06 April 2009

Egitto: 1.030 dispersi nel Mediterraneo nel 2008

Gommone a Lampedusa, foto di Paola OttavianoCAIRO, 6 aprile 2009 – “Che differenza c’è tra una lenta morte qui e una rapida morte in mare?”. Se lo chiede un giovane egiziano candidato all’emigrazione verso l’Italia, via mare. Affrontare la morte è divenuta l’unica speranza per una vita decente. Complici l’impoverimento delle campagne egiziane e la diminuita richiesta di manodopera nei paesi arabi del golfo. Ma la rotta che attraversa il Mediterraneo, da Alessandria d’Egitto, come da Tripoli e Zuwarah, in direzione di Lampedusa, è divenuta un fiume di sangue. Centinaia di ragazzi ogni anno perdono la vita tentando di raggiungere l’Europa. Dall’Italia se ne vede soltanto una parte. Molti naufragi avvengono nella prima metà del viaggio, lontano dallo sguardo delle nostre agenzie stampa. Sulla riva sud del Mediterraneo però ci si inizia a interrogare su quanto avviene. E si inizia a documentare. Lo ha fatto in modo egregio una ong egiziana. Si chiama Land Center for Human Rights.

Dal 1997 impegnata nelle lotte per i diritti dei contadini, da alcuni anni si è iniziata a interessare alle stragi in mare. Da quando i figli dei contadini lasciano il lavoro dei campi per imbarcarsi a rischio della vita sui vecchi pescherecci diretti in Sicilia e in Grecia. Per tutto il 2008 hanno raccolto notizie sui naufragi. I dati sono agghiaccianti: 76 naufragi, 503 persone annegate e altre 527 date per disperse. Trentanove di quelle barche erano dirette in Italia, 16 in Grecia, 11 in Libia e 2 in Turchia. E alle vittime in mare si aggiungono almeno 2.941 vittime di truffe da parte degli intermediari dei viaggi. Sono cifre molto maggiori di quelle diffuse da Fortress Europe, che nel 2008 ha censito 642 vittime nel Canale di Sicilia, di cui i cittadini egiziani rappresentano soltanto una piccola parte. Segno di quanto poco si sappia rispetto alla dimensione reale della tragedia.

Il rapporto si interroga anche sulle ragioni dell’aumento dell’emigrazione illegale. Da un lato la diminuzione della richiesta di manodopera nei paesi arabi del Golfo, meta principale dell’emigrazione egiziana, dall’altro la crisi delle campagne egiziane seguita alle politiche di liberalizzazione del settore, sullo sfondo del generale deterioramento del rispetto dei diritti umani in un Paese governato sotto lo stato di emergenza dal 1981.

Ma se il viaggio è così pericoloso, perché partire? Perché rischiare la vita? “No, non sono in pericolo qui – dice uno degli intervistati -. Emigro illegalmente perchè le condizioni di vita sono difficili, è impossibile trovare una soluzione. Cerco di vivere, ma senza riuscirci... Anche se mi arrestano, anche se devo affrontare la morte, non esiterò a provare di nuovo a realizzare il mio sogno di vivere in Europa. Morire in mare è sempre meglio che vivere oppresso in questo paese”. Un altro dice: “La decisione di morire è l’unica opzione rimasta per passare a una vita decente.”

E allora la migrazione – conclude il rapporto – “non è il problema, ma parte della soluzione”. Migrare è un diritto – sottolinea Land Center – e non dovrebbe essere criminalizzato. La comunità internazionale dovrebbe invece impegnarsi – scrive l’ong – per risolvere i problemi che sono alla base dell’emigrazione illegale: “mancanza di sviluppo, di sicurezza e di equità”.

Per approfondimenti
Land Centre for Human Rights
http://www.lchr-eg.org/index.htm

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