ROMA - Tredici mesi accampati in un bosco per evitare il rimpatrio. E più di 8.000 firme per chiedere al governo spagnolo di accoglierli. È l'odissea di 72 indiani, bloccati dal novembre del 2006 alle porte dell"Europa, a Ceuta. Partiti dall’India nel 2005, hanno raggiunto l’enclave spagnola in Marocco nascosti in un camion, dopo un periplo attraverso il Burkina Faso, il Mali, l’Algeria e il Marocco, costato 17.000 euro e durato quattro anni. Al loro fianco si è schierata l’associazione spagnola Elín, un collettivo di Ceuta di sostegno ai migranti. E la piattaforma internazionale Migreurop ha rilanciato l’appello al governo spagnolo. Della vicenda si è interessata anche la stampa spagnola (El Pais, Abc, El Mundo). Già in passato 32 bangladeshi avevano ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo aver passato tre mesi sulle montagne di Ceuta, in seguito al nubifragio che colpì il loro paese.
"C’è bisogno che muoiano delle persone in India perché la Spagna ci accetti? Abbiamo passato quattro anni senza vedere le nostre famiglie. Se ci rimpatriano non saremo più niente, non abbiamo più niente, saremo morti”, scrive Gurpreet Singh, il portavoce del gruppo, in un appello pubblicato sul sito dell’associazione Elín. Dopo il loro ingresso a Ceuta, i 72 indiani trascorsero diciotto mesi nel centro di accoglienza temporanea (Ceti) di Ceuta, finché il governatore della città annunciò che sarebbero stati rimpatriati. Fu allora, il 7 aprile del 2008, che i 72 scelsero di nascondersi nei boschi sulla montagna per evitare la deportazione.
“Consideriamo un’ingiustizia – scrive l’associazione Elín – che attenta all’integrità di queste persone l’aver passato più di due anni in una situazione di limbo, senza lavoro, e senza sapere che sarà delle loro vite, con l’incertezza che ogni mattina, all’alba, possano essere catturati e espulsi”. La situazione nell’accampamento abusivo, secondo l’associazione, è molto precaria: “freddo, fame, pioggia e nessuna condizione di igiene e sanità, già ci sono alcuni malati per il freddo, altri con depressioni e crisi d’ansia”. Le condizioni sono documentate anche da un documentario video realizzato da Alberto Garcia. Sembra difficile però che il Governo spagnolo ceda su questo fronte, in un momento in cui – nel contesto della crisi economica – i controlli sui documenti dei cittadini non comunitari e le espulsioni sono sensibilmente incrementati.
"C’è bisogno che muoiano delle persone in India perché la Spagna ci accetti? Abbiamo passato quattro anni senza vedere le nostre famiglie. Se ci rimpatriano non saremo più niente, non abbiamo più niente, saremo morti”, scrive Gurpreet Singh, il portavoce del gruppo, in un appello pubblicato sul sito dell’associazione Elín. Dopo il loro ingresso a Ceuta, i 72 indiani trascorsero diciotto mesi nel centro di accoglienza temporanea (Ceti) di Ceuta, finché il governatore della città annunciò che sarebbero stati rimpatriati. Fu allora, il 7 aprile del 2008, che i 72 scelsero di nascondersi nei boschi sulla montagna per evitare la deportazione.
“Consideriamo un’ingiustizia – scrive l’associazione Elín – che attenta all’integrità di queste persone l’aver passato più di due anni in una situazione di limbo, senza lavoro, e senza sapere che sarà delle loro vite, con l’incertezza che ogni mattina, all’alba, possano essere catturati e espulsi”. La situazione nell’accampamento abusivo, secondo l’associazione, è molto precaria: “freddo, fame, pioggia e nessuna condizione di igiene e sanità, già ci sono alcuni malati per il freddo, altri con depressioni e crisi d’ansia”. Le condizioni sono documentate anche da un documentario video realizzato da Alberto Garcia. Sembra difficile però che il Governo spagnolo ceda su questo fronte, in un momento in cui – nel contesto della crisi economica – i controlli sui documenti dei cittadini non comunitari e le espulsioni sono sensibilmente incrementati.
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Per approfondimenti, leggi il reportage "El limbo es la patria" pubblicato su El Mundo
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