizia trova una copia del libro. Boukaddous è costretto a tornare nella clandestinità per non essere arrestato. Ma stavolta è tutto molto più difficile.

C'è un mandato d'arresto, le sue foto e il suo nome sono diffusi in tutti i posti di polizia. Così per un anno rimane rinchiuso in un appartamento a Tunisi. Non può nemmeno andare in ospedale per le sue crisi asmatiche, perché i medici hanno l'ordine di fermarlo. Ne approfitta per leggere. La letteratura russa, i testi del marxismo. E per scrivere un libro sulla storia dell'unione degli studenti universitari. In un anno esce di casa soltanto tre volte. Troppe. La terza lo trovano. E lo portano dritto al ministero dell'interno. É il febbraio del 1999. Davanti al ministro dell'interno, iniziano le torture. Per due giorni consecutivi è costretto a stare in piedi, nudo, lo bagnano con l'acqua gelida, lo picchiano, gli immergono la faccia nel secchio della candeggina. Ma lui tiene la bocca chiusa, e non fa i nomi di nessuno. Un processo farsa lo condanna a 3 anni e mezzo, ma alla fine del 2000 viene rilasciato per il solito provvedimento di amnistia che Ben Ali concede ogni anno.

Tre anni dopo, nel 2003, inizia a scrivere sul giornale del partito, El Badil, che dopo la messa al bando del partito esiste solo online, ma su un sito censurato dai server tunisini. Inizia così l'esperienza giornalistica che lo porta nel 2006 al progetto della piattaforma italiana Arcoiris Tv, che dedica alla Tunisia una trasmissione settimanale di due ore. Il programma si chiama El Hiwar, ed è diffuso su un canale satellitare visibile in tutta la Tunisia. Boukaddous allestisce uno studio clandestino di montaggio video, a Tunisi. Per due anni racconta le regioni emarginate e povere della Tunisia, dà la parola ai giovani, ai disoccupati, alle donne. E si crea così una rete di contatti che gli sarà fondamentale due anni dopo, nel 2008, quando nel bacino minerario di Redeyef esplode la rivolta.

I minatori che lavorano per la Compagnia nazionale dei fosfati chiedono giustizia. La polizia apre il fuoco sulle manifestazioni, si contano i morti, decine di sindacalisti finiscono in carcere, e l'unico racconto di quello che accade è la trasmissione di Boukaddous. Che di fatto lancia un nuovo giornalismo popolare che assomiglia molto a quello visto durante la rivoluzione. A passargli le immagini sono infatti i ragazzi di Redeyef, di Moulaares, di Mdhilla, di Metlaoui, che scendono in piazza con i telefonini e le telecamere amatoriali, a decine. Con questa necessità di documentare, di testimoniare. Sul tema, Boukaddous sta preparando un libro intitolato “La mia lotta per la stampa”. Sarà uno dei primi libri stampati dopo la fine della censura a Tunisi. La bozza l'ha scritta in carcere, a mano. In cella il tempo non gli mancava di certo. L'unica interruzione erano i 20 minuti di colloquio con la moglie, una volta alla settimana. E l'apputamento quotidiano con il medico del carcere, un insospettabile oppositore, che ogni giorno, di nascosto, lo informava sulle rivolte in corso nel paese, grazie ai video caricati su facebook dai ragazzi della rivoluzione. Lo stesso fenomeno di giornalismo popolare, di cui senza dubbio in Tunisia Boukaddous è stato il primo a comprendere la portata.