Che a Misratah tirasse una brutta aria lo si era capito da un pezzo. Da quando, tre settimane fa, il governo libico aveva espulso l'Alto Commissariato dei Rifugiati delle Nazioni Unite, che proprio a Misratah aveva regolare accesso da ormai tre anni. Ma i guai sono arrivati nella giornata di ieri. I militari libici hanno consegnato ai detenuti i moduli dell'ambasciata eritrea per l'identificazione. Tutti si sono rifiutati categoricamente di fornire la propria identità all'ambasciata, temendo che fosse il primo passo per un'espulsione collettiva. Al loro rifiuto la tensione è salita, fino a sfociare in una rivolta, con un durissimo scontro con le forze di sicurezza. Qualcuno ha tentato di scavalcare il muro di cinta e fuggire, ma l'evasione è stata presto sventata e la protesta duramente repressa a colpi di manganellate.
Secondo l'agenzia Habesha, che da Roma ha potuto raggiungere telefonicamente alcuni detenuti di Misratah, ci sarebbero una trentina di feriti gravi, che sarebbero stati portati via nei container insieme a tutti gli altri. Habesha riferisce anche di tentati suicidi per evitare la compilazione dei moduli di identificazione.
L'ultimo contatto telefonico che Fortress Europe ha avuto con i deportati è stato alle 18,00 del 30 giugno. I due camion si trovavano nel piazzale del centro di detenzione di Brak, vicino Sebha, dopo 12 estenuanti ore di viaggio rinchiusi dentro i container. Donne e bambini sono svenuti per la mancanza d'aria e l'elevata temperatura. Adesso il telefono è spento, abbiamo perso i contatti. Ancora non si capisce se scatterà il rimpatrio o se è soltanto un trasferimento punitivo per la rivolta di ieri. La Libia ha sospeso le espulsioni verso Asmara negli ultimi tre anni, ma la chiusura dell'ufficio dell'Unhcr a Tripoli non lascia ben sperare. Una fonte informata e presente in Libia sostiene più verosimile che si tratti di una deportazione da Misratah a Brak per punire i rivoltosi e dividerli in gruppi più piccoli in altri centri. Tuttavia l'allarme per il rischio espulsione di massa rimane altissimo. La diaspora eritrea da anni passa attraverso Lampedusa per chiedere asilo politico in Europa. La situazione ad Asmara è sempre più preoccupante. Per sapere cosa rischiano gli esuli rimpatriati e per approfondire la situazione in Eritrea e in Libia, vi invitiamo a leggere i seguenti articoli.
Aggiornamento da Brak il giorno dopo la deportazione. Gravi i feriti
Dell'accaduto sono informati le Nazioni Unite, l'Oim, il Cir, Amnesty International, Human Rights Watch. Gli eritrei deportati chiedono a tutti di fare il massimo sforzo per impedirne la deportazione in Eritrea.
Ecco che fine hanno fatto i respinti. Dopo 4 mesi, ancora in carcere
Ricordate? Era il sei maggio del 2009. Le autorità italiane intercettarono nel Canale di Sicilia tre gommoni con 227 passeggeri, e per la prima volta in anni di pattugliamento, venne dato l’ordine di respingere tutti in Libia. Quattro mesi dopo, molti sono ancora in carcere. E in 24 hanno denunciato l'Italia alla Corte europea. Per la prima volta siamo in grado di raccontarvi le loro storie. Ecco chi ha respinto l'Italia
Respinti all'inferno. Le foto del massacro di Benghazi
Scattate con un cellulare, le immagini sono sfuggite alla censura. Ecco come la polizia libica ha ucciso sei rifugiati somali a Ganfuda. A coltellate. Ecco l'inferno che attende i respinti. Che sia in mare o in un carcere libico, la loro vita sembra valere meno di un vuoto a perdere
Lavori forzati e torture per gli eritrei deportati dalla Libia
Ecco che cosa rischiano gli eritrei respinti dall'Italia in questi giorni. Esclusivo: parlano tre esuli fuggiti dal campo di lavoro di Gel'alo. Arrestati sulla rotta per Lampedusa nel 2004, furono rimpatriati da Tripoli su un volo pagato dall'Italia
C'erano 74 rifugiati eritrei tra gli 89 respinti il primo luglio
TRIPOLI, 6 luglio 2009 – Erano eritrei i passeggeri dell’imbarcazione respinta al largo di Lampedusa lo scorso primo luglio. Rifugiati eritrei. Che adesso rischiano il rimpatrio. O la detenzione a tempo indeterminato nelle carceri libiche, dove già sono stati tratti in arresto. Abbiamo ricevuto la lista completa dei loro nomi dalla comunità eritrea di Tripoli. Sei di loro sono feriti, dicono a causa delle violenze dei militari italiani durante le fasi di trasbordo sulla motovedetta libica
Reportage dalla Libia: siamo entrati a Misratah Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono 600 richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli | |