Piazza Tahrir |
Ahmad Sayyed Sorour. Classe 1990. È la vittima numero 42. L'ultima di questa settimana di proteste al Cairo. E la più inaspettata. Sì perché la tregua tra manifestanti e polizia dura ormai da tre giorni e da ieri il clima di piazza Tahrir è decisamente disteso. Il maidan è di nuovo colorato dagli striscioni e dalle tende di chi la notte si accampa per non lasciare il presidio. In mezzo alla fiumana della gente, si formano e si sciolgono i soliti capannelli dove si dibatte animatamente di politica, interrotti soltanto dal ritmo dei tamburelli e dagli slogan in rima contro il governo dei militari e il generale Tantawi. Alla colonna sonora della piazza si aggiungono anche i fuochi d'artificio. Sì perché in fondo il clima è di festa. Tra la folla si aggirano i carretti di chi, approfittando dell'occasione, arrotonda vendendo patate dolci, pop corn e frutta secca tostata. Chi ha rimediato pennello e vernice invece, dipinge la bandiera egiziana sul volto dei bambini e dei ragazzi per un'offerta libera. I giovani del movimento continuano instancabilmente a distribuire i volantini e tengono pulita la piazza con scopa e paletta, come se fosse un salotto. Parte dei presenti però, sono semplici curiosi. Ahmed è uno di loro.
Ventisette anni, professore di lingua araba in una scuola superiore, sostiene addirittura che questa piazza vada contro gli interessi del paese. Perché adesso l'importante è votare. Che per lui significa votare “Libertà e Giustizia”, ovvero il partito dei Fratelli Musulmani. Al voto ormai mancano soltanto 48 ore. Certo, dalla commissione indipendente per le elezioni arrivano messaggi ambigui. Si parla di rischi di violenze, e addirittura si paventa la possibilità di posticipare il tutto all'ultimo minuto. Il governo transitorio di Ganzouri non si è ancora insediato, anche perché davanti alla sede del governo è in corso da venerdì un presidio pacifico di alcune centinaia di persone.
È qui che questa mattina alle otto si sono verificati gli scontri tra sei blindati delle forze di polizia della sicurezza centrale (Amin Markazi) e i manifestanti, finiti con la morte del giovane Ahmad Sorou, investito da una camionetta della polizia poco prima che le forze dell'ordine decidessero di ritirarsi lasciando di fatto continuare il presidio.
Questa ultima morte, non fa che accrescere i dubbi su quanto potrebbe accadere nelle prossime ore. L'incertezza che regna sul voto è tale, che alcuni settimanali egiziani addirittura stanno lavorando a una doppia copertina. Una per lo scenario in cui si vada al voto. E l'altra per lo scenario in cui le elezioni siano annullate. Eppure in piazza Tahrir non ci sono slogan contro le elezioni. E solo in pochi chiedono il rinvio del primo turno delle consultazioni parlamentari, previsto per il 28 novembre.
La maggioranza lunedì andrà a votare. Ma il carattere speciale di Tahrir è proprio questo. Che c'è posto per ogni opinione. Qui anche uno come il professor Ahmed che è scettico su questa protesta, può dire la sua. In questo senso davvero questa è oggi la più grande agorà del Mediterraneo. Un'agorà reale a cui partecipano ricchi e poveri, padri e figli, uomini e donne. E che ha la sua contropartita virtuale su twitter e facebook, dove ogni minuto vengono twittate notizie, postati commenti e uploadati video e foto della piazza. Qui c'è posto per tutte le idee. Persino chi nei giorni scorsi è venuto in piazza per convincere i giovani a tornarsene a casa, è stato lasciato parlare. Insomma, se è vero che la democrazia è una pratica, in Egitto il suo esercizio comincia proprio da questo luogo ormai simbolo di tutte le rivoluzioni arabe.
E allora forse non è un caso che Tahrir stia diventando anche un crocevia dei destini di un'altra rivoluzione incompiuta. Quella siriana. In Egitto infatti, sono arrivati molti attivisti politici e oppositori in fuga dall'inizio delle proteste contro il regime di Bashar al Asad. Tha2ir an Nashif è uno di loro. Ieri sera c'era anche lui davanti all'ambasciata siriana al Cairo per l'ennesimo sit in contro la dittatura. Al suo fianco però, per la prima volta non c'era Mona. Mona Ghuraib, sua moglie. Non c'era semplicemente perché l'avevano sequestrata il giorno prima. Su chi possa essere il mandante del sequestro, Tha2ir non ha dubbi. I servizi segreti siriani.
Lo ripete da quando gli sono arrivati i primi sms di minacce. “Questa è una punizione per te per aver insultato Bashar”. Dopotutto c'era da aspettarselo. Quel giorno Tha2ir aveva rilasciato una intervista alla tv egiziana Safa, accusando il regime di Asad per le migliaia di vittime civili della repressione in Siria. E i servizi avrebbero approfittato, secondo la sua versione, del caos in Egitto per un regolamento di conti. Tha2ir infatti è un attivista politico in vista. Vive in Egitto da ormai cinque anni, da quando fu costretto a abbandonare la Siria per le sue attività di oppositore. E oggi ha deciso di scendere in piazza Tahrir con alcuni compagni siriani e con una lunghissima bandiera siriana. A chiedere solidarietà al popolo egiziano. Anche perché sua moglie Mona è egiziana. Così come egiziani sono il loro bambino di 16 mesi e l'altro che sta per arrivare. Sì perché Mona è incinta al sesto mese.
Subito dopo il suo sequestro, è stata creata una pagina facebook per chiedere la sua liberazione. Ma potrebbe essere già troppo tardi. Nel pomeriggio di oggi infatti, prima Tha2ir ha ricevuto un sms in cui gli annunciavano la morte della moglie. Poi una chiamata in cui lo informavano del suo ricovero all'ospedale centrale di 9asr el 3ayni. Appena l'ha subito Tha2ir ha lasciato di corsa la piazza temendo che Mona fosse in pericolo di vita. Fonti bene informate ci hanno però informato che la ragazza sta bene, che è riuscita a liberarsi e che non rischia di perdere il bambino. Mentre proseguono le indagini su chi abbia eseguito questo sequestro.
Una notizia che è stata completamente oscurata sui media italiani dall'arresto avvenuto questa notte di tre free lance italiani e una palestinese. Due sono cari amici con cui sono in contatto. Mi hanno chiesto di mantenere l'anonimato. Sono stati arrestati questa notte intorno alle tre a seguito di un grande malinteso frutto del clima di xenofobia e complottismo che si respira al Cairo fuori dal perimetro di piazza Tahrir. I quattro, attirati dalla piccola folla di curiosi intorno una palma incendiata nelle vicinanze della manifestazione, sono stati accusati dalla folla di essere delle spie. E dopo essersi allontanati dal posto, sono stati arrestati con l'accusa - tanto infondata quanto imbarazzante - di aver bruciato una palma.
L'ambasciata italiana segue la vicenda dalle prime ore. I quattro, due ragazzi e due ragazze, sono seguiti da un avvocato. Fino a questa mattina mi hanno confermato di non aver subito nessun maltrattamento da parte della polizia egiziana. La procura dovrà adesso decidere se rilasciarli, se espellerli, o se procedere con il processo. A loro carico non ci sono prove, ma solo una denuncia formalizzata da un cittadino egiziano. Gli auguriamo di uscire presto da questa vicenda.