ROMA, 28 novembre 2007 - Il capo missione in Libia dell'Organizzazione internazionale della migrazione (Oim), Laurence Hart, non ha gradito le provocazioni del nostro recente articolo Libia: blitz italiano a Tripoli in vista del vertice di Lisbona, in cui accusavamo Acnur e Oim di "dare una copertura umanitaria alle deportazioni di massa" dei migranti africani dalla Libia.
"Gridare allo scandalo - scrive Hart parlando della Libia in una mail che ci ha spedito il giorno dopo l'uscita dell'articolo - paradossalmente, arriva a minare il raggiungimento di obiettivi (quali il rispetto dei diritti umani) per noi molto importanti, anzi prioritari. Si arriva così a favorire una chiusura delle parti in causa, portando ad un arretramento rispetto a quanto viene pazientemente costruito ogni giorno. In alcuni casi e in alcuni paesi i cambiamenti possono essere repentini. In altri, come la Libia, i cambiamenti sono lenti per molti fattori. Ed è forse la mancanza di conoscenza di questi fattori che porta a giudizi spesso affrettati. Le critiche sono sane e permettono di migliorare il nostro lavoro quotidiano sul campo: sicuramente potremmo fare di più e meglio, ma dire che ci apprestiamo a deportazioni di massa sotto mentite spoglie è davvero poco serio. E distruttivo nei confronti di quei valori di cui lei si fa paladino"
Insomma, secondo Hart denunciare gli abusi subiti dalle centinaia di migliaia di migranti in Libia, arrestati e deportati negli ultimi anni, minerebbe le relazioni diplomatiche grazie alle quali l'Oim è riuscito ad aprire una sede a Tripoli nel 2006 per operare progetti di rimpatrio assistito che hanno interessato già 1.300 migranti. Forse Hart ha ragione. Lavorare in Libia non significa automaticamente essere complici della macchina repressiva di Tripoli. E in questo senso Fortress Europe apprezza il rimpatrio assistito e volontario dei migranti che ne fanno richiesta e di cui Hart ci ha spedito i risultati, a patto che - come Hart assicura - non si tratti dell'ultima carta da offrire ai migranti detenuti nelle carceri libiche. Allo stesso modo apprezziamo l'attività dell'Acnur che ha permesso di reinsediare in Italia 40 rifugiate eritree detenute da oltre un anno a Misratah e che sta negoziando con il Canada il resettlement di altre 10. Ma su un altro punto continueremo a dissentire. Di fronte alla intollerabile gravità e alla sistematicità di certi abusi occorre prendere una posizione. A maggior ragione per organizzazioni internazionali del calibro politico dell'Oim e dell'Acnur, il cui silenzio pesa nella stessa e inversa misura in cui peserebbe la loro voce a livello globale.
Di seguito pubblichiamo la lettera inviataci da Laurence Hart.
Grazie dott. Del Grande. Capisco la condizione da lei posta, e di fronte agli abusi ci sarebbero due modi di procedere: denunciare (alienandosi cosi una collaborazione) oppure lavorare con le autorità per cambiare approccio e favorire la conoscenza di modelli alternativi. Sono due modi di prendere posizione, e per l'OIM l'accompagnamento nella seconda modalità è la strategia per arrivare nel tempo ad eliminare, o comunque ridurre in maniera significativa, ogni abuso. In ogni caso è anche falso che l'OIM non prende posizione nei confronti dei libici: in diversi seminari da noi organizzati a Tripoli, la cui audience era costituita da forze di polizia, giudici, società civile abbiamo parlato di tutela di diritti umani a più riprese. Mi creda che non esistono scorciatoie facili: le autorità libiche stesse sanno e ci dicono che le loro capacità e risorse umane hanno bisogno di una formazione per meglio gestire il fenomeno migratorio. Persino sulle strutture d'accoglienza dei migranti le autorità libiche sono coscienti che sono sovraffollate, con tutti i problemi che questo porta. Il paese e chi lo gestisce hanno urgente necessità di apprendere la basilare nozione di pianificazione e visione in tutti i settori (dai trasporti alla migrazione): la realtà libica è fatta di tribù che ha una diversa concezione del rule of law rispetto a quella del "mondo occidentale". E' sempre prevalsa la parola e l'onore della persona sui testi scritti. Tenere questo a mente è fondamentale per favorire il progressivo avvicinamento di due concezioni diverse, altrimenti si continua in un dialogo tra sordi, che di fatto ritarda ogni progresso, anche nel rispetto dei diritti umani.
Sul ritorno volontario assistito (AVRR) lavoriamo affinché si raggiunga la consapevolezza che il ritorno forzato non paga. Sotto molti punti di vista. I migranti da noi assistiti si rivolgono ai consolati di appartenenza per ottenere un documento di viaggio, qualora non fossero in possesso di un passaporto. Dopodiché si presentano nei nostri uffici su appuntamento e vengono intervistati personalmente e confidenzialmente per accertare l'effettiva decisione del ritorno e per fornirci dati sulla loro storia e percorso migratorio (es. regione d'origine, rotte, modalità d'ingresso, eventuali abusi subiti, etc). Successivamente, viene accertata da un medico la buona condizione fisica per il viaggio. Nel caso in cui vengano registrate anomalie, vengono prescritte cure/medicine al fine di raggiungere la buona condizione fisica. L'OIM si fa carico delle spese mediche addizionali. Succesivamente, le autorità libiche rilasciano il visto d'uscita, condizione necessaria imposta a tutti gli stranieri di ordine e grado, salvo i diplomatici. L'OIM procede quindi alla prenotazione su volo aereo di linea verso il paese d'origine e il beneficiario viene assistito sia all'aeroporto di Tripoli come in quello di destinazione da personale OIM. Precedentemente alla partenza, laddove il candidato sia in grado, viene anche presentato un business plan per poter appoggiare finanziariamente un'attività lavorativa (allego alcune success stories per sua conoscenza) nel paese d'origine. Il finanziamento è previsto nell'ordine di 300 Euro pro capite, ma può essere aumentato qualora il progetto presenti indicazioni di alta sostenibilità o assunzione di ulteriori persone. Stiamo cercando anche di favorire il partenariato tra migranti originanti dalla stessa zona, per permettere di sviluppare attività più macro. Il finanziamento viene normalmente dato attraverso la fornitura del materiale richiesto nel paese d'origine, che il beneficiario s'impegna a non vendere o buttare per un periodo di almeno un anno. Personale OIM nei paesi d'origine effettua successivamente una missione di monitoraggio presso i beneficiari per verificare le condizioni del reintegro.
Ho cercato di restare sintetico anche se ci sarebbero molte considerazioni da fare, vista la complessità del tema. Stiamo discutendo con le autorità libiche perchè adottino questo concetto dell'AVRR vs. ritorno forzato non come attività di nicchia ma come azione sistemica e complementare. Ovviamente, come qualsiasi modello, dev'essere in grado d'incidere per essere appetibile e per questo riteniamo che un numero di maggiore di beneficiari possano, alla fine, far passare un messaggio: l'esistenza di metodi che salvaguardano la dignità delle persone unitamente alla necessità di gestire il fenomeno migratorio. L'AVRR non è la panacea, ma un primo soccorso: è ovvio che deve essere accompagnato da quelle misure di capacity building, di politiche di sviluppo e cooperazione, di labour migration, di dialogo continuo a 360 gradi perché si arrivi ad una vera leadership nell'ambito migratorio. Con il concorso di tutte le parti in causa. Media inclusi.
Cordialmente,
Laurence Hart
Chief of Mission
IOM Tripoli
Tel: +218 21 47 77 838
Fax: +218 21 47 77 839
web site: www.iom.int