Cie di Milo, Trapani |
Il primo è un ragazzo di Hay Zuhur, quartiere popolare di Tunisi, finito al Cie di Roma due mesi e mezzo fa, dopo aver scontato una condanna di due anni di carcere per spaccio, e da lì trasferito a Milo. Fuori ha un bambino di un anno e mezzo. Vive in una comunità con la madre, lei è italiana. Non si vedono da prima del suo arresto. A fine pena non vedeva l'ora di riabbracciarla. E invece adesso non pensa ad altro che ai 18 mesi che dovrà trascorrere nella gabbia. Ci racconta che ogni giorno succede qualcosa. Chi si taglia, chi si fa la corda, chi protesta per il cibo o per il freddo. Anche a Trapani come altrove sequestrano le scarpe ai reclusi per ridurre i pericoli di fuga e li tengono in ciabatte anche d'inverno.
Un suo connazionale, anche lui recluso al Cie ma in un altro settore, conferma ma specifica che i guai peggiori li passano quelli che provano a scappare e che protestano. Con loro la polizia è molto violenta, ci dice chiedendoci di mantenere l'anonimato. Anche perché le botte lui le ha viste con i suoi occhi. Su un suo compagno di cella. Un ragazzo algerino. Preso a sberle in faccia davanti agli altri reclusi perché trovato in possesso di un lametta durante una perquisizione. Il fatto risale a un paio di settimane fa. Ma è accaduto nell'altro Cie di Trapani. Il Serraino Vulpitta. Dopo una fuga rocambolesca di cui fino ad oggi non avevamo avuto notizia.
La tecnica è quella torinese. Ovvero fare entrare delle lime e segare le sbarre della gabbia. Ci hanno lavorato parecchi giorni, ma alla fine, secondo quello che ci hanno raccontato i detenuti del Vulpitta trasferiti a Milo nei giorni scorsi, la fuga è riuscita. Dal Vulpitta sarebbero riusciti a scappare 14 ragazzi, tutti tunisini, mentre altri 4 sarebbero stati ripresi dalle forze dell'ordine. E portati a Milo con almeno 16 dei 32 reclusi del Vulpitta. Tra loro ci sarebbero sia ragazzi tunisini sbarcati nelle settimane scorse nel trapanese, sia ragazzi lasciati a terra all'aeroporto di Palermo durante le operazioni di rimpatrio sui charter per la Tunisia, perché non identificati dal consolato tunisino di Palermo.
Ragazzi come L., un trentenne tunisino che dopo 10 anni a Firenze si trova da ormai 4 mesi rinchiuso in un Cie. Prima Bari, ora Milo, dopo che il Consolato tunisino non l'ha identificato all'aeroporto di Palermo. Significa che non sarà espulso, ovvero che passerà altri 14 mesi in gabbia prima di tornare libero. Spera solo di non fare la fine dell'altro tunisino, quello che al Cie di Milo sta sempre in botta da psicofarmaco, dopo che l'hanno espulso per errore in Algeria, e da Algeri l'hanno rimandato in Italia, e ormai sono 9 mesi che non vede un bambino, una piazza e la riva del mare.