Guantanamo Libia. I nuovi gendarmi dell'Italia
La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e un di egiziano. L’odore acre che esce dalla cella mi brucia le narici. Chiedo ai tre di spostarsi. La vista si apre su due stanze di tre metri per quattro. Vedo 30 persone. Sul muro hanno scritto Guantanamo
Frontiera Sahara. I campi di detenzione nel deserto libico
Stipati come animali, dentro container di ferro. Così gli immigrati arrestati in Libia vengono smistati nei centri di detenzione, in attesa di essere deportati. Siamo i primi giornalisti a vederli. Le condizioni dei centri sono inumane. I funzionari italiani e europei lo sanno bene. Ma se ne guardano bene dal fare ogni critica, alla vigilia dell'avvio dei pattugliamenti congiunti
Reportage dalla Libia: siamo entrati a Misratah
Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono 600 richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli. Vittime collaterali della cooperazione italo libica contro l’immigrazione
La Libia cerca immigrati in Asia, mentre l’Oim pensa ai rimpatri