CROTONE – Nel più grande centro di accoglienza d'Europa, gli afgani sono gli ospiti più numerosi. Dei 1.677 presenti al 4 agosto 2008 nel campo di Sant'Anna, a Crotone, ben 424 provengono dall'Afganistan. Uno su quattro. Arrivano in Italia nascosti nei camion che da Patrasso, in Grecia, si imbarcano sui ferry diretti nei porti italiani dell'Adriatico, a Venezia, Ancona, Bari e Brindisi. Fino a Crotone invece li porta il passaparola. Per loro i tempi di attesa sono più lunghi degli altri richiedenti asilo. C'è chi è al Sant'Anna da cinque o sei mesi. Per lasciarsi la guerra alle spalle hanno attraversato l'Iran, scalato a piedi le montagne innevate della provincia di Van per entrare in Turchia, hanno viaggiato stipati nei camion fino a Istanbul, sfidato il mar Egeo sui gommoni diretti alle isole greche e infine rischiato la vita appesi sotto i telai dei tir imbarcati a Patrasso.
Ma il più grande ostacolo devono ancora affrontarlo. È il Regolamento Dublino II. Il loro destino è appeso alla forma dei loro polpastrelli. Se la polizia di qualsiasi Stato membro europeo ha già preso le loro impronte digitali, quello Stato è responsabile della loro domanda d'asilo. In questi casi, l'Unità Dublino del Ministero dell'Interno avvia una procedura che può durare mesi. Il rischio è di essere rinviati in Grecia. Anche se in Grecia il tasso di riconoscimento dei rifugiati è dello 0,3% contro il 57% dell'Italia (10% delle domande accolte e 47% permesso di soggiorno per motivi umanitari). Norvegia, Svezia e Germania hanno sospeso il Regolamento Dublino II con la Grecia da alcuni mesi, proprio per tutelare la protezione dei rifugiati. L'Italia fa finta di niente.
Z.K. è pashtun. Viene dall'Afghanistan. E in Afghanistan ha paura di essere rimpatriato. È già successo una volta. Nell'aprile del 2007, dalla Francia, mentre tentava di raggiungere illegalmente l'Inghilterra per chiedere asilo. Mi racconta la sua storia facendomi entrare nel container verde dove vive con altri cinque afgani pashtun, al Sant’Anna. Z. era entrato in Europa dalla Slovacchia, via Ucraina. Da lì aveva attraversato l’Austria, l’Italia e la Francia. Ma prima di riuscire a trovare un passeur che lo facesse salire su uno dei camion che da Calais si imbarcano per l’Inghilterra, venne arrestato e rimpatriato. All’aeroporto di Kabul non ebbe problemi con la polizia, dice. Ma rimanere era troppo pericoloso. Z. viene da Baghlan. Trecento chilometri a nord di Kabul. Una città balzata all'onore delle cronache per la strage dei bambini, nel luglio 2007, quando un attentato contro una delegazione governativa fece 75 morti tra cui 59 scolari tra gli 8 e i 18 anni. Z. era rientrato da tre mesi. Dopo l’attentato ripartì. Stavolta attraversando l’Iran, la Turchia e la Grecia. In Italia è arrivato nascosto in un camion sbarcato a Bari il 29 aprile 2008. Le sue impronte digitali sono conosciute in Slovacchia, in Austria, in Francia, in Grecia e adesso anche in Italia. Z. aspetta la decisione dell’Unità Dublino. Z. ha paura di essere rimandato in Grecia o Slovacchia. O peggio ancora di essere rimpatriato.
Già perché alcuni richiedenti asilo politico afgani hanno ricevuto una risposta negativa dalla Commissione territoriale di Crotone per il riconoscimento dello status di rifugiato. Perché provenienti da zone dell’Afghanistan ritenute sicure dalla Commissione stessa, quali ad esempio Kabul. Difficile definire sicuro un Paese dove, nei primi sette mesi del 2008, secondo Peace Reporter, la guerra ha fatto almeno 3.513 vittime. Per questo un centinaio di afgani hanno recentemente protestato sotto il Tribunale di Catanzaro, con uno sciopero della fame protratto dal 16 al 18 giugno 2008. Molti di loro sono in attesa dei risultati dell’Unità Dublino da più di quattro mesi. Dalla protesta sono passati quasi due mesi. E ancora non hanno avuto risposte. Non sanno chi sarà lo Stato competente a ricevere la loro istanza di asilo, e hanno paura di essere rimandati in Afghanistan.
Ma il più grande ostacolo devono ancora affrontarlo. È il Regolamento Dublino II. Il loro destino è appeso alla forma dei loro polpastrelli. Se la polizia di qualsiasi Stato membro europeo ha già preso le loro impronte digitali, quello Stato è responsabile della loro domanda d'asilo. In questi casi, l'Unità Dublino del Ministero dell'Interno avvia una procedura che può durare mesi. Il rischio è di essere rinviati in Grecia. Anche se in Grecia il tasso di riconoscimento dei rifugiati è dello 0,3% contro il 57% dell'Italia (10% delle domande accolte e 47% permesso di soggiorno per motivi umanitari). Norvegia, Svezia e Germania hanno sospeso il Regolamento Dublino II con la Grecia da alcuni mesi, proprio per tutelare la protezione dei rifugiati. L'Italia fa finta di niente.
Z.K. è pashtun. Viene dall'Afghanistan. E in Afghanistan ha paura di essere rimpatriato. È già successo una volta. Nell'aprile del 2007, dalla Francia, mentre tentava di raggiungere illegalmente l'Inghilterra per chiedere asilo. Mi racconta la sua storia facendomi entrare nel container verde dove vive con altri cinque afgani pashtun, al Sant’Anna. Z. era entrato in Europa dalla Slovacchia, via Ucraina. Da lì aveva attraversato l’Austria, l’Italia e la Francia. Ma prima di riuscire a trovare un passeur che lo facesse salire su uno dei camion che da Calais si imbarcano per l’Inghilterra, venne arrestato e rimpatriato. All’aeroporto di Kabul non ebbe problemi con la polizia, dice. Ma rimanere era troppo pericoloso. Z. viene da Baghlan. Trecento chilometri a nord di Kabul. Una città balzata all'onore delle cronache per la strage dei bambini, nel luglio 2007, quando un attentato contro una delegazione governativa fece 75 morti tra cui 59 scolari tra gli 8 e i 18 anni. Z. era rientrato da tre mesi. Dopo l’attentato ripartì. Stavolta attraversando l’Iran, la Turchia e la Grecia. In Italia è arrivato nascosto in un camion sbarcato a Bari il 29 aprile 2008. Le sue impronte digitali sono conosciute in Slovacchia, in Austria, in Francia, in Grecia e adesso anche in Italia. Z. aspetta la decisione dell’Unità Dublino. Z. ha paura di essere rimandato in Grecia o Slovacchia. O peggio ancora di essere rimpatriato.
Già perché alcuni richiedenti asilo politico afgani hanno ricevuto una risposta negativa dalla Commissione territoriale di Crotone per il riconoscimento dello status di rifugiato. Perché provenienti da zone dell’Afghanistan ritenute sicure dalla Commissione stessa, quali ad esempio Kabul. Difficile definire sicuro un Paese dove, nei primi sette mesi del 2008, secondo Peace Reporter, la guerra ha fatto almeno 3.513 vittime. Per questo un centinaio di afgani hanno recentemente protestato sotto il Tribunale di Catanzaro, con uno sciopero della fame protratto dal 16 al 18 giugno 2008. Molti di loro sono in attesa dei risultati dell’Unità Dublino da più di quattro mesi. Dalla protesta sono passati quasi due mesi. E ancora non hanno avuto risposte. Non sanno chi sarà lo Stato competente a ricevere la loro istanza di asilo, e hanno paura di essere rimandati in Afghanistan.
Gabriele Del Grande, pubblicato il 5/8/08 da Redattore Sociale