CALTANISSETTA – Vivono in Italia da decenni. Hanno qui la loro famiglia e i loro affetti. Ma non i documenti. E per questo possono essere privati in qualsiasi momento della propria libertà e rinchiusi dietro le gabbie dei Centri di identificazione e espulsione. Sui loro destini si chiude la morsa del clima securitario che si respira nel Paese. Vengono arrestati casa per casa durante controlli della polizia. Trasferiti nel Centri di identificazione e espulsione e possibilmente rimpatriati. Lo scorso primo luglio 2008 è toccato ad A.C., algerino, 34 anni, e a M.A., marocchino, di 23 anni. Quella sera erano a casa, dopo il lavoro. Nel palazzo, abitato perlopiù da immigrati, sono state fermate sette persone in tutto. Il giorno dopo li hanno trasferiti al Cie di Pian del Lago, a Caltanissetta.
Nel Cie di Pian del Lago sono presenti 79 uomini, sui 90 posti disponibili. Gli operatori e la vicedirettrice del centro mi accompagnano nelle stanze. Tutto è in ordine. Sei letti per stanza. I bagni sono puliti. “Non possiamo lamentarci del trattamento – dice A.C. -. Ci danno da mangiare e da bere, gli operatori ci rispettano. Insomma abbiamo tutto.. tranne la libertà”. Ci sediamo sotto la tettoia, nel cortile di cemento tra le casette del Cie. Siamo circondati da una gabbia di sei metri di tubi d'acciaio curvati verso l'interno alla loro sommità. Su ogni lato ci sono telecamere.
A.C. lavora come muratore. Professionista specifica, non manovale. È arrivato in Italia in aereo, con un visto turistico, nel 1992. Aveva 18 anni e nell'Algeria insanguinata dal terrorismo non voleva fare il servizio di leva. Con gli anni è riuscito ad avere un permesso di soggiorno. Poi un dramma familiare. Nel 2002. La morte improvvisa del fratello, trentenne, in un incidente. A. non poteva lasciare l'Italia, aveva perso il passaporto e la pratica con l'Ambasciata per averne uno nuovo era interminabile. Così perse il funerale. È il suo più grande rimorso. E mentre il dolore scorreva, il suo permesso di soggiorno scadeva. La burocrazia non attende nessuno. Così da sei anni è tornato ad essere clandestino. In Algeria dal 1992 non è mai tornato. I nove fratelli più piccoli li ha visti crescere solo attraverso le foto. E intanto ha continuato a lavorare. “Il titolare a Firenze mi conosce bene. Gli ho telefonato. Se non mi rimpatriano torno a lavorare appena esco. Sto ancora pagando l'affitto”.
Nello stesso appartamento di A. viveva anche M.A. È un ragazzo ventitreenne, viene da Casablanca, in Marocco. Suo padre vive a Torino dal 1982. Negli anni ha portato in Italia tutta la famiglia, prima la moglie e poi i figli. Ma quando i fratelli e la sorella di M. si sono imbarcati sull'aereo, nel 2000, lui è rimasto a terra a salutarli. Aveva litigato col padre, che non lo voleva più vedere. M. però in Europa c'è venuto lo stesso. Nel 2003. Biglietto aereo per Istanbul, in Turchia, e un passaggio clandestino sui gommoni che da Çeçme salpano per l'isola greca di Chios. Arrivato in Grecia, si è nascosto su un camion che dal porto di Igoumenitsa si imbarcava per Venezia e ha raggiunto gli zii a Firenze. Da allora è senza documenti. Da allora lavora. In nero. Come aiuto cuoco in un ristorante fiorentino. In un cpt c'è già stato. Nel 2006 a Lamezia Terme, in Calabria. Con il padre hanno fatto pace. Pochi giorni prima che lo arrestassero – dice - avevano visto un avvocato per cercare di fargli avere dei documenti. Adesso spera solo che non lo rimpatrino. Ritornerà nella clandestinità. Ritornerà a lavorare in nero e a stare attento alle divise.
A vigilare sui destini di A., M. e degli altri 77 immigrati detenuti nel Cie di Pian del Lago arriveranno presto 70 militari, in mitra e mimetica. Fanno parte del contingente di 1.000 uomini destinato dal pacchetto sicurezza alla sorveglianza dei Cie. Affiancheranno polizia e carabinieri, senza però entrare all'interno dei locali del centro. Oltre ai 70 militari a Caltanissetta, in Sicilia è previsto lo stanziamento di altri 70 uomini nel centro di accoglienza di Lampedusa, 50 al Cie di Cassibile (Siracusa) e 20 a quello di Trapani.
Nel Cie di Pian del Lago sono presenti 79 uomini, sui 90 posti disponibili. Gli operatori e la vicedirettrice del centro mi accompagnano nelle stanze. Tutto è in ordine. Sei letti per stanza. I bagni sono puliti. “Non possiamo lamentarci del trattamento – dice A.C. -. Ci danno da mangiare e da bere, gli operatori ci rispettano. Insomma abbiamo tutto.. tranne la libertà”. Ci sediamo sotto la tettoia, nel cortile di cemento tra le casette del Cie. Siamo circondati da una gabbia di sei metri di tubi d'acciaio curvati verso l'interno alla loro sommità. Su ogni lato ci sono telecamere.
A.C. lavora come muratore. Professionista specifica, non manovale. È arrivato in Italia in aereo, con un visto turistico, nel 1992. Aveva 18 anni e nell'Algeria insanguinata dal terrorismo non voleva fare il servizio di leva. Con gli anni è riuscito ad avere un permesso di soggiorno. Poi un dramma familiare. Nel 2002. La morte improvvisa del fratello, trentenne, in un incidente. A. non poteva lasciare l'Italia, aveva perso il passaporto e la pratica con l'Ambasciata per averne uno nuovo era interminabile. Così perse il funerale. È il suo più grande rimorso. E mentre il dolore scorreva, il suo permesso di soggiorno scadeva. La burocrazia non attende nessuno. Così da sei anni è tornato ad essere clandestino. In Algeria dal 1992 non è mai tornato. I nove fratelli più piccoli li ha visti crescere solo attraverso le foto. E intanto ha continuato a lavorare. “Il titolare a Firenze mi conosce bene. Gli ho telefonato. Se non mi rimpatriano torno a lavorare appena esco. Sto ancora pagando l'affitto”.
Nello stesso appartamento di A. viveva anche M.A. È un ragazzo ventitreenne, viene da Casablanca, in Marocco. Suo padre vive a Torino dal 1982. Negli anni ha portato in Italia tutta la famiglia, prima la moglie e poi i figli. Ma quando i fratelli e la sorella di M. si sono imbarcati sull'aereo, nel 2000, lui è rimasto a terra a salutarli. Aveva litigato col padre, che non lo voleva più vedere. M. però in Europa c'è venuto lo stesso. Nel 2003. Biglietto aereo per Istanbul, in Turchia, e un passaggio clandestino sui gommoni che da Çeçme salpano per l'isola greca di Chios. Arrivato in Grecia, si è nascosto su un camion che dal porto di Igoumenitsa si imbarcava per Venezia e ha raggiunto gli zii a Firenze. Da allora è senza documenti. Da allora lavora. In nero. Come aiuto cuoco in un ristorante fiorentino. In un cpt c'è già stato. Nel 2006 a Lamezia Terme, in Calabria. Con il padre hanno fatto pace. Pochi giorni prima che lo arrestassero – dice - avevano visto un avvocato per cercare di fargli avere dei documenti. Adesso spera solo che non lo rimpatrino. Ritornerà nella clandestinità. Ritornerà a lavorare in nero e a stare attento alle divise.
A vigilare sui destini di A., M. e degli altri 77 immigrati detenuti nel Cie di Pian del Lago arriveranno presto 70 militari, in mitra e mimetica. Fanno parte del contingente di 1.000 uomini destinato dal pacchetto sicurezza alla sorveglianza dei Cie. Affiancheranno polizia e carabinieri, senza però entrare all'interno dei locali del centro. Oltre ai 70 militari a Caltanissetta, in Sicilia è previsto lo stanziamento di altri 70 uomini nel centro di accoglienza di Lampedusa, 50 al Cie di Cassibile (Siracusa) e 20 a quello di Trapani.